L'INTERVISTA DEL LUNEDÌ
Di Franco (Fillea): “Serve una legge sulla rappresentanza contro i contratti pirata e l’attacco alla bilateralità. Il nuovo Dl sulla sicurezza non salverà vite”

Antonio Di Franco, segretario generale Fillea Cgil
IN SINTESI
Un cambio di paradigma nella sicurezza sul lavoro, una legge sulla rappresentanza per contrastare i contratti pirata, la difesa del sistema bilaterale dell’edilizia e una politica industriale che metta al centro la casa.
Sono questi i punti che, secondo la Fillea Cgil, dovrebbero costituire l’ossatura di una vera strategia per il lavoro e per il Paese. Ma, come denuncia il segretario generale Antonio Di Franco, “di tutto questo non c’è traccia nell’agenda del governo”. Di Franco ne parla con Diario Diac dopo giorni e settimane particolarmente intense, che hanno visto il varo del nuovo decreto sulla sicurezza e da un’importante iniziativa della Fillea sul tema. Quella che è ancora emersa in tutta la sua evidenza, è, denuncia Di Franco, “la distanza crescente tra la propaganda e la realtà dei cantieri”.
Un decreto che non affronta le cause delle morti sul lavoro
Dopo i primi commenti a caldo, il numero uno della Fillea torna alla carica. “Il nuovo decreto sulla sicurezza non affronta i veri nodi che riguardano la salute e la vita dei lavoratori. Non salverà nessuno, perché continua a privilegiare incentivi alle imprese e misure di facciata”. Di Franco riconosce come unico segnale positivo l’introduzione del badge di cantiere, “ma si tratta di uno strumento, non di una soluzione. Quello che serve è una strategia di sistema, fatta di assunzioni, formazione, controlli e prevenzione reale”. Il punto cruciale, spiega, è il disordine istituzionale. “Gli ispettori non sono pochi, ma disorganizzati e mal coordinati. Abbiamo l’Ispettorato nazionale, quello siciliano, gli ispettorati delle ferrovie, le ASL, l’INAIL, l’INPS, e perfino enti locali con competenze parziali. Tutti operano separatamente, spesso con banche dati non compatibili. Può accadere che nello stesso cantiere arrivino contemporaneamente ispettori di enti diversi. È l’immagine di un Paese che non dialoga con se stesso.” Per la Fillea, la soluzione passa da una riforma complessiva del sistema ispettivo: “L’Ispettorato Nazionale del Lavoro deve diventare un ente realmente autonomo, in grado di coordinare tutti i soggetti preposti ai controlli. Senza una regia unitaria, qualsiasi decreto resterà inefficace.”
Altro tema dimenticato è quello del lavoro sommerso, sul quale – ricorda Di Franco – “erano stati previsti interventi specifici finanziati dal PNRR. Ma oggi non abbiamo alcuna notizia dei risultati. Abbiamo chiesto chiarimenti all’ANPAL, ma non c’è trasparenza. Finché i vari organismi non condivideranno i dati, la lotta al sommerso resterà sulla carta.”
Le vittime del lavoro e la giustizia negata
Al dramma delle morti sul lavoro si somma, troppo spesso, quello dei familiari che cercano una giustizia che non arriva. “La nostra iniziativa ‘La Repubblica delle vittime del dovere’ – racconta Di Franco – ha voluto dare voce a chi resta. In Italia si parla di morti sul lavoro solo in termini di numeri, ma dietro ogni cifra ci sono persone, famiglie, vite spezzate. E chi resta è costretto a un calvario burocratico e giudiziario.” La Fillea ha avanzato proposte concrete: l’istituzione di una Procura nazionale per i reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e il riconoscimento giuridico di “vittima del dovere” per chi perde la vita sul lavoro. “Questo status consentirebbe ai familiari di accedere a diritti oggi negati, come le tutele economiche, la riserva nei concorsi e un percorso di accompagnamento. Pensiamo che sia un atto dovuto di civiltà.”
Altro tema cruciale è la liquidazione del danno in via provvisionale. “Non è accettabile – continua Di Franco – che chi perde un familiare debba attendere decenni per ottenere un risarcimento. In un Paese civile, come avviene per gli incidenti stradali, quando i fatti sono accertati il danno deve essere liquidato subito. È un modo per restituire dignità e futuro a chi resta.”
La rappresentanza come questione di legalità e sicurezza
Ma la sicurezza passa anche per la rappresentanza: da qui non si sfugge. “Il problema di fondo – insiste Di Franco – è che in Italia manca una legge sulla rappresentanza. Senza di essa si è creato un mercato dei contratti e della formazione che alimenta l’irregolarità e la precarietà.” Oggi esistono più di 900 contratti collettivi, ma la maggior parte sono siglati da soggetti non rappresentativi. “Molti di questi enti producono attestati di formazione che non corrispondono ad alcun corso reale. Quando si verifica un infortunio, scopriamo spesso che l’operaio aveva un patentino comprato, e che dietro non c’è nessuna formazione effettiva. È solo business, un po’ come la “patente a crediti”: non ha salvato nessuno, ma qualche consulente l’ha inserita fra i nuovi servizi, aggiungendo una voce al tariffario”.
“L’edilizia ha un contratto molto forte, che contiene molti elementi di regolarità, formazione e sicurezza, ma spesso non è conveniente per le imprese. In questo Paese le imprese possono scegliere qualsiasi contratto vogliono, come in un menù à la carte. Addirittura nel “Codice dei contratti” è stato introdotto il principio di equivalenza, quindi posso fare un lavoro edile applicando un altro contratto e dichiarando che, dal punto di vista economico e normativo, è equivalente. È evidente che questo, dal nostro punto di vista, non è possibile: non produce valore, ma insicurezza e irregolarità”. Per questo, prima di qualsiasi decreto interministeriale che applichi questo principio dell’equivalenza contrattuale, “bisognerebbe lavorare a una legge sulla rappresentanza”.
Per la Fillea, la bilateralità edile è un modello di riferimento, ma oggi “è sotto attacco”. La mancanza di regole chiare consente a chiunque di costituire un ente bilaterale e vendere formazione. “È un business sulla pelle dei lavoratori. Per questo – spiega Di Franco – serve una legge che riconosca come rappresentativi i soggetti che già oggi raccolgono il 90% dei lavoratori, ovvero quelli firmatari dei contratti depositati al CNEL.”
A settembre, il sistema bilaterale delle costruzioni ha firmato un accordo importante: ai familiari delle vittime viene garantita una borsa di studio mensile di 1.000 euro. “Abbiamo stanziato 15 milioni solo per gli edili. Il governo, invece, ha previsto tramite l’INAIL 25 milioni per tutti i lavoratori del Paese. È una misura simbolica, ma insufficiente. Ancora una volta, il sistema pubblico arriva dove il privato solidale ha già fatto di più.”
“Anche nell’ultimo provvedimento del governo vediamo una sottolineatura sugli interventi che riguardano le cadute dall’alto. Ma quello che noi ribadiamo è che se non si controllano i contratti di chi monta i ponteggi — e se oggi ancora vediamo ponteggi montati da metalmeccanici, idraulici o addetti ai servizi vari che non hanno alcuna formazione in ingresso, non sono sottoposti a comunità, non hanno percorsi di accompagnamento verso processi virtuosi come quelli delle nostre scuole edili — è evidente che non si va da nessuna parte. Anche qui un’occasione persa”.
Un’industria della casa per rilanciare il Paese
C’è un grande tema che Di Franco rilancia. Il governo ignora completamente il potenziale industriale del settore delle costruzioni. “La casa, negli ultimi anni, è diventata un bene primario per gli italiani. Dopo la pandemia, il settore ha rappresentato circa il 25% del PIL, se si considera l’intera filiera: edilizia, materiali, impiantistica, arredamento, immobiliare. Eppure, nonostante questi numeri, la casa non è trattata come una vera industria.”
I provvedimenti contenuti nella legge di bilancio vanno, secondo la Fillea, nella direzione opposta: “Si riducono le detrazioni al 50% per la prima casa e al 36% per la seconda, sparisce il 110%, e non c’è nulla per l’efficientamento energetico. È lo stesso governo che ha votato contro la direttiva europea ‘case green’, e che entro pochi mesi dovrà presentare a Bruxelles un piano di attuazione che probabilmente non arriverà. Rischiamo un’infrazione europea, e quindi nuove spese per i cittadini.”
L’idea di fondo della Fillea è chiara: servono politiche industriali integrate che riconoscano il valore strategico della casa, sia come motore economico che come diritto sociale.
“Un governo serio – dice Di Franco – investirebbe nella riqualificazione energetica, nell’edilizia popolare, nella casa come diritto all’abitare. Invece si scelgono nuove ‘rottamazioni’ fiscali che costeranno due miliardi: risorse che potevano essere destinate all’edilizia pubblica e alla transizione verde. È una scelta politica precisa, che svela una visione miope del futuro.”
Sicurezza, rappresentanza, industria: una sola battaglia
La conclusione di Di Franco è netta: “Quello che chiediamo non è un elenco di bonus o di incentivi, ma un cambio di paradigma. Sicurezza, rappresentanza e industria della casa sono tre facce della stessa medaglia: quella di un Paese che vuole essere civile, moderno e giusto. Oggi invece convivono imprese che rispettano le regole con altre che vivono nell’irregolarità, ispettori disorganizzati e famiglie abbandonate. E chi produce valore e professionalità rischia di essere penalizzato rispetto a chi sfrutta e improvvisa.”
“Serve una legge sulla rappresentanza per dare certezza ai contratti e dignità ai lavoratori. Serve un sistema ispettivo efficiente e una giustizia rapida per le vittime. Serve un piano per l’industria della casa che coniughi sviluppo, sostenibilità e diritto all’abitare. Solo così potremo dire di vivere in un Paese civile.”