PROGETTO CORALE / 14
L’ego dell’architetto e l’architettura che si prende cura dei luoghi (senza lavorare per se stessa)
Cosa succede se un committente, un ingegnere, un’urbanista, una fotografa, un giornalista e un critico si trovano in un luogo magico e discutono del tema “L’ego dell’Architetto” davanti ad una platea fatta prevalentemente da architetti? E’ quanto è accaduto sabato scorso a Borca di Cadore, durante il convegno organizzato dall’Associazione Edoardo Gellner, e quello che ne è scaturito è stata una bella riflessione che vale la pena raccontare.
Molti di questi sono interessanti di per sé, ma diventano essenziali nel momento in cui si cerca di capire la relazione tra Architettura e Rigenerazione Urbana.
Se, infatti, ci rifacciamo al significato primo della parola architettura, formata dal termine greco archè, che significa principio, guida, origine, e dal termine techtón, che significa creare, plasmare, inventare, capiamo subito che l’architettura si configura come una disciplina che ha in sé il saper fare tecnico, ma anche l’arte, la capacità sublimativa e la consapevolezza teorica. Questo implica pertanto che l’architettura nasca complessa e interdisciplinare e si sviluppi nei secoli come disciplina il cui scopo ultimo è l’organizzazione dello spazio antropizzato in cui vivono gli esseri umani.
Se dunque la intendiamo così, l’architettura va ben oltre il solo progetto di edifici, e diventa l’attività che consente di dare una forma al modo dell’uomo di vivere un territorio: parliamo dunque di architettura dei fabbricati, ma anche delle infrastrutture, del paesaggio, della composizione urbana. L’architetto, dunque, è colui che svolge un’arte ma anche un servizio, che prende le proprie competenze ma anche la propria capacità immaginifica e le mette a servizio di un luogo, inteso come unione di spazio, cultura ed esseri umani. E’ colui che struttura la dimensione fisica per consentire alle persone di viverla esprimendo se stessi come individui e come collettività.
Se ciò è vero in generale, risulta evidente il portato di questa attività quando si parla di Rigenerazione, ovvero di processi di riattivazione di luoghi, in cui le stratificazioni storiche, culturali, economiche e sociali sono molteplici e interconnesse ed è necessario conoscerle, interpretarle e farle interagire in una dimensione fisica efficacemente ripensata alla scopo. E’ evidente, dunque, che l’architettura della rigenerazione è quanto di più lontano dallo stereotipo dell’Ego dell’architetto come inteso per anni dai mass media. L’architettura della Rigenerazione è uno strumento e non un fine, uno sguardo complesso sulle cose e le loro relazioni, che genera una cornice di senso e opportunità attraverso le forme. L’architetto della Rigenerazione è dunque un master, che sa declinare il genius loci in sequenze di luoghi, all’aperto ed edificati, pubblici, collettivi e privati, per far emergere quello che il luogo ha da dire e per riconnetterlo alle comunità che già lo abitano o che lo andranno a popolare.
L’architettura dell’Urban Regeneration Porject del Lachine Canal a Montrèal è una architettura dei bordi, non gridata ma discreta, che lascia il ruolo da protagonista al canale riqualificato, che trasforma le sue sponde in un palcoscenico per la narrazione della storia e per l’aggregazione sociale attorno al main character del corso d’acqua, che, con i volumi delle nuove residenze, costruisce la quinte, ben definite e vitali, su cui si staglia la vita sociale della comunità che pulsa attorno all’acqua nuovamente limpida del canale.
L’architettura del rigenerato quartiere Vila Nova de Gaia a Oporto non cerca visibilità, è quasi mimetica rispetto al tessuto urbano in cui si inserisce, ma, al tempo stesso, lo rafforza e gli dona maggiore carattere e capacità di distinguersi e attrarre. I tetti in coppi delle Cantine di Porto e i loro volumi bassi e lunghi sono stati recuperati e interconnessi con nuovi inserti di architettura contemporanea e spazio pubblico per creare un distretto culturale e commerciale, chiamato WOW, affacciato sul fiume Douro, che dialoga senza senso di inferiorità ma al contempo con rispetto con il centro storico e il waterfront di Oporto, dall’altra parte del fiume.
E’ una architettura contemporanea e molto riconoscibile quella del progetto di rigenerazione del quartiere Nordhavn a Copenhagen, che però “sembra essere sempre stata lì”, pur nella sua visibile modernità. Il cuore di questo progetto era la riattivazione dell’area del vecchio porto, una delle zone più storiche di Copenaghen. Un tempo fulcro dell’industria, ospitava fino agli anni ‘80 isolati residenziali e attracchi per imbarcazioni, ed era circondato da canali, bacini d’acqua e dal mare aperto. Mantenere l’originalità di Nordhavn è stata da subito una priorità, l’intento non è mai stato quello di snaturarla al grido di “innovazione”, bensì di usare l’innovazione per reinterpretare, riqualificare sostenibile e adeguare gli spazi di vita alle esigenze della contemporaneità, compreso il bisogno di sentirsi in un luogo radicato e denso di storia. Il piano di sviluppo del nuovo quartiere ha dunque previsto la costruzione di piazze, strade pedonali e spazi di incontro, tutti strumenti per facilitare la mobilità e gli incontri. I nuovi edifici rientrano tutti nella fascia dai tre ai sei piani, una scelta intenzionale volta a preservare il carattere originario di Nordhavn e dell’architettura di Copenaghen. Il progetto ha inoltre sfruttato la posizione privilegiata sul lungomare, creando una splendida passeggiata direttamente sul mare e una serie di spazi, come piscine, banchine e residenze in riva all’acqua.
Il terreno comune a queste e alle più riuscite esperienze di Rigenerazione è dunque una architettura che si prende cura dei luoghi, che “lavora” per loro e non per se stessa, dialogante e non autocompiaciuta. E, in questo, possiamo dire una architettura che esprime l’ego dell’architetto, inteso, come ben detto sabato dalla ex Presidente dell’Ordine degli Architetti di Belluno, come passione per il proprio lavoro che rende la ricerca continua e instancabile, senso di responsabilità verso il territorio e le comunità locali, generosità verso il progetto e i suoi destinatari, che conduce a non chiudersi in un formalismo di stile cercando invece risposte specifiche e ben radicate nei luoghi.
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