L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 5
Alvisi Kirimoto: la poetica Hi Touch si nutre di essenzialità, tecnologia mai ostentata, rifiuto del provincalismo
Nei primi anni del 2000 Massimo Alvisi e Junko Kirimoto, entrambi poco più che trentenni, si fanno notare con due opere realizzate a Trani: una casa unifamiliare (2000-2002) e una palazzina per abitazioni (1999-2004).
Gli edifici hanno un chiaro respiro internazionale. Colpisce l’ aspetto sobrio e rigoroso, il rifiuto del ricorrere a facili citazioni di stereotipi mediterranei e l’apertura per l’innovazione tecnologica, qualità in quegli anni abbastanza rara negli edifici residenziali del sud Italia. Un atteggiamento sperimentale e antidogmatico che ai due progettisti deriva da soggiorni in paesi architettonicamente evoluti e dalla pratica in studi di progettazione sensibili ai nuovi linguaggi della contemporaneità.
Massimo Alvisi, prima di trasferirsi da Renzo Piano, dove lavora per otto anni, ha, infatti, studiato a Firenze e poi in Germania, è tornato in Italia e ha fatto praticantato presso lo studio Fuksas. Junko Kirimoto, nata a Yokohama in Giappone, ha studiato all’università di Kyoto, ha fatto pratica con Shin Takamatsu e con Kazuyo Sejima, ancora agli inizi di una folgorante carriera. E ha lavorato nello studio di Massimiliano Fuksas.

Luigi Prestinenza Puglisi
Gli storici hanno etichettato i protagonisti di questa fertile stagione per l’architettura come i giovani della generazione Erasmus, sottolineando con questa parola che la nuova condizione è stata fortemente influenzata dall’omonimo programma nato e sviluppato per promuovere la mobilità tra i Paesi europei, finanziando un periodo di studio all’estero degli studenti della Comunità. E che, con il suo successo, ha stimolato altri programmi internazionali di scambi. Resi a loro volta possibili da un periodo di pace tra le Nazioni, dai voli a basso costo, dalla rapida diffusione delle informazioni e dalla delocalizzazione consentita da internet. Scambi che hanno portato a ibridazioni tra culture diverse. Nel campo dell’architettura, in particolare, hanno rivoluzionato il modo di lavorare degli studi di progettazione, sempre più frequentati e influenzati da giovani architetti di varie nazionalità e con esperienze presso strutture di diverso orientamento. Da qui un continuo travaso di conoscenze e di approcci progettuali con conseguente innalzamento della qualità, ma anche con una crescente internazionalizzazione dei linguaggi.
Che, se ha portato ad abbandonare posizioni provinciali, ha generato anche una certa omogeneizzazione dei prodotti.
Kirimoto e Alvisi si incontrano nello studio Fuksas, dove Junko era stata mandata da Takamatsu per conoscere meglio l’architettura europea. Diventano una coppia nella vita e nel 2002 decidono di aprire uno studio professionale a Roma. Inizia una storia di successo con opere e realizzazioni notevoli riassunte nel 2022 in un libro pubblicato da Maggioli che racconta i primi venti anni di attività. I progetti che il duo realizza sono tra loro molto diversi. Per citarne alcuni: una accademia per la musica a Camerino, la ristrutturazione del teatro comunale di Corato, la sala convegni per la LUISS a Roma, una cantina vinicola nella campagna senese, la sistemazione di una piazza a Tempio Pausania in Sardegna, un complesso industriale a Barletta, uffici direzionali con una galleria espositiva a Chicago, la ristrutturazione di appartamenti e casali nella campagna laziale.
Come ha notato il critico Philip Jodidio in un saggio a loro dedicato, Alvisi e Kirimoto evitano di farsi imbrigliare da una teoria architettonica, cercano piuttosto di applicare un metodo.
Consiste nella riduzione del problema ai suoi dati essenziali. Atteggiamento che porta a semplificare l’oggetto rendendolo minimale per poi meglio inserirlo nel contesto naturale o artificiale circostante. L’ operazione può essere condotta in modi diversi. Nella cantina vinicola del senese il volume architettonico è scomposto in piani che si relazionano con le morbide curve della campagna circostante. Nella piazza a Tempio Pausania in Sardegna, la leggera copertura, dedicata a Fabrizio De André, è scomposta in vibranti triangoli di tessuto vivacemente colorato, distanziati tra loro per evitare di realizzare un involucro oppressivo che entrasse malamente in relazione con il contesto circostante. L’accademia per la musica a Camerino, voluta e finanziata dalla Andrea Bocelli Foundation, è disegnata come un volume inclinato che segue l’andamento del terreno ed è avvolto in un involucro di pannelli bianchi in lamiera con forature di dimensione variabile. “Danno un’impressione di leggerezza e dissolvenza, ricordando l’immagine di una nuvola”.
In tutti i progetti del duo l’attenzione per l’esecuzione e per il dettaglio è maniacale. Così pure per le tecnologie utilizzate. Non vi è però alcun compiacimento Hi Tech, con esposizione in facciata di tubi e impianti come nelle opere di Richard Rogers oppure di ardite strutture come negli edifici di Santiago Calatrava.
Vi è quello che possiamo chiamare un atteggiamento Hi Touch, un approccio cioè altamente tecnologico ma senza troppi autocompiacimenti. Ne abbiamo parlato in precedenti articoli. L’architettura italiana è in genere poco propensa verso le posizioni estreme e punta all’eleganza, alla discrezione e a quello che molti battezzano come uno stile sartoriale. Alludendo ad abiti di taglio ineccepibile e su misura. Eleganza discreta che troviamo nei vestiti di Armani o anche nelle automobili: per esempio nelle Ferrari, la cui tecnologia, nonostante sia particolarmente avanzata, non è mai ostentata.
Alvisi e Kirimoto nella poetica Hi Touch si trovano in perfetto agio. Alvisi l’ha appresa probabilmente durante il lungo tirocinio con Renzo Piano, che in Italia dell’High Touch è il principale esponente: si pensi alla retorica del progettista artigiano che è alla base della sua comunicazione. Kirimoto direi che l’High Touch ce l’abbia nei cromosomi della sua anima giapponese. L’incontro tra le due culture non poteva produrre un risultato migliore.
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