IL RAPPORTO WELFARE IT DI AMBROSETTI
Con investimenti sul capitale umano più 2,8 mln di occupati e fino a 226mld in più di Pil
Istruzione, lavoro, competenze, salute e prevenzione: sono questi i pilastri di una strategia nazionale per il capitale umano dove il welfare non è solo un presidio di protezione ma anche un motore di produttività, crescita e coesione del Paese. Con 669,2 miliardi, ora assorbe il 60,4% della spesa pubblica, occorre riequilibrare gli impieghi verso i fattori abilitanti di crescita: è la traiettoria tracciata nel Rapporto “Welfare, Italia” di Ambrosetti.
C’è un potenziale ancora inespresso nel cuore della società italiana, capace di trasformare radicalmente l’economia e la coesione sociale del Paese: il capitale umano. Se solo si portasse l’Italia al livello dei benchmark europei in materia di occupazione giovanile, femminile, partecipazione attiva degli over 60 e attrazione di talenti stranieri, tutto questo potrebbe generare 2,8 milioni di nuovi occupati e un incremento del Pil fino a 226 miliardi di euro: una crescita del +10,6% rispetto ai valori attuali. E’ la prospettiva che viene tratteggiata nel Rapporto 2025 del Think Tank “Welfare, Italia”, presentato ieri a Roma durante il Forum annuale promosso dal Gruppo Unipol con il contributo di Teha Group e il sostegno di un comitato scientifico composto da Veronica De Romanis, Giuseppe Guzzetti, Giuseppe Curigliano e Stefano Scarpetta. Quella che emerge con forza, dunque, è una nuova visione del welfare non più solo scudo sociale ma volano di competitività e i numero lo dicono chiaramente: la piena valorizzazione del capitale umano non è solo un’urgenza sociale, ma una priorità economica. E la condizione è che si metta in campo una strategia nazionale per il capitale umano lungo una traiettoria per un welfare inclusivo, sostenibile e competivo.
Una visione, questa, che si inscrive in un contesto particolarmente delicato. Il welfare italiano, pur rappresentando il 60,4% della spesa pubblica (pari a 669,2 miliardi di euro nel 2024), risulta fortemente sbilanciato: la previdenza assorbe da sola il 16% del PIL, a fronte di una media UE del 12,3%. Al contrario, settori chiave come istruzione (3,9%) e politiche sociali (4,9%) sono cronicamente sottofinanziati rispetto agli standard europei. Questo squilibrio mette in luce una contraddizione: si spende molto, ma non necessariamente bene. Di qui la necessità, evidenziata dal Rapporto, di riequilibrare la spesa pubblica verso settori ad “alto moltiplicatore sociale”, capaci cioè di generare ritorni significativi in termini di crescita, inclusione e produttività.
Il quadro demografico rappresenta poi un ulteriore elemento di pressione. Dal 2014 la popolazione italiana è in diminuzione, con un tasso medio annuo del -0,4% nell’ultimo decennio. Il 2024 ha segnato un nuovo minimo storico di nascite (370mila), mentre il saldo naturale si è attestato a -281mila. Le proiezioni dell’Istat sono allarmanti: nel 2050 la popolazione scenderà a 54,8 milioni, per poi toccare quota 46,1 milioni nel 2080. Nel frattempo, l’invecchiamento della popolazione procede senza sosta: gli over 65 rappresenteranno il 34,9% della popolazione entro metà secolo. Questo trend significa due cose: meno forza lavoro disponibile e maggiore richiesta di servizi sanitari e assistenziali. Di fronte a questi scenari, il Capitale Umano diventa l’unica leva possibile per sostenere la produttività, la sostenibilità del welfare e la competitività nazionale.
L’Italia è anche un Paese segnato da forti disuguaglianze sociali e territoriali. Nel 2024, il 23,1% della popolazione risultava a rischio povertà o esclusione sociale, un dato tra i più alti dell’UE. Ma la media nazionale nasconde divari profondi: alcune Regioni del Nord si avvicinano agli standard scandinavi, mentre ampie aree del Sud presentano tassi di vulnerabilità molto superiori. Il Welfare Italia Index 2025, che misura la capacità delle amministrazioni regionali di rispondere ai bisogni di welfare, fotografa una crescente polarizzazione: Trento, Bolzano e Friuli-Venezia Giulia guidano la classifica, mentre Campania, Basilicata e Calabria si posizionano in coda. Il divario tra la prima e l’ultima Regione ha raggiunto i 23,6 punti, in aumento rispetto all’anno precedente. Questa frammentazione territoriale mina la mobilità sociale e riduce l’efficacia delle politiche pubbliche, impedendo una piena valorizzazione del potenziale umano del Paese.
Come si risponde a queste sfide? Uno dei pilastri della Strategia per il Capitale Umano è l’istruzione. E qui emergono gravi criticità: con una spesa pari al 3,9% del PIL, l’Italia è sotto la media dell’Eurozona (4,6%). La spesa per studente resta significativamente inferiore a quella dei principali Paesi europei. Le conseguenze sono evidenti: alta dispersione scolastica (9,8% dei 18-24enni), oltre 400mila giovani senza un diploma, e una quota di laureati tra i 25 e i 34 anni ferma al 31,6% contro una media europea del 44,1%. Il Rapporto propone un cambio di passo deciso: metodologie didattiche più moderne, anche con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale; scuole aperte e integrate nella comunità; valutazioni di qualità esterne e orientamento efficace nei passaggi tra studio e lavoro. Parallelamente, si evidenzia la necessità di promuovere il lifelong learning e certificare le competenze acquisite lungo tutto l’arco della vita per rispondere a un mercato del lavoro in continuo mutamento.
Altro pilastro il mercato del lavoro e inclusione. La disoccupazione giovanile è al 19,3%; l’occupazione femminile in Italia (pari al 57,4%) rimane sotto la media UE di oltre 13 punti (70,8%); il Paese registra una fuga di laureati (oltre 49mila nel 2024) con un costo stimato 6,9 miliardi di euro l’anno. È necessario agire su occupazione giovanile, femminile e senior, riduzione dei divari retributivi, qualità del lavoro e benessere organizzativo, per trasformare istruzione e competenze in partecipazione effettiva e in produttività. Attrazione e retention delle competenze: ecco un’altra fondamentale leva. L’Italia è tra i Paesi UE con minor capacità di attrarre studenti universitari stranieri e presenta quote limitate di lavoratori immigrati ad alta qualifica. Servono incentivi mirati, internazionalizzazione di atenei e ricerca, percorsi di carriera competitivi e condizioni abilitanti per trattenere e attirare Capitale Umano ad alto valore aggiunto.
Un welfare sostenibile passa attraverso la prevenzione perchè riduce i costi sistemici, migliora gli esiti di salute e consente alle persone di esprimere appieno il proprio potenziale lungo tutto l’arco della vita. Evidenze internazionali stimano fino a 14 euro di ritorno per ogni euro investito in sanità preventiva. Nonostante ciò, nel 2024 solo il 5,6% della spesa sanitaria pubblica è stato destinato alla prevenzione (7,7 miliardi su 137,4). Il Rapporto invita a potenziare screening, vaccinazioni, accesso
tempestivo a terapie innovative, sviluppare percorsi di invecchiamento attivo e favorire modelli organizzativi e tecnologici che supportino la continuità della cura.