Intervento

Oggi, per molte città italiane, il prelievo fiscale immobiliare è inferiore di quanto dovrebbe essere, per altrettante è superiore. Di conseguenza, per citarne solo alcuni, in comuni come Milano, Venezia, Bolzano, Napoli, il gettito erariale e i tributi locali sono fortemente sottodimensionati. In altre realtà locali quali, sempre ad esempio, Vercelli, Biella, Pordenone, Padova, sono pagate più tasse di quanto spetterebbe in realtà ai relativi proprietari immobiliari. Se il tutto, naturalmente, fosse realmente commisurato alla ricchezza immobiliare effettiva e non, come oggi, alle distorsioni causate da una Catasto arretrato.

Quattro mesi fa ho avuto l’onore di essere ospitato sul primo numero del DIAC con un contributo che faceva un punto sul rinnovamento (energetico e non solo) degli edifici in Italia. Era stato pubblicato da poco l’ennesimo decreto, il “blocca cessioni”, che aveva posto nuovi gravi ostacoli all’ordinato funzionamento del mercato con pesanti limitazioni retroattive alla possibilità di liquidare i crediti d’imposta. Segnali preoccupanti di imminente declino delle attività di riqualificazione, causato dall’esaurimento degli incentivi e dalla sfiducia indotta nel settore da anni di instabilità (ostilità) normativa, si accompagnavano alla mancanza di interesse mostrata dall’Esecutivo ad affrontare la tematica, sottolineata dal mancato coinvolgimento dei portatori d’interesse per l’approfondimento del disegno di nuove misure valide per il futuro.

Quattro mesi dopo: il Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) è stato aggiornato dal Governo in carica, senza significative variazioni per quel che riguarda il settore degli immobili. La nuova presidenza della Commissione europea ha mostrato di voler mantenere una sostanziale continuità nell’attuazione del Green Deal, chiaramente illustrata nelle lettere di incarico ai commissari designati: “Mi aspetto che tutti voi contribuiate al conseguimento dei nostri obiettivi climatici concordati, in particolare quelli fissati per il 2030 e l’obiettivo della neutralità climatica per il 2050”.

il dominio degli incentivi ai privati

Interessante l’editoriale di Angelo Vaccariello su Il Riformista del 9 ottobre. Il sottotitolo dell’articolo non lascia spazio alle interpretazioni: “Tanti fondi, pochi risultati: la solita Italia fallisce la prova del Pnrr”.

Questo tema si può affrontare da diversi punti di vista. Il primo, e direi più interessante, fa riferimento alla qualità degli interventi. Si tratta di un Fondo per il rilancio di medio-lungo periodo che, giustamente ed efficacemente, si sarebbe dovuto affiancare a riforme di sistema legate a norme e funzionamenti della PA. Insomma, non era tanto importante l’effetto di impatto della spesa sulle dinamiche di breve periodo quanto l’innovazione e l’efficienza strutturale che avrebbe generato in seguito agli Investimenti e alle Riforme.

In un’edizione recente di Diario Diac è stata portata all’attenzione dell’opinione pubblica la suddivisione della significativa dote economica destinata alla Rigenerazione Urbana dalla Regione Campania. Scorrendo l’elenco degli interventi emergeva la logica frammentaria e disorganica delle scelte e la mancanza di una strategia d’insieme. Campetti da calcio e piccoli interventi senza la capacità di generare alcun effetto sistemico.

Per chi studia e progetta la rigenerazione, questo recente episodio è la conferma della mancata comprensione del suo significato potenziale e la tattica elusione degli obiettivi alti che essa delinea e propone.

Durante la presentazione dell’ultimo rapporto sulla competitività della UE, Mario Draghi si è soffermato sul tema della produttività, indicando nella sua scarsa crescita uno dei principali fattori in grado di frenare lo sviluppo economico dell’Unione Europea. Se si entra nel dettaglio dei singoli Paesi, emerge tuttavia un contesto caratterizzato da spiccate differenze territoriali. In Italia, la crescita della produttività (intesa come produttività totale dei fattori) ha sempre rappresentato una delle componenti meno dinamiche del PIL. Nei dodici anni precedenti la crisi finanziaria (1995-2007) il contributo maggiore alla crescita era arrivato dalle dinamiche demografiche e dall’espansione del tasso di occupazione, mentre il contributo della produttività era stato marginale.

L’eccezionale crescita demografica dell’Africa sta determinando una ancor più eccezionale crescita delle città africane che nei prossimi venti anni aumenteranno di 500 milioni di abitanti, è in gioco il cambiamento del modello di sviluppo del continente.

Abbiamo visto in un precedente intervento che nei prossimi dieci anni (2024-2034) la popolazione africana crescerà di 360 milioni di abitanti e che nei successivi dieci, dal 2034 al 2044, crescerà di altri 340 milioni.  Questa crescita è però diversa da quella del passato, non solo per i numeri ma per l’impatto che si sta registrando sulle città africane e in particolare sulle grandi città africane. L’Africa si sta urbanizzando (e infrastrutturando). Ancora all’inizio degli anni 2000 la popolazione urbanizzata in Africa era il 34,4% della popolazione, nel 2020 è il 42,6% e nel 2035 avverrà il sorpasso.

La rivoluzione digitale permette a milioni di persone di accedere a beni e servizi nella stessa forma e a costi di gran lunga inferiori rispetto alle logiche del mondo materiale

26 luglio

IL SEGRETARIO DELLA FILLEA CGIL

Un fantasma si aggira per la mastodontica macchina da business rappresentata dai mondiali di calcio. È il fantasma di migliaia e migliaia di lavoratori, quasi sempre migranti, sfruttati nella costruzione dei grandi stadi e infrastrutture, uomini senza volto, stranieri trattati come “intoccabili”

19 luglio

 

DOPO L'INTERVENTO DI PAOLA DELMONTE

Si tenta, da più di una legislatura, l’approvazione di una disciplina nazionale

13 luglio

Non sempre gli effetti legati alla costruzione di nuove infrastrutture risultano positivi se valutati nella loro organicità. In mancanza di un’accurata e obiettiva valutazione d’impatto, benefici inferiori alle attese o effetti di sistema indesiderati possono emergere una volta completata l’opera. A titolo di esempio, il cosiddetto paradosso di Braess dimostra che, in alcuni casi particolari, un incremento della dotazione infrastrutturale di un territorio, come la costruzione di un nuovo tratto stradale, può persino portare a un peggioramento della situazione di partenza. Si tratta di un esempio limite che, tuttavia, nel processo di scelta degli investimenti prioritari, aiuta a capire l’importanza di uno studio accurato, serio e approfondito sulle dinamiche di rete, gli sipllover spaziali e settoriali e il comportamento dei singoli utenti.

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