IL CONVEGNO "OBIETTIVO DOMANI"
Caro materiali, ennesimo allarme Ance. Griglio: proroga al 2026, ma pagano le stazioni appaltanti
Per la Capo ufficio legislativo del Ministero delle infrastrutture, sull’aumento dei prezzi in ambito edilizio si sono rincorsi tanti interventi legislativi ma tutti sono tramontati. “Servono un monitoraggio e delle linee guida nazionali”, ha detto. Intanto, la presidente Ance Federica Brancaccio (in foto) è tornata a battere il tasto sui mancati pagamenti alle imprese.

FEDERICA BRANCACCIO, PRESIDENTE ANCE
Il caro materiali continua a tenere banco e a preoccupare le imprese. Tanto per la strettissima attualità quanto per il post-Pnrr. Cioè tra sette mesi. Di contro, dal Mit arriva la conferma di una proroga per il 2026 degli stanziamenti per le imprese, a carico delle stazioni appaltanti. Costo zero per lo Stato, dunque, e ricorso ai quadri economici e le risorse di pianificazione per le Sa, rinviando, se necessario opere programmate ma non ancora appaltate. Insomma, finire prima quello che c’è da finire e poi appaltare nuove opere. Quanto al dicastero di Porta Pia, ieri al convegno Ance “Obiettivo domani” la Capo ufficio legislativo Elena Griglio ha parlato di lavori in corso con il Mef sulle risorse aggiuntive per il pregresso: “c’è la massima disponibilità”. “Facciamo un fondo con risorse per 80% del delta di incremento di prezzo dai vecchi ai nuovi prezzari regionali da coprire con soldi statali”, ha ipotizzato. “Ma è un meccanismo temporaneo”. Il problema, secondo Griglio, è “come vengono formati i prezzari regionali? Servono un monitoraggio e linee guida nazionali per le Regioni.
La proroga per il prossimo anno delle misure del Dl Aiuti è una richiesta già ribadita dall’Ance, l’associazione delle imprese edili, per compensare l’aumento dei costi dei materiali ed evitare che migliaia di cantieri rimangano scoperti. Serve correre, insomma. “Abbiamo davanti qualche mese di Pnrr, siamo agli sgoccioli della manovra e le nostre imprese lamentano forti ritardi nei pagamenti degli stati di avanzamento del lavoro, collegati alla produzione base. Ciò che succederà dopo il Pnrr appare abbastanza oscuro in tema di investimenti e risorse”, ha avvertito ancora una volta la presidente dell’Ance Federica Brancaccio. “Non vogliamo tornare agli anni drammatici tra il 2008 e il 2020. La soluzione è creare regole certe, pagamenti corretti e giusti margini affinché un sistema cresca”, ha aggiunto. Secondo i numeri dei costruttori, le imprese devono ancora ricevere circa 1,7 miliardi di euro già certificati relativi all’ultimo trimestre 2024 e ai primi 5 mesi del 2025. Rispetto alle risorse stanziate secondo i dati del ministero delle Infrastrutture, per coprire il calo materiali del 2024 e di tutto il 2025 mancano all’appello 2,265 miliardi. Per Brancaccio, “la crescita del Paese si basa molto su portare a termine il Pnrr, che per il 50% attiene al nostro settore . Se il nostro settore rallenta o si ferma il Paese non cresce”.
Come uscirne? “C’è la necessità di rifinanziare a misura del mercato materiale i costi di realizzazione delle opere appaltate negli anni passati, che sono tutt’ora in esecuzione – ha spiegato il vicepresidente di Ance Luigi Schiavo -. In molti casi i prezzi risultano ancora superiori del 30-40% rispetto a quelli di aggiudicazione (Sul 2020, acciaio +30%, bitume +49% e rame +65%). Si tratta di lavori che in assenza di interventi mirati rischiano di ritrovarsi in un vuoto di tutela”. Secondo la banca dati Cnce EdilConnect, sarebbero 13.000 le opere ancora in corso – tra cui oltre 4.300 progetti Pnrr – bandite prima del nuovo Codice, e quindi escluse dai meccanismi di revisione prezzi.
Altri numeri riepilogati ieri da Ance riguardano la percentuale di appalti fuori concorrenza, pari al 90%. Nel 2024 si sono registrati circa 62mila appalti di lavori pubblici per quasi 61 miliardi di euro (fonte Anac). Oltre la metà delle procedure sono andate per affidamenti diretti (52,4%), cui si aggiunge oltre un 35% di procedura negoziata senza bando. Di qui, la percentuale pari quasi al 90% di appalti senza confronto concorrenziale. Per oltre 20 miliardi di euro. Anche la consultazione europea delle direttive appalti ha evidenziato questa deriva, segnalando aumento ricorso a questi affidamenti.
Nelle proposte rilanciate dall’associazione si legge la necessità di aprire il mercato con regole certe per i concessionari senza gara nei settori speciali, superando la totale esenzione dall’obbligo di esternalizzazione per i concessionari operanti nei settori speciali. Fissando una quota minima analoga a quella dei settori ordinari e coniugando così efficacia e concorrenza leale, trasparenza nel e del mercato, inclusione, competitività. Quanto alla corretta stima delle opere in tempi e costi, Ance punta all’attualizzazione dell’incidenza percentuale delle spese generali ferma da oltre 40 anni, a causa di un incremento dei costi non produttivi e maggiori oneri a carico degli appaltatori. Serve poi imporre una reale aderenza dei prezzari ai valori di mercato anche con un prezzario nazionale, anche tramite un tavolo al Mit, sotto il coordinamento del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Ancora: serve vietare la richiesta di opere aggiuntive in sede di offerta economicamente più vantaggiosa, anche quando l’appalto è sul Pfte.
Capitolo “in house”: per i costruttori va privilegiata la concorrenza perché l’efficienza si raggiunge solo con le gare. Di qui, la necessità di inserire regole e limiti effettivi a questo strumento. Occorre poi “fermare la tentazione di un ritorno alle partecipazioni statali, ognuno faccia il suo mestiere (Stato committente e operatori e imprese per la realizzazione opere). Infine, sul Cct come caposaldo del principio del risultato: va adottato il decreto Mit con nuove linee guida sui parametri per i compensi, per proporzionalità e adeguatezza rispetto ai quesiti, la corresponsione secondo la gradualità. Occorre assicurare regole omogenee non derogabili dalle Sa. Garantendo pubblicità e trasparenza alle pronunce dei collegi.