DOPO L'INTERVISTA A BUSìA

Per digitalizzare gli appalti occorre integrare le fasi dell’affidamento e dell’esecuzione rendendo interoperabili piattaforma di approvvigionamento digitale e ambiente di condivisione dei dati

È d’uopo ricordare che il codice dei contratti menziona la Gestione Informativa Digitale (GID), in luogo dell’abusato Building Information Modelling (BIM), in quanto la centralità della tematica si sta spostando rapidamente sul Data Management e sull’Information Management, e, nel medio termine, sull’Intelligenza Artificiale, come è testimoniato dai lavori del gruppo di lavoro ISO che, proprio in questi giorni, presso l’Università degli Studi di Brescia, sta ponendo mano a una profonda revisione delle norme della serie UNI EN ISO 19650, i documenti di riferimento per i mercati internazionali in materia.

02 Lug 2025 di Angelo Ciribini

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Occorre, inoltre, ricordare come una prossima revisione dello stesso codice richiederebbe una stretta integrazione tra la fase dell’affidamento del contratto pubblico e quella della sua esecuzione, specie in materia di appalti di lavori, di servizi (ad esempio, servizi globali) e di forniture (a titolo esemplificativo, locazione finanziaria e contratto di disponibilità), oltre che di concessioni, vale a dire che esigerebbe una interoperabilità tra la piattaforma di approvvigionamento digitale e l’ambiente di condivisione dei dati.

Ciò non è sinora accaduto poiché le due fasi di gestione del contratto pubblico, affidamento ed esecuzione, nell’ambito della legislazione, presentano differenti riferimenti culturali e operativi.

Non si dimentichi, peraltro, che l’introduzione dell’e-Procurement, di grande prospettiva, ha incontrato sinora non poche criticità, almeno nella percezione di molti operatori della committenza pubblica, inducendo, probabilmente, notevoli riserve presso di essi sulla funzionalità della digitalizzazione, già avvertita con il precedente Codice attraverso la modellazione informativa, per la quale l’atteggiamento dilatorio è stato diffuso.

In realtà, il tema è quello di introdurre nelle amministrazioni pubbliche, ancor prima che nelle stazioni appaltanti e negli enti concedenti, un ecosistema digitale che assicuri la continuità dei flussi informativi a supporto dei processi decisionali dalla programmazione socioeconomica e finanziaria sino alla gestione e alla valorizzazione patrimoniale e al monitoraggio degli investimenti pubblici.

Sotto questo profilo, non si può dare una effettiva distinzione tra digitalizzazione procedurale, gestionale e progettuale (o persino realizzativa), poiché, in definitiva, il presupposto risiede nella convergenza tra unità organizzative e culture disciplinari e in quanto, ad esempio, le strutture di dati presenti nei modelli informativi possono agire direttamente nella piattaforma di approvvigionamento digitale.

In realtà, sono già in atto tentativi sperimentali di introdurre, grazie ai dati e alle informazioni, processi semi automatici nella gestione dei contratti pubblici e, in futuro, i data set derivati dalla modellazione informativa serviranno al MEF.

D’altro canto, bisogna osservare come sia necessario ripensare radicalmente la nozione di modello informativo, tutt’altro da quanto sostenuto e attuato da una vulgata che, nel migliore dei casi ha utilizzato la modellazione informativa (ormai solo un sotto insieme del vasto universo digitale) secondo criteri analogici, coll’intento di migliorare prassi consolidate.

Sinché non si vedrà la convergenza su ontologie e su modelli e dizionari  di dati e non si assisterà a una adozione dei Linked Data, si continuerà a discorrere di modelli geometrico dimensionali, più o meno utili.

Resta la constatazione che, di là dei migliori casi, spesso difficilmente scalabili, la trasformazione digitale passi attraverso l’interiorizzazione della cultura del dato e la sua adozione verticale nelle catene di fornitura e dovrebbe investire sia il versante della domanda, in questo caso pubblica, e dell’offerta, professionale e imprenditoriale, privata.

Appare, peraltro, palese come per le medie e per le piccole stazioni appaltanti (tralasciando gli enti concedenti) difficilmente le esperienze e le pratiche dei soggetti maggiori potrebbero fungere da casi da imitare, se non per la determinazione delle tematiche, come la digitalizzazione effettiva della direzione dei lavori e del collaudo tecnico amministrativo.

Sarebbe, invece, necessario promuovere azioni specifiche, a livello tematico e territoriale, fondate su comunità di pratica: il fatto che alcune amministrazioni regionali e provinciali autonome mettano a disposizione degli enti locali il proprio ambiente di condivisione dei dati è illuminante e promettente, di là della condivisione della piattaforma di approvvigionamento digitale e della attività dei soggetti aggregatori e delle centrali di committenza.

Servirebbe, poi, instaurare tavoli territoriali di sensibilizzazione sui temi e di prevenzione dei conflitti tra le rappresentanze della domanda e dell’offerta.

La questione fondamentale è, tuttavia, appunto quella di dotare le strutture di committenza della capacità analitica di dispiegare i requisiti contenutistici e informativi opportuni, per poi controllarne il conseguimento da parte della controparte contrattuale mediante modalità avanzate: precondizione indispensabile per una autentica digitalizzazione e condizione, attualmente, raramente rinvenibile.

Di conseguenza, si sta assistendo, da parte delle stazioni appaltanti, ma non solo, all’adozione di un approccio prevalentemente formale di adempimento degli obblighi di legge, sia sul piano documentale sia su quello strumentale, con le incognite residue sul reperimento dei profili professionali, approccio caratteristico di una interpretazione del famigerato BIM del tutto riduttiva e sostanzialmente, per adoperare un eufemismo, poco produttiva, alimentato da un mercato formativo, consulenziale e strumentale tendenzialmente ribassista.

Da questa prospettiva, il tema della narrazione evocativa e salvifica sulla digitalizzazione, e sul BIM, è terminato e sarebbe auspicabile evitare che iniziasse il periodo della banalizzazione e della neutralizzazione del fenomeno.

D’altra parte, più che sulla funzione di committenza, che richiederebbe una drastica rivisitazione degli organici, delle culture, delle competenze, al fine di recuperare produttività per il settore quale agente trasformativo, sarebbe consigliabile intraprendere, tanto sul versante della domanda quanto su quello dell’offerta, un serio dialogo degli operatori col mondo finanziario sulla mitigazione del rischio, anche alla luce della finanza sostenibile, avida di metriche affidabili.

Quale che sia la soluzione preferibile, è urgente costituire, come accaduto pressoché ovunque nei maggiori Stati Membri dell’Unione Europea, un Portale Nazionale e avviare una iniziativa di settore sullo Spazio Europeo dei Dati: magari avvalendosi degli European Digital Innovation Hub.

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