IL DIBATTITO SULL'INTERVENTO DI BELLICINI
L’irresistibile nostalgia per il CER e la GESCAL: fondare una nuova politica rileggendo quell’esperienza
L’articolo di Lorenzo Bellicini sulla “questione casa” riporta, ovviamente con molta lucidità e competenza, fatti e numeri che consentirebbero a chi ne avesse voglia di “prendere le misure” e proporre, come appare ormai indispensabile, una “nuova” politica della Casa, con un diverso DNA rispetto a quello del secolo scorso. Non ripercorro i dati forniti da Lorenzo perché sono ben consapevole che chiunque abbia vissuto la nascita, lo sviluppo e la chiusura delle politiche sull’edilizia popolare (uso il termine volontariamente, per riportarlo alla Legge Luzzatti del 1903) ovvero dell’edilizia residenziale pubblica li conosce e, soprattutto, è in grado di confrontare l’impegno (politico, istituzionale, amministrativo, …) di allora a fronte di quello che siamo costretti a sentire oggi. Eppure, in Europa sta accadendo qualcosa che, a mio avviso, è quasi epocale: la casa, nelle politiche dichiarate dalla Presidente e con la nomina di un Commissario dedicato, è passata da essere un tema “laterale” a quello urbano (o una misura di supporto all’annessione della ex DDR) ad una linea di azione e di finanziamenti dedicata all’equità abitativa ed energetica in un’ottica di coesione sociale del territorio europeo.
A fronte di questo nuovo passo indicato dalla UE, il Governo e il ministro competenti, ormai da molti anni, propongono finanziamenti palesemente inadeguati, misure specifiche e “puntuali” anziché strutturali, generaliste e diversificate (nel senso, appunto, degli obiettivi della Legge Luttazzi dei primi anni del secolo scorso) mirate a fornire un servizio abitativo per chi ha i requisiti di accesso al sostegno pubblico, offrire opportunità di locazione “abbordabile” (siamo coscienti che la legge n.431 compie, quest’anno, 27 anni?) a chi non ha la possibilità di accedere alla proprietà della casa o ha bisogno di studiare fuori sede, a supportare una seria riqualificazione (urbana? Edilizia?) per consentire, da una parte, il rinnovo del patrimonio immobiliare e dall’altra far incontrare le disponibilità finanziare della domanda con un “giusto” prezzo dell’offerta. Per fare questo, conti alla mano come dimostra Bellicini, stiamo parlando di più di un miliardo l’anno per non meno dieci anni; in sintesi, la provvista finanziaria che veniva fornita, anche con importante una funzione solidale, dalla Gescal posta a carico in parte ai lavoratori e in maggior parte alle imprese.
Per ridurre il costo del lavoro, nella illusione che la “questione casa” fosse stata risolta dall’alta percentuale dei proprietari di casa, alla fine degli anni ’90 la Gescal (in realtà, già ex con la fine del Piano Fanfani) fu abrogata. Per un decennio circa sono state utilizzate le risorse giacenti, circa 12-14 mila miliardi di lire, fino all’esaurimento completo. Per gestire le risorse della ex Gescal – chi ha la mia età lo ricorda – nel 1971 fu creato un Comitato politico, il Comitato per l’edilizia residenziale (CER), fu varato un piano decennale e istituito un Segretariato con più di cento funzionari e dirigenti. Ma, soprattutto, anche in maniera conflittuale ma sicuramente fertile, era costante il rapporto con le Regioni e con le Amministrazioni comunali. Troppo facile, oggi, dopo quasi trent’anni dire “aridatece er CER” (scusatemi per il dialetto romano) o pensare di ripristinare una trattenuta sul costo del lavoro da destinare alla casa. Occorre trovare soluzioni nuove per finanziare costantemente la politica della casa, è necessario utilizzare questi finanziamenti con un giusto e proporzionale “blending” (fondo perduto, a garanzia, revolving, …) utilizzando la strada aperta dalla UE, serve riattivare una “macchina” istituzionale e imprenditoriale diversificata, dagli ATER alle imprese private, passando per le Cooperative, è indispensabile continuare a coinvolgere il mondo della finanza strutturata; ma tutto questo è possibile solo se si ha il coraggio di avere una visione che vada oltre la scadenza elettorale. Infatti l’abitare, termine molto complesso che ricomprende non solo il costo della casa, ma anche la qualità della vita urbana, l’istruzione, la salute e, non ultimo, il lavoro anche in termini di livello adeguato di stipendi per consentire ad una famiglia di vivere decentemente, dovrebbero essere temi costantemente presenti nell’Agenda politica del Governo e dell’Opposizione. Ma non sembra sia così.
Per essere chiari, nonostante il tono forse provocatorio di questo breve scritto, non ci deve essere nessuna nostalgia dei tempi passati, anche perché i meccanismi relazionali, istituzionali e politici sono del tutto diversi rispetto a quelli del secolo scorso. Ma la traiettoria che occorre definire, oltre a individuare finanziamenti strutturali adeguati e certi, deve prevedere soprattutto la (ri)costruzione della filiera istituzionale Stato-Regioni-Comuni coesa come, peraltro, è stato già proposto più volte dalla Corte costituzionale, laddove ha definito in diverse sentenze la ripartizione delle competenze e le responsabilità di questi soggetti. Non è quindi importante il nome, ma è, invece, rilevante dare certezze e sicurezze istituzionali; tra l’altro anche per convincere il “mitico” privato ad investire nell’housing sociale (uso il temine, anche abusato, di questo secolo apposta) e ottenere un “giusto”, ma certo, profitto partecipando ad un nuovo modo di esprimere la solidarietà sociale sulla delicata “questione casa”. Sono pessimista, tuttavia, sul fatto che si possa trovare oggi un interlocutore politico, istituzionale, amministrativo che sia in grado di capire come l’abitare sia un fattore essenziale per la nostra società, che sostituisca soggetti in grado solo di utilizzare slogan e promesse che svaniscono nei pochi secondi di un “Tik-Tok”.