IL RAPPORTO I-COM
In Italia tanta ricerca e formazione sull’IA. Digitalizzazione ok nel pubblico, Pmi ferme: 70,2% su target 90%. Solo 4% di specialisti Ict
La transizione digitale italiana avanza nel pubblico ma non nel settore aziendale e . Secondo il rapporto annuale dell’Istituto per la Competitività (I‐Com) su reti e servizi di nuova generazione, presentato ieri a Roma, agli attuali ritmi l’Italia dovrà attendere l’anno 2152 per la digitalizzazione delle Pmi e il 2481 per le skills digitali. Proiezioni quasi astratte ma che danno l’idea di quanto siamo lontani dal fare progressi completi in questo settore. Al netto dell’aumento di consapevolezza, conoscenza e uso popolare dell’intelligenza artificiale generativa. Tra i risultati principali del report, ad esempio, c’è il contrasto tra pubblico e privato: al 2027, verranno completati i servizi per i cittadini e l’accesso alle cartelle cliniche elettroniche. Di contro, però, le Pmi italiane restano lontane dal target del 90% di digitalizzazione con il 70,2% attuale e una crescita quasi ferma. Un altro fronte negativo è quello della specializzazione Ict, ferma al 4%.
Il quadro, insomma, è assai migliorabile in tanti fronti. L’Italia, secondo l’I-Com Ultrabroadband Index 2025, è quattordicesima in Europa per lo sviluppo delle reti e dei servizi digitali. Eppure, nel campo della formazione e della ricerca siamo tra i top con 1.143 tra insegnamenti singoli, corsi di laurea, master e progetti di ricerca in dottorato dedicati all’intelligenza artificiale. Il Lazio si colloca in testa con il maggior numero di corsi specializzati (85), seguito da Toscana (38) e Campania (36). La Lombardia primeggia per l’offerta non specializzata (185), seguita da Lazio (103) ed Emilia-Romagna (92).
Guardando da vicino alle imprese, l’Italia è quintultima in Europa per digitalizzazione con il 27,2% contro una media Ue del 34,3% . E solo il 17,9% (rispetto al 22,3% europeo) delle aziende offre corsi dedicati ai dipendenti. Sebbene nel 2024 l’8,2% delle imprese italiane abbia registrato di avere almeno dieci addetti all’uso di tecnologie Ia, contro il 5% del 2023. Mentre in ambito pubblico il nostro Paese raggiunge il 69,4%, poco sotto la media Ue (74,5%), e la percezione di utilità è alta: il 60% degli italiani ritiene che la digitalizzazione dei servizi pubblici e privati renda la vita più facile e un ulteriore 13% la giudica molto più facile, evidenziando come oltre sette italiani su dieci colgono un beneficio diretto dalla digitalizzazione dei servizi. Più in generale, l’identità digitale è in espansione, usata dal 39% degli italiani (contro il 36% europeo). Gli indicatori di digitalizzazione dei servizi pubblici segnano un punteggio di 85,57 per i cittadini (+22,4%) e 80,93 per le imprese (+6,1%). Il target potrebbe essere quindi centrato nel 2027 per i cittadini e nel 2031 per le imprese. E anche la Pubblica Amministrazione sta muovendo i primi passi verso l’adozione dell’Ia: dall’automazione delle procedure burocratiche all’uso di chatbot per assistere i cittadini, fino all’analisi predittiva per la pianificazione urbana o la gestione delle emergenze. Nel 2024, la spesa per queste soluzioni è cresciuta del 45,5%, raggiungendo €47 milioni, con una prevalenza delle amministrazioni centrali. Ma i forti gap rimangono soprattutto a livello locale, tra carenze di competenze e risorse.
Sui data center (oggi sono 204), dice I-Com, il 46,7% degli italiani non ha notizia della loro presenza sul proprio territorio, mentre per il 21,7% degli intervistati non costituisce tema di interesse. Eppure, il 25,9% dei rispondenti ne ha invece una percezione positiva, ripartita in parzialmente positiva (14,1%) e assolutamente positiva (11,8%).
“La digitalizzazione rappresenta il motore della trasformazione economica e sociale: l’Italia sta (lentamente) colmando il divario con l’Europa, ma serve rafforzare decisamente il livello di competenze digitali e investire di più nella diffusione delle tecnologie avanzate tra la popolazione e tra le imprese, sostenendo in particolare le Pmi”, commenta il presidente di I-Com Stefano da Empoli. “Inoltre, è necessario rendere la Pubblica Amministrazione davvero digitale, efficiente e vicina ai cittadini e allo stesso tempo fornitrice di dati che possano abilitare l’innovazione di startup e aziende. Alle PA, in particolare a quelle locali, spetta anche respingere le opposizioni minoritarie ma spesso vocali che riguardano infrastrutture strategiche per il Paese, dal 5G e dalla banda ultralarga ai data center, naturalmente nella massima garanzia della trasparenza amministrativa e delle leggi a tutela di ambiente e salute. Solo così potremo costruire un ecosistema digitale capace di coniugare tutela delle persone, sostenibilità e competitività nel nuovo scenario europeo e
internazionale”.