Trovare le parole giuste per parlare della Gestione Informativa Digitale (GID) alle Stazioni Appaltanti

10 Lug 2025 di Angelo Ciribini

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La maggiore difficoltà che incontra colui o colei che desideri introdurre la Gestione Informativa Digitale (GID), ostinatamente percepita come BIM, alle stazioni appaltanti è evidentemente quella di trovare le parole giuste. In apparenza, tali termini e le conseguenti locuzioni sarebbero da rintracciarsi nel testo di legge (nel Codice dei Contratti Pubblici) e nella normativa volontaria (a livello di UNI, di CEN e di ISO), ma è palmare che il corpo disciplinare che si è creato nel corso degli anni, in continua evoluzione, sia destinato agli iniziati. Del resto, ciò che il Codice richiede è spesso mal inteso nella logica di uno sterile adempimento formale. Per questa ragione, più che voler illustrare il contenuto del disposto legislativo e, più in generale, del tema, vale la pena di provare a spiegare quale obiettivo la Gestione Informativa Digitale (GID) si possa porre al cospetto delle stazioni appaltanti, includenti le amministrazioni pubbliche, ma riguardanti anche altre tipologie organizzative.

La finalità dell’adozione e della successiva implementazione della Gestione Informativa Digitale (GID) si può riassumere essenzialmente in due elementi: l’incremento della produttività (considerata nell’accezione più vasta) delle organizzazioni che rappresentano il versante della domanda pubblica; la mitigazione del rischio connesso alla gestione degli investimenti pubblici.
Per ottenere tali esiti ciò che si richiede alle organizzazioni in questione è di ripensare la propria struttura organizzativa, a prescindere, di fatto, dal singolo investimento o procedimento, e i relativi processi gestionali, in vista della ottimizzazione della gestione del patrimonio immobiliare e infrastrutturale indisponibile e della valorizzazione di quello disponibile.
La rivisitazione della dotazione organica (della riqualificazione delle risorse umane) e dei processi gestionali concerne, pertanto, la gestione complessiva dei programmi o dei portafogli di investimento e dovrebbe avere come primo attore operativo il soggetto economico-finanziario delle amministrazioni, chiamato a redigere il programma pluriennale degli investimenti, in considerazione dei fini espressi dai programmi politici di mandato e dall’analisi socio-economica della comunità territoriale o meno di riferimento, inclusiva del programmazione economico-finanziaria.

Per questa ragione, la Gestione Informativa Digitale (GID) dovrebbe nascere dal confronto tra gli organi politici e dirigenziali, con l’intento di configurare un ecosistema digitale il più possibile interoperabile (nel senso di creare piattaforme specifiche interrelate in una logica distribuita) che assicurino la coerenza e la continuità dei flussi informativi che veicolino le decisioni politiche e tecniche, in senso lato, dalla strategia embrionale all’ingresso del bene immobiliare ovvero infrastrutturale nell’anagrafe digitale patrimoniale, che potrebbe persino tradursi in un insieme connesso dei cosiddetti Gemelli Digitali, sempre che essi esistano davvero, stante l’abuso costante dell’espressione perpetrato a destra e a manca.
Assicurare che i flussi informativi, vale a dire dati strutturati in informazioni, possano assumere nel corso dello sviluppo dell’investimento pubblico, spesso, purtroppo, nato estemporaneamente a causa di circostanze impreviste o eterodirette, una intrinseca coerenza vuol dire, prima di tutto, possedere una rappresentazione urbanistica geo-spaziale del territorio oggetto dell’intervento, in cui non si collochi letteralmente solo l’opera da progettare e da realizzare (per poi gestirla), ma anche la conoscenza delle condizioni economiche, sociali e culturali della popolazione che, in qualche modo, abbia a che fare con il cespite oggetto dei contratti pubblici.

Si tratta di un concetto ben chiaro sia a chi debba promuovere la realizzazione di un complesso natatorio sia a chi debba realizzare una infrastruttura ferroviaria. Ciò aiuta a comprendere come la digitalizzazione, nell’accezione di produzione e di scambio di dati (strutturati), a livello del singolo intervento, a prescindere dalla natura e dall’importo dei lavori, sorga con il quadro economico, con il documento di fattibilità delle alternative progettuali e con il documento di indirizzo alla progettazione. Il che significa che le finalità espresse nel programma triennale degli investimenti e nel bilancio previsionale debbano essere formulate in maniera analitica attraverso dati, oltre che documenti, per poter essere successivamente, in assenza di soluzioni di continuità, prodotti e scambiati (transati) nelle richieste formulate ai candidati alle procedure competitive e agli affidatari dei contratti di servizi (di ingegneria e di architettura), dei lavori e delle forniture secondo modalità computazionali, vale a dire, comprensibili nonché interpretabili dagli algoritmi. La Gestione Informativa Digitale (GID) comporta, pertanto, che si predisponga un ecosistema digitale composto almeno dal sistema informativo per la previsione degli investimenti pubblici, dalla piattaforma di approvvigionamento digitale, dall’ambiente di condivisione dei dati, dal sistema di monitoraggio e di controllo degli investimenti e dalla anagrafe digitale della gestione patrimoniale.

Sostanzialmente, a partire dalla formazione della volontà politica da parte dei soggetti elettivi e dal loro confronto con la dirigenza apicale della amministrazione, si genera un confronto basato sulla esplicitazione analitica e disambiguata dei contenuti degli investimenti (dalla profilazione delle esigenze che debbano essere soddisfatte alla esplicitazione delle previsioni progettuali) e dalla loro verifica di conformità che, nei termini delle strategie, implicano decisioni conseguenti tratte dalla negoziazione iniziale tra i soggetti politici e quelli dirigenziali.
Già questa considerazione illustra come si stia parlando di riforma della amministrazione pubblica in toto, incentrata su processi semi automatizzabili operati da strutture di dati, anziché di qualche tema settoriale più o meno oscuro, evocato dall’acronimo BIM.

Con il documento di indirizzo alla progettazione, integrato dal capitolato informativo, non si ha, dunque, l’avvio del procedimento tecnico-amministrativo, bensì l’epilogo della prima fase, interna alla organizzazione pubblica, non solo alla stazione appaltante o all’ente concedente, da cui discenderanno le transazioni contrattuali e le transizioni informative nelle fasi della meta-progettazione (della progettualità del committente pubblico), della progettazione, della realizzazione e della gestione. Ecco, perciò, che la precondizione per cui sia possibile agire entro l’ecosistema digitale, avendo al centro la programmazione della molteplicità degli investimenti e l’attuazione della gestione del ciclo di vita del patrimonio indisponibile e disponibile sia una condivisione semantica (tramite le ontologie e altro) tra le diverse culture, politiche e gestionali, che connotano l’organizzazione pubblica, perché la continuità dei flussi informativi richiede la convergenza dei linguaggi e la comunione degli interessi.

Nel momento in cui i soggetti che operano all’interno e per conto della amministrazione pubblica siano in grado di procurare questa unitarietà di intenzioni e una capacità analitica di espressione dei propri intendimenti, la gestione dei rapporti con i fornitori appartenenti al ceto professionale e alla classe imprenditoriale sarà basata sulla produzione di richieste di contenuti e di informazioni che rifletta una padronanza completa della natura dell’oggetto contrattuale (tradotto in beni fisici e nel loro corredo informativo) e la capacità di verificarne il conseguimento.
L’approccio sostanzialmente comporta che la produttività dell’investimento pubblico non si misuri esclusivamente in termini di tempi e di oggetti, ma che dia garanzia di soddisfare le esigenze della comunità di riferimento, con evidente dividendo riscuotibile dal soggetto politico, soggetto, tautologicamente, al consenso degli elettori.
D’altra parte, la possibilità di utilizzare metriche di valutazione delle prestazioni in maniera tempestiva dovrebbe permettere ai soggetti finanziari pubblici oltreché privati, di offrire condizioni più vantaggiose alle amministrazioni pubbliche e di ampliare il novero degli interventi supportabili.

Al centro della Gestione Informativa Digitale (GID) insistono, di conseguenza, il soggetto politico e la dirigenza apicale, che si muovono in un contesto multi-procedimentale finalizzato alla gestione dell’intero patrimonio, supportati dalle metodologie di Project & Risk Management, tale per cui gli attori economico-finanziari, giuridico-amministrativi e tecnico-gestionali, rafforzino l’efficacia e l’efficienza dell’amministrazione.

Tutto ciò sollecita, poi, l’amministrazione pubblica o l’ente pubblico a confrontarsi sulla disponibilità e sulla capacità del ceto professionale e della classe imprenditoriale ad aderire a questa impostazione, che necessita sia di una disciplina, mentale ancor prima che esecutiva, rigorosa e uniforme sia di una dialettica continua, alimentata da richieste e da forniture, da produzione e da scambio di dati e di informazioni che percoli all’interno delle catene di fornitura.

Ovviamente, la produzione e lo scambio dei dati e delle informazioni non può certo esaurirsi nella modellazione informativa (nel famigerato BIM), ma deve estendersi alla totalità dei contenitori informativi, per permettere una migliore interrogazione delle basi di dati ai fini del controllo di conformità.
Naturalmente, la produzione dei dati e delle informazioni avviene ormai attraverso un universo in dilatazione dei dispositivi digitali, hardware e software.

Occorre, infine, iniziare a proporre il tema alla classe politica e alla classe dirigenziale coinvolte nelle amministrazioni pubbliche. L’intendenza, intesa come gli apparati economico-finanziari, giuridico-amministrativi e tecnico-gestionali (inclusi gli ICT People), seguirà. Queste considerazioni paiono eloquenti per intuire come la nozione di obbligo, quella di soglia o quella di natura dell’intervento non possano cogliere appieno i portati di una trasformazione digitale che verte sulla riconfigurazione delle organizzazioni.

Che molte amministrazioni oggi non percepiscano il senso ultimo della Gestione Informativa Digitale (GID) è del tutto comprensibile, tanto che sia opportuno predisporre modelli linguistici che parzialmente suppliscano alle criticità proprie delle stazioni appaltanti. Resta, però, una considerazione fondamentale: non potranno facilmente restare in futuro «sul mercato» committenze pubbliche e private incapaci di governare i processi entro un ecosistema digitale.

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