GREEN CITIES

La transizione verde europea non farà passi indietro ma per raggiungere gli obiettivi va rafforzato il ruolo delle CITTA’

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Una delle sfide più attese e importanti che dovrà affrontare la prossima Commissione Europea sarà quella di ridefinire la traiettoria del green deal, provando a recuperare il consenso perso negli ultimi mesi per le critiche ai costi della sua complessa attuazione. Non ci saranno stravolgimenti o passi indietro, perché la crisi climatica diventa ogni giorno più evidente e perché la sfida della competitività per le imprese europee si giocherà sul piano della decarbonizzazione e innovazione ambientale. In questa seconda fase delle politiche climatiche però un ruolo ben più importante lo dovranno svolgere le città, perché è qui che si incrociano problemi, opportunità e dove troviamo al contempo le maggiori concentrazioni di emissioni e i più terribili impatti sanitari ed economici di ondate di calore e alluvioni. Fino ad oggi del ruolo delle aree urbane come laboratorio della decarbonizzazione si è però parlato solo nei convegni, mentre le politiche hanno privilegiato un approccio per binari paralleli – produzione energetica, trasporti, edifici, rifiuti, agricoltura – in cui ai settori venivano assegnati target di riduzione senza considerare come è fatta la geografia fisica e dei consumi nel continente europeo.

Soprattutto, è nelle città che si gioca la partita più interessante in termini di innovazione industriale e di creazione di valore. In queste settimane stiamo assistendo a una sempre più feroce guerra dei dazi da parte di Stati Uniti ed Unione Europea per fermare l’invasione di tecnologie a basso costo dalla Cina: auto elettriche, pannelli solari, batterie di accumulo. Ma come evidenzia un rapporto del Bruegel Institute l’UE dovrebbe guardare con più attenzione a dove si possono realizzare i maggiori benefici economici e occupazionali nella catena del valore, che oggi non sono tanto nella produzione delle singole tecnologie quanto nella gestione dei processi a tutte le scale, attraverso la digitalizzazione e integrazione dei diversi impianti di produzione, condivisione, accumulo di energia con l’obiettivo di l’enorme spesa energetica. E il migliore laboratorio per queste innovazioni sono proprio le aree urbane, che non vanno viste solo gli spazi dove installare milioni di pompe di calore, sistemi di ricarica per auto elettriche, impianti da fonti rinnovabili ma quelli dove attraverso approcci innovativi e integrati si possono produrre i benefici maggiori in termini ambientali e di creazione di nuove imprese e lavoro.

Ma c’è anche un altro argomento che dovrebbe convincere a rafforzare il ruolo delle città nella transizione energetica, ed è quello sociale. Perché qui vive la parte della popolazione più povera, negli edifici più energivori e degradati, dove con interventi di riqualificazione si possono conseguire i più significativi risultati in termini di costi e benefici prodotti. E nelle periferie urbane più che in qualsiasi altro luogo è possibile affrontare i problemi con un approccio che tiene assieme gli obiettivi di mitigazione e quelli di adattamento climatico, ossia quelli di riduzione delle emissioni con quelli di come rendere meno pericolosi e invivibili gli spazi durante piogge intense e ondate di calore. Perché, se piantiamo alberi e eliminiamo l’asfalto, creiamo spazi meno caldi d’estate e dunque si riduce il fabbisogno di raffrescamento e si salva la vita di tanti anziani.

E allora perché fino ad oggi le aree urbane non hanno svolto alcun ruolo nell’agenda europea del clima? La ragione è molto semplice, è politica e riguarda il ruolo primario che gli Stati hanno da sempre preteso di svolgere nella definizione delle politiche e soprattutto nella gestione delle risorse. Un primo banco di prova saranno i piani che i diversi Paesi dovranno presentare per spiegare come vogliono gestire le risorse del Social Climate Fund. Per l’Italia si prevedono diversi miliardi di Euro all’anno a partire dal 2026, che potrebbero essere decisivi per dare seguito ai progetti oggi in cantiere grazie alle risorse di Next Generation EU. Ad esempio, nei criteri previsti rientrerebbero perfettamente gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio di edilizia sociale, che sono principalmente nelle città. Ma rientra anche la spesa per aumentare il servizio di trasporto pubblico locale, ossia le risorse per far girare più autobus e tram nelle città, e che sono drammaticamente fermi da anni. È solo uno dei tanti esempi che si potrebbe fare, ma il problema evidente è che se per tutte le politiche del clima la prospettiva prescinde dai territori e dagli spazi più abitati non avremo solo un’allocazione inefficace degli investimenti, ma perderemo una grande opportunità per ridefinire il profilo del sistema industriale europeo, salvaguardare il modello di welfare e rilanciare l’attrattività dei territori.

 

Edoardo Zanchini
di Edoardo Zanchini

Ecologista

Edoardo Zanchini è direttore dell’ufficio clima del Comune di Roma. È stato vicepresidente nazionale di Legambiente dal 2011 al 2022. Architetto, PhD in pianificazione urbanistica, ha insegnato nelle Università di Roma, Ferrara e Pescara (dove è stato ricercatore). È stato nei board dei network ambientalisti Transport and Environment, Renewables Grid Initiative, Worldwide carbon price, e di diversi comitati scientifici. Autore di saggi in materia di energia, clima, sostenibilità urbana.

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