LA RASSEGNA

Città sociale, comunità al centro, progetto corale: da Moncalvo a Brindisi prove di nuova rigenerazione

Roverella a Cesena, coralità e inclusione. A Brindisi la street art accende legalità e identità. Palmanova, dalla sicurezza la riattivazione culturale. Orsolina28 a Moncalvo, pazienza e bellezza. A Genova l’urbanità recuperata da mitigazioni introverse. A Nuoro la cultura rompe i muri dell’ex Artiglieria. Il temporary use di Napoli. Gli Oscar europei: la diga di Alqueva e la città verde di Vitoria-Gasteiz.

07 Ott 2025 di Maria Cristina Fregni

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Città sociale, comunità al centro, progetto corale: da Moncalvo a Brindisi prove di nuova rigenerazione

Si parla molto di rigenerazione urbana in Italia, moltissimi progetti si fregiano di questo titolo. Sembra anzi che un progetto senza questo titolo abbia una marcia in meno. Ma abbiamo bisogno di fare ancora parecchia strada per capire se esiste davvero una rigenerazione di qualità all’italiana, se esistono progetti virtuosi che si possano accostare alle migliori pratiche europee. Da quali tratti caratteristici si riconoscono? Perché sono virtuosi? Diario DIAC fa da tempo questo viaggio in Italia (e in Europa) per individuare esperienze meritevoli di segnalazione. Maria Cristina Fregni, che di questo racconto è la principale firma, prova in questo articolo a individuare o riproporre un certo numero di progetti proprio con l’intento di evidenziarne tratti virtuosi caratteristici.  Risponde con la consueta capacità di descrizione e analisi alla mia pressante richiesta di fare una rassegna da cui vengano fuori, per una volta, più luci che ombre. Come nella notte degli Oscar, a ogni opera va il suo riconoscimento, collegato a una specifica qualità o capacità che ha dimostrato nel corso dell’ideazione o della realizzazione. Altri tratti essenziali spesso mancano: sono le prime prove di nuova rigenerazione. (G.Sa.)

 

Quartiere Paradiso: i colori della street art accendono identità e legalità

Il successo dell’iniziativa “Mani in Pa.St.A-Paradiso Street Art”, a Brindisi, coniuga il termine sicurezza nella duplice accezione di legalità e di identità/appartenenza. Come ha raccontato Nicola Pini su Diario DIAC (si veda qui l’articolo del 28 luglio scorso), il quartiere Paradiso è l’annuncio della città, il primo gruppo di edifici sulla superstrada da Bari. Venti palazzine, tutte uguali, costruite tra il 63 e il 67, mal conservate, dove abitano circa 400 famiglie. Per molto tempo e fino a pochi anni fa era noto come il quartiere dei contrabbandieri per la presenza di famiglie legate alla criminalità. Una periferia difficile, fino a poco tempo fa ostile non solo a ipotetici visitatori, ma anche ai suoi stessi residenti, perché degrado, senso di abbandono e mancanza di opportunità scavano solchi profondi tra un luogo e chi dovrebbe appartenergli.

L’intuizione è stata quella di affidare all’arte, a un’arte diretta, popolare e a tratti “urlata” come la street art, il ruolo di elemento di rottura dello status quo e, al tempo stesso, di ricucitura delle ferite, portando, attraverso sguardi diversi di artisti venuti da fuori, nuova consapevolezza del senso di quei luoghi nei suoi stessi abitanti. Ideato e attuato da Arca Nord Salento, il progetto agisce sulle facciate cieche delle palazzine che si stanno arricchendo di grandi opere di street artist anche molto noti e di colori ed elementi qualificanti e identitari, che rendono unico ogni edificio. Oltre all’Oscar della legalità, rigenerazione dove c’era il contrabbando e la criminalità, il progetto vince sul valore dell’identità: sono stati gli abitanti a chiedere a gran voce che il rinnovamento fosse caratterizzato non solo da una ritrovata identità di quartiere, ma anche dall’affermazione di una “identità di palazzina”. A ciascun edificio un colore diverso per superare l’anonimato e il correlato senso di insicurezza. La street art qui non è fine a se stessa e non mira semplicemente ad “abbellire” gli edifici e ad attrarre curiosi e appassionati, incontra la partecipazione e diventa attivatrice di percorsi di trasformazione, creatività, inclusione e protagonismo, da cui nascono anche iniziative culturali e sociali aggiuntive (ricordiamo tra tutte il convegno L’arte pubblica nella rigenerazione urbana, promosso da Mecenate 90), che non fanno che rafforzare il progetto e offrire ai cittadini occasioni preziose per riappropriarsi dei propri luoghi e diventare attori e non spettatori della propria realtà.

Roverella a Cesena: la coralità degli sguardi per generare inclusione urbana

Il sentirsi parte attiva, da parte di una comunità, della trasformazione che interessa i propri luoghi di vita è essenziale per la Rigenerazione, e lo diventa ancora di più laddove le comunità che si intersecano negli stessi spazi sono molteplici. E’ il caso della Rigenerazione del complesso Roverella a Cesena, grande immobile storico di valore nel centro cesenate, potenzialmente trasformabile in luogo di cultura “alta”, residenza di lusso o polo commerciale, ma che, invece, l’amministrazione comunale ha scelto di recuperare nel solco della storia che lo ha contraddistinto: convento prima, casa di riposo poi, sede di servizi assistenziali negli ultimi anni, il Roverella rigenerato manterrà questa vocazione a usi sociali nel cuore della città, con alloggi ERS e co-housing per studenti, un centro diurno e uno notturno per persone fragili, servizi per gli stranieri. Accanto a queste funzioni, che rischierebbero di essere, da sole, introverse e chiuse rispetto alla città, ci saranno sedi di associazioni culturali, uno spazio polivalente per eventi, un ristorante popolare con caffetteria. E infine i cortili, pubblici, attraversabili, accessibili a tutti e attrezzati per la sosta, l’incontro e per spettacoli ed occasioni culturali. L’isolato storico del Roverella aprirà i propri portoni in più punti della città, il sistema dei cortili riqualificati si connetterà al tessuto viario del centro storico e permetterà a chiunque di attraversarlo e le diverse comunità che in quei luoghi si incroceranno, tutte coinvolte attraverso workshop e iniziative nella ideazione dei nuovi spazi, troveranno spazi idonei a promuovere il rispetto e alla conoscenza reciproca.

Palmanova: la sicurezza come terreno civico di riattivazione culturale

La frequentazione multilivello e il presidio spontaneo sono elementi-chiave delle strategie di Rigenerazione, che tendono a vivere con sofferenza il tema della sicurezza dei luoghi intesa come sorveglianza e controllo. Ci sono casi, tuttavia, in cui queste tematiche risultano centrali e possono costituire un ostacolo insormontabile nel garantire la rivitalizzazione di un luogo. Ci sono però anche esperienze, come quella del Recovery Art di Palmanova, in cui proprio la riservatezza e la preziosità dei beni diventano una chiave di volta per dare un respiro urbano ad un progetto altrimenti solamente “infrastrutturale”. Palmanova, comune di 5.000 abitanti nei pressi di Udine, è stato selezionato come uno dei cinque siti del progetto Recovery Art, finanziato dal PNRR con l’obiettivo di istituire centri dedicati alla conservazione, protezione e restauro delle opere d’arte danneggiate da eventi calamitosi. A Palmanova l’iniziativa si concentra sulla rifunzionalizzazione e riqualificazione dell’ex Caserma Montezemolo, intesa sia come occasione di restituire valore all’edificio, importante testimonianza storica, sia come opportunità per rivitalizzare il contesto urbano che lo ospita. La sfida è proprio questa: fare di una funzione introversa per definizione uno strumento di apertura e riattivazione del territorio. La ex Caserma sarà sì la “fortezza” dove custodire e recuperare le opere d’arte italiane in caso di calamità e, come tale, reinterpreterà in modo innovativo la sua funzione originaria all’interno del tessuto della città fortificata italiana per eccellenza, ma allo stesso tempo ospiterà anche laboratori di restauro, una zona per esposizioni temporanee e foresteria, un polo di archiviazione digitale, aule didattiche per attività di formazione o conferenze. L’arte non verrà quindi solo custodita, ma anche messa in valore, studiata e divulgata, attivando nuove energie nella città e valorizzando al contempo la forte identità storico-culturale che Palmanova ha intrinsecamente in sé. Questo tema della tutela come approccio non solamente “difensivo” è molto caro a tante opportunità di Rigenerazione presenti nel nostro paese – caserme, arsenali, ospedali storici – ma anche a tanti progetti già in atto, come le iniziative del Demanio relative alle varie Cittadelle della Giustizia e della Sicurezza avviate in diversi contesti italiani e proposte non come semplici luoghi di servizio, bensì come occasioni per riattivare porzioni estese di città.

L’ex Artiglieria di Nuoro: la cultura rompe i muri e si innesta nella città

Il recupero dell’ex complesso militare dell’Artiglieria di Nuoro, cinque ettari di caserme e depositi circondati da un alto muro, è stato pensato dall’amministrazione comunale, proprietaria dal 2014, come un’occasione per rigenerare l’intera città. La scelta è stata infatti quella di trasformare il complesso in un campus universitario, con una progettualità che non solo attirasse giovani e studiosi nel territorio nuorese, ma favorisse anche una integrazione funzionale e percettiva del comparto con le altre importanti aree all’intorno, ovvero il parco pubblico dell’Ospedale Zonchello, la zona sportiva del Quadrivio, l’area della stazione ferroviaria urbana. Il recupero dell’ex Artiglieria è diventato dunque occasione per accorpare in una più vasta porzione urbana svariati servizi per i cittadini, in cui le varie attività interagiscono in modo sinergico attraverso connessioni fisiche e condivisioni gestionali e funzionali e rafforzandosi vicendevolmente. Il progetto, dunque, pone particolare rilevanza all’elemento del margine, rappresentato in modo emblematico dal muro perimetrale dell’Ex-Artiglieria, oggetto di vincolo, barriera che taglia fuori l’area dai circuiti delle attività urbane, ma anche elemento che preserva l’identità del sito e ne esalta la specificità. Per questo motivo, la strategia d’intervento ha proposto il mantenimento di cospicue porzioni del muro esistente, trasformandolo, attraverso aperture strategicamente posizionate, da elemento di cesura a elemento di scambio, generatore di nuovi flussi e sguardi. Dischiudere l’area attraverso micro-interventi di “agopuntura urbana”, volti ad allacciare visivamente e fisicamente il nuovo polo universitario al tessuto circostante, attrae gli utilizzatori, che qui troveranno occasioni di acquisto, formazione e sport, ma anche consente la riscoperta del patrimonio edilizio esistente, rendendolo accessibile senza snaturarne il carattere di “enclosure urbana”.

La popolazione, studentesca e non, potrà varcare, per la prima volta liberamente, le nuove soglie, e utilizzare non solo gli edifici, cioè i pieni, ma anche i vuoti, cioè gli spazi che si frappongono tra questi e che rappresentano il tessuto connettivo alberato; studentato, aree studio e ricerca, spazi per esposizioni e il centro polisportivo sono già in costruzione, come primo tassello della nuova vita del comparto.

Ferrovia Genova-Campasso e parco urbano Le Dune: da mitigazioni introverse a occasioni di rinascita dell’urbanità

Il vivere urbano è fatto di macro-oggetti ma anche di tanti piccoli elementi di orientamento, di connessione, di percezione e lettura dello spazio. Sta provando a tenerli tutti insieme in una visione integrata la città di Genova, con le varie iniziative in atto, finalizzate a trasformare in “progetto urbano” ogni opportunità di riqualificazione di spazi spesso tecnicamente e socialmente complicati. E’ il caso delle cosiddette “opere di mitigazione” previste dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale per la riqualificazione della linea ferroviaria Genova-Campasso, che l’amministrazione comunale ha deciso di trasformare in una occasione di ripensamento dei quartieri della città attraversati dalla ferrovia, promuovendo iniziative di partecipazione e di progetto che trasformino interventi potenzialmente di “chiusura” del tessuto urbano in se stesso verso l’apertura di spazi pubblici connettivi e aggregativi che ricuciono brani di città.

Sempre a Genova, un’altra iniziativa nata da una “fascia di rispetto” è diventata occasione per rileggere una porzione urbana, interrogarsi sulla sua identità e sulle necessità impellenti per renderla maggiormente in grado di rispondere alle sfide della contemporaneità, senza snaturarla. È nato così il nuovo parco urbano Le Dune, che si sviluppa lungo la sponda sud del canale di calma di Genova Pra’, nell’area del bacino portuale di Genova Pra’, e rientra tra gli interventi del Programma straordinario di investimenti urgenti per la ripresa e lo sviluppo del Porto e della Città. Si tratta di una passeggiata sul mare, affiancata da una pista ciclabile e intervallata da «baie» attrezzate per lo sport, il relax, il gioco e la fruizione di eventi, e caratterizzate da piante e arbusti che insieme offrono un ricco paesaggio di biodiversità mediterranea. A completare il parco, una serie di «dune» artificiali inverdite consente la mitigazione paesaggistica e acustica delle attività portuali, creando una “cerniera” verde tra la città e il suo porto e contribuendo anche alla diminuzione di Co2. La riqualificazione avviata con la realizzazione della Fascia di Rispetto di Pra’ sta poi proseguendo con la proposta di nuovi interventi dedicati alle tematiche dell’abitare e del riassetto infrastrutturale della zona, con un nuovo parco urbano, piste ciclabili e percorsi sportivi, nuove zone pedonalizzate, il recupero degli spazi pubblici del centro storico di Pra’ e Palmaro, e di Villa De Mari, co inserimento di co-housing, servizi urbani di prossimità e spazi in affitto temporaneo per attrarre nuovi abitanti.

Il temporary use voluto dal Demanio nell’ex Ospedale militare di Napoli: temporaneo come porta sul futuro

Strategie come quella di Genova, fatte di tanti piccoli e medi interventi inquadrati in una visione complessiva, sono la chiave della Rigenerazione, almeno in Italia, ma richiedono tempi lunghi, capitali spesso pazienti e grande condivisione con i vari soggetti coinvolti. Per questa ragione, anche la comunicazione e gli usi temporanei ricoprono un ruolo chiave in queste iniziative, perché consentono di mantenere costante la connessione tra comunità e trasformazioni. Un bell’esempio in questo senso è rappresentato dalle iniziative per riattivare l’ex Ospedale Militare di Napoli. Esse rientrano nelle attività di temporary use del modello di “Rigenerazione Urbana Temporanea” con il quale, attraverso la concessione di edifici pubblici e aree urbane dismesse, l’Agenzia del Demanio mette a disposizione spazi per accogliere attività culturali e sociali per il tempo necessario a realizzare i progetti definitivi di riqualificazione. Da fine 2024, per 48 mesi, la società Urban Value s.r.l., a seguito di un bando, ha a disposizione il complesso della Santissima Trinità delle Monache, conosciuto come ex Ospedale Militare, i cui 7.500 mq sono e saranno animati con eventi, installazioni e rivisitazioni che ne faranno un luogo di vita culturale e creativa per l’intera città. Tali iniziative serviranno a ricreare una sinergia tra cittadini e “contenitore”, affinchè poi, quando arriverà il nuovo “contenuto”, esso andrà ad insediarsi in un luogo già amato, presidiato e conosciuto. Elemento tanto più importante vista la funzione specifica prevista per il compendio: al termine della concessione, l’edificio pubblico ospiterà infatti gli uffici del Provveditorato interregionale per la Campania, Molise, Puglia e Basilicata, una funzione istituzionale della massima rilevanza nella rigenerazione sociale dei territori.

Orsolina28: pazienza, bellezza e coerenza sono chiavi di un processo efficace

Orsolina28 Art Foundation nasce nel 2016, ma per comprenderne a fondo l’origine bisogna andare a Moncalvo, nel Monferrato, nel 2007, anno in cui si svolge la prima edizione del Festival Moncalvo In Danza, che provava a coniugare la ricchezza espressiva della danza alla ricchezza storica, culturale e paesaggistica di Moncalvo: il successo fu veloce e grande e in pochi anni il Festival divenne di rilievo nazionale.

Ad una delle edizioni successive tra il pubblico c’era anche Simony Monteiro, ballerina newyorkese che, folgorata dal connubio arte-paesaggio, decide di fondare proprio lì,  nell’ex magazzino della settecentesca Cascina Orsolina, uno spazio destinato alla creazione e alla condivisione della danza, per accogliere persone da tutte le parti del mondo e promuovere la danza contemporanea a livello internazionale. Da allora, in quasi dieci anni, il centro si è evoluto molto, ma sempre in modo coerente e ponderato, e oggi Orsolina28 è un centro internazionale per la danza e una residenza artistica per coreografi e ballerini professionisti, con cinque studi di danza di altissima qualità e un teatro all’aperto con una capienza di 880 persone, un ristorante con prodotti coltivati negli orti e campi situati nei ventimila metri quadri di terra di proprietà coltivata secondo i principi dell’agricoltura biologica, un residence e un glamping sotto le stelle riservati ai partecipanti alle iniziative della fondazione. L’offerta, sebbene ampliata negli anni, è rimasta coerente a se stessa: coniugare la creatività e l’espressione coreutica con la natura, con il paesaggio e con la quiete dello stare in un luogo così ritirato, offrire una esperienza immersiva, che è professionale ma anche umana, che utilizza, valorizzandole, le specificità del luogo, offrendole però allo sguardo sovralocale degli artisti che vengono da altrove. E poi restituire: tanti “locals” lavorano oggi con Orsolina, gli spettacoli sono aperti ai residenti e spesso gratuiti, vengono organizzati workshop e summer school per soggetti fragili del territorio, ristorante e sale danza offrono corsi alle comunità locali. Senza mai snaturarsi e perdere il proprio “centro”, in un equilibrio difficile tra inclusione e identità.

Il rapporto con la natura: la città basca di Vitoria-Gasteiz, felicemente e strategicamente verde

Da questa carrellata emergono alcuni elementi sostanziali della Rigenerazione “all’italiana”, che si è cercato di delineare. Mancano forse, rispetto ad altri casi internazionali, alcuni tasselli comunque rilevanti nei processi di Rigenerazione, tra cui, in modo evidente, spesso è carente il richiamo ad un rapporto diverso con la natura. Lo chiedono i cambiamenti climatici, lo chiede la sicurezza idrogeologica, lo chiedono i nuovi stili di vita che vedono nell’outdoor una componente fondamentale della quotidianità. In questo forse l’Italia, come d’altro canto altre regioni europee, sconta una tradizione mediterranea in cui natura e costruito sono sempre vissute in un intenso rapporto reciproco ma all’interno di perimetri ben definiti. Il “giardino all’italiana” è emblematico in questo senso. Tuttavia è necessario che anche l’Italia trovi la sua strada per un rinnovato rapporto tra urbano e naturale, reinterpretando prassi proprie così come modelli che vengono da altrove. Interessante il caso di Vitoria-Gasteiz, nei Paesi baschi, a 60 km da Bilbao, riconosciuta European Green Capital nel 2012 e Global Green City nel 2019; questa città spagnola di 256.000 abitanti è considerata, da quasi 15 anni, un laboratorio europeo di sostenibilità, capace di sorprendere con la sua armonia tra natura, cultura e innovazione urbana, ma il suo rapporto costruito-natura nasce già negli anni ’60, quando l’amministrazione comunale decise di investire fortemente nelle aree verdi urbane.

Tuttavia, questa politica, pur garantendo ampie aree verdi, non ha però impedito che l’espansione della città generasse aree periferiche precarie e malsicure, poco connesse al tessuto storico, poco servite da servizi di prossimità e incapaci di funzionare come soglia fertile di passaggio tra urbano e rurale. Dagli anni ’80, dunque, e poi con forte impulso tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000, Vitoria ha scelto di ripensare le proprie “aree verdi”, da semplici elementi di dotazione “green” a elemento di riqualificazione e di identità delle periferie, attraverso la creazione di una categoria di parchi del tutto nuova, i parchi suburbani; mediante il recupero di quasi 300 ettari di terreno non edificabile nel territorio rurale, attraverso lo sviluppo della partecipazione dei cittadini nel quadro di Agenda XXI locale, tali nuovi parchi sono diventati strumenti strategici della relazione fra urbano e rurale, promuovendo la crescita ulteriore della cultura locale verso l’integrazione delle funzioni ecologiche nella città, che quindi non è più contrapposta alla “natura” bensì compenetrata ad essa, promuovendo dunque in parallelo alla trasformazione fisica degli spazi anche nuovi modelli di vita e di sviluppo socio-economico.

Rompere per evolvere: la diga di Alqueva e la rinascita dell’Alentejo

Se il caso spagnolo mostra il valore della coerenza con se stessi e la propria storia nella definizione di linee strategiche urbane, la vicenda della diga portoghese di Alqueva racconta invece del coraggio di scelte a volte radicali, che fanno i conti con l’identità dei luoghi ma anche con la necessità di “rompere per evolvere”. Può essere un evento culturale, può essere una architettura iconica, può essere una demolizione emblematica a scatenare il cambiamento, ma può essere anche, come nel caso portoghese, una infrastruttura che modifica in modo significativo i flussi e gli usi di un luogo. La diga di Alqueva, la cui costruzione ex novo lungo il fiume Guadiana, è stata una scelta dirompente finalizzata a riattivare un territorio caratterizzato da decenni di siccità e spopolamento. Il lago artificiale di Alqueva, che ne è scaturito, è a tutti gli effetti oggi il più grande d’Europa per estensione, copre oltre 250 km², e ogni giorno fornisce acqua potabile, energia e irrigazione a una delle aree prima più fragili ed economicamente arretrate del Portogallo. Dopo oltre 20 anni, si può affermare che diga e lago, nonostante alterazioni innegabili agli ambienti naturali e ai sistemi socio-culturali della regione, hanno dato vita a nuovi ecosistemi, hanno aumentato la biodiversità acquatica e hanno permesso lo sviluppo di una vegetazione ripariale prima inesistente; la centrale idroelettrica connessa alla diga, a cui recentemente è stata abbinata una delle prime piattaforme solari galleggianti d’Europa, costituisce un hub per le energie rinnovabili di livello europeo. L’Alentejo, da territorio di pascolo e cereali a basso rendimento, ha oggi distese di oliveti, vigneti, mandorleti e serre, che hanno trasformato radicalmente il paesaggio rurale e l’economia dell’intera area, portando nuove opportunità economiche e posti di lavoro, attirando investimenti nazionali e stranieri. E, conseguentemente, diversi borghi della regione hanno perseguito nuove occasioni di sviluppo legate al turismo lacustre, con la nascita di strutture ricettive, ristoranti, percorsi ciclabili e naturalistici.  La sfida, per le comunità locali, ad oggi rimane quella di custodire e al tempo stesso ripensare la propria identità, cercando e testando vie per coniugare il turismo e la crescita socio-economico con il rispetto e la valorizzazione della propria storia. Ma la spinta propulsiva data dalla diga sta permettendo di affrontare anche i potenziali effetti collaterali con originalità, pazienza ed entusiasmo, rendendo più coese le comunità locali e rafforzando la visione di futuro che esse stesse si sono date.

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