L’accordo di collaborazione previsto dal correttivo appalti pone questioni di prospettiva: prossimità al Bim, off site construction, rivisitazione dei modelli di programmazione

Il correttivo al codice degli appalti (decreto Legislativo 31 dicembre 2024, n. 209) introduce, all’art. 82 del codice 36/2023 l’articolo 82-bis, dedicato all’accordo di collaborazione. Questo accordo plurilaterale dalle origini anglosassoni, pur non sostituendo i contratti pubblici correlati né integrandone i contenuti, nel Regno Unito, ad esempio, ha presentato, negli scorsi anni, una certa prossimità al BIM (Building Information Modelling), dal codice meglio rivisitato nell’ambito della Gestione Informativa Digitale, specialmente a opera della School of Construction Law del King’s College. Il tema era stato poi, recentemente, trasferito nel contesto italiano dal lombardo Centro Interateneo CCLM (Centre of Construction Law and Management), nell’ottica dell’Alliancing.

08 Gen 2025 di Angelo Ciribini

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È palese, che questo passaggio, relativo all’accordo di collaborazione, consenta, unitamente all’opera di conferma e di precisazione svolta dal correttivo in merito alla Gestione Informativa Digitale, di porre due questioni intrecciate: il potenziale ritorno di una cultura industriale nel settore dell’ambiente costruito tramite i Modern Methods of Construction (MMC), ovvero per mezzo dell’Off Site Construction, e la rivisitazione della logica degli investimenti per programmi e per modelli.

Si tratta di tematiche già sperimentate durante i decenni post-bellici, sotto l’egida della stagione dell’industrializzazione edilizia, per l’edilizia residenziale e per l’edilizia scolastica, esperienze attualmente, non per nulla, oggetto di intensi studi di storia della costruzione.

L’approccio, dal punto di vista storico, implicava sia la presenza di specifici programmi di finanziamento su larga scala, allora di carattere prevalentemente pubblico, sia la costituzione, sia pure su scala minore, di corpi tecnici dello Stato, o del Para Stato, a supporto del piano degli investimenti.

Nei primi decenni del nuovo secolo, al contrario, la natura dei finanziamenti per l’edilizia residenziale (social housing) e per l’edilizia scolastica ha mostrato altre fattezze e diverse tipologie di veicoli, sicché le modalità con cui possa ripresentarsi quella ipotesi appaiono profondamente differenti e probabilmente l’eventualità di creare tecnostrutture pubbliche o miste comparabili a quelle del passato risulterebbe antistorica e inattuale.

Occorre, tuttavia, riconoscere come modelli organizzativi che posseggano una intrinseca razionalità digitale, basati su una sorta di piattaformizzazione delle catene di fornitura, includenti anche il versante della domanda pubblica e partenariale, abilitati da quadri giuridico-contrattuali dotati di una capacità di (auto-)regolazione, potrebbero divenire una via preferenziale, o addirittura obbligata, per conseguire gli esiti imposti, ad esempio, da un fabbisogno di edilizia residenziale di nuova costruzione (anche di sostituzione) e di riqualificazione energetica/decarbonizzazione/circolarità del patrimonio costruito, in termini di contenimento dei costi di realizzazione e di gestione e di riduzione dei tempi di realizzazione.

Si deve, peraltro, riconoscere che, a titolo esemplificativo, antiteticamente a quanto immaginato in quella antica stagione, i recenti programmi di edilizia scolastica promossi dai governi della Repubblica, hanno privilegiato soluzioni, per così dire, individuali(stiche), non sistemiche, basate sui concorsi di architettura, assai distanti da quanto attuato nella seconda metà del secolo scorso.

Per contro, è opportuno riconoscere come in alcuni casi, i nuovi interventi prevedevano la ricostruzione del nuovo complesso scolastico sul sedime del precedente edificio realizzato coi metodi dell’industrializzazione edilizia nel periodo post-bellico, giunto al termine della vita utile di servizio.

È utile, inoltre, osservare come il Codice enfatizzi il ruolo degli ambienti di condivisione dei dati di carattere strutturale per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, ambienti che, unitamente alle piattaforme di approvvigionamento digitale, potrebbero offrire il presupposto per adottare ecosistemi digitali complessi, idonei agli investimenti per programmi.

Sostanzialmente, il combinato disposto di innovazione sul piano organizzativo (i modelli legati alle combinatorie della componentistica sono intrinseci alle piattaforme digitali), su quello tecnico (abilitato, ad esempio, da soluzioni ibride di manifattura additiva sostenute da fabbriche volanti) e su quello giuridico potrebbe assicurare l’ottenimento di alcuni requisiti essenziali al fine di porre in essere gli obiettivi menzionati: la mitigazione del rischio nei confronti degli attori finanziari, sensibilizzati alla sostenibilità; l’incremento di produttività, così critico per il comparto; la conservazione di un tessuto professionale e imprenditoriale notevolmente frammentato e riluttante nei confronti di processi definitivi di aggregazione; la coerenza con le strategie adottate dalla Commissione Europea, a iniziare dal Digital Product Passport nell’ambito della Construction Products Regulation: in attesa dello sviluppo verticale dei modelli linguistici multimodali.
Si tratta, naturalmente, di ipotesi suggestive, ma di difficile attuazione, che richiederebbero una difficile opera di convincimento da parte del decisore pubblico e di adesione dei soggetti coinvolti e interessati.

Ci si dovrebbe, infine, domandare quale tipo di organismo con funzioni di agenzia possa gestirne la regia.
In ogni modo, la questione prospettica non pare eludibile.

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