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Ddl rigenerazione urbana, mancano strumenti adeguati per intervenire in caso di frammentazione della proprietà immobiliare

09 Ott 2025

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Un atto fortemente strutturato, suddiviso in ben 14 articoli, con finalità ambiziose  di trasformazione dell’assetto urbanistico, edilizio ed architettonico, attraverso il recupero del patrimonio costruito negli ambiti urbani. L’intento è quello di migliorare la qualità, l’efficienza energetica ed idrica, la sicurezza sismica, l’accessibilità, le dotazioni tecnologiche, la tutela ambientale e del paesaggio, nel solco degli obbiettivi europei di azzeramento del consumo di suolo.

Entra nel novero formale delle definizioni la “rigenerazione urbana”, intesa come l’azione di trasformazione, urbana ed edilizia, in ambiti urbani su aree e complessi edilizi (dimenticando forse gli interi immobili e gli edifici, più volte ripresi dalla norma),prioritariamente quelli caratterizzati da degrado urbanistico, che determinino un “saldo zero” di consumo di suolo o delle emissioni climalteranti, anche mediante azioni di rinaturalizzazione dei suoli consumati in modo reversibile, tramite la de-impermeabilizzazione e la bonifica.

Si introducono altre definizioni urbanistiche rilevanti, come ad esempio il concetto di “ambito urbano”,“cintura verde”,“degrado”, “isola di calore”, “impronta ecologica” e di “centri storici”,  quest’ultima ripresa pedissequamente dal Disegno di Legge AS 761 ma proposta già all’articolo 1 del Disegno di Legge AS 970 della XVIII Legislatura. Resta assente la definizione di “sostituzione”, più volte indicata nel provvedimento così come in alcune leggi regionali sulla rigenerazione urbana.

Come spesso accade, le definizioni restano circoscritte all’ambito di applicazione della legge, col rischio di creare un’ulteriore stratificazione  piuttosto che un organico e quantomai auspicato riordino complessivo delle disposizioni in materia urbanistica ed edilizia.

Un provvedimento atteso, con contenuti rilevanti al fine di agevolare la riqualificazione e messa in sicurezza degli immobili e dei complessi edilizi, ma la cui finalità va ben oltre l’intervento sul costruito. Ridisegnare parte degli ambiti urbani, compresi i centri storici, significa restituire al territorio e alla comunità luoghi d’incontro, aggregazione e coesione sociale. Quindi, partendo da una situazione di disagio sociale e degrado urbanistico, l’obiettivo è ri-generare, ridare vita.

Gli strumenti previsti sono molteplici, da quelli premiali e di semplificazione ai programmi nazionali e comunali di rigenerazione urbana, dai fondi agli incentivi economici e fiscali, anche attraverso criteri che favoriscano la qualità della progettazione.

In questo quadro, un fattore fondamentale è rendere concretamente attuabili gli interventi, soprattutto quando ci si trova in situazioni con forte frammentazione della proprietà, in particolare nei contesti storici.

Il legislatore individua nel consorzio unitario di aggregazione della piccola proprietà immobiliare, di cui alla lettera d) del comma tre dell’articolo tre,  il principale strumento operativo.

Il dettato normativo prevede che il consorzio si possa costituire con almeno i tre quarti del valore degli immobili compresi nell’intervento, calcolati sulla base dell’imponibile catastale.

La determinazione del valore su base imponibile catastale non può garantire coerenza e omogeneità e pertanto rischia di essere un dato scorretto ed iniquo. Si pensi a realtà con diverse funzioni: residenziali, produttive, terziarie e/o commerciali. Il calcolo porterebbe a risultati inaccettabili e facilmente contestabili. Inoltre le aree libere, spesso ancora impropriamente censite al catasto dei terreni, avrebbero valori del tutto avulsi dalla realtà.

Se non si ritiene opportuno definire specifici parametri di calcolo (si veda ad esempio il valore locativo ad equo canone), meglio comunque sarebbe utilizzare le quotazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI), così come i valori medi delle aree edificabili ai fini IMU, determinati dai comuni per i terreni liberi da fabbricati.

Anche con riferimento alla percentuale minima di aderenti per la costituzione del consorzio si potrebbe pensare di ridurla al cinquantuno percento, agevolando la formazione e presentazione dei progetti.

Un nodo fondamentale da risolvere è la definizione delle procedure atte a garantire l’accesso alla disponibilità del valore immobiliare non costituito in consorzio (immobili appartenenti a soggetti non aderenti), altrimenti il rischio è quello di ingessare gli interventi, ancorché definitivamente approvati.

Un ulteriore aspetto applicativo interessante è riferito alle condizioni di regolarità degli immobili sottoposti a rigenerazione, nei casi di incentivazione, ovvero per quelli situati nelle aree a rischio e per i quali i piani di rigenerazione prevedono la possibilità di delocalizzazione .

Nel caso di premialità volumetriche e di superficie di cui all’articolo 3 lettera b), il successivo comma 4 precisa che gli incentivi non possono riferirsi ad edifici abusivi, o siti in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo in sanatoria.

Nel secondo caso (delocalizzazione), l’articolo 5 comma 6, indica che sono esclusi dalla possibilità gli immobili realizzati in assenza di titolo edilizio o in totale difformità da esso, per i quali non sia intervenuta l’eventuale sanatoria o legittimazione ai sensi della normativa vigente.

Le due disposizioni sono solo apparentemente simili: di fatto quella di cui all’articolo 5 comma 6 è certamente più corretta e strutturata, pertanto sarebbe opportuno un allineamento delle condizioni di legittimità per entrambe le disposizioni.

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