TRA ROMA E BRUXELLES/1

La fine dei frugali, il riavvicinamento Meloni-Macron e la partita degli Eurobond

Giorgia Meloni da quando è a Palazzo Chigi si è più volte definita “pragmatica” e questo pragmatismo – che in politica è anche il nome elegante del compromesso – lo ha esibito in diverse occasioni, ultima delle quali il lungo faccia a faccia con Emmanuel Macron. Al di là delle differenze ideologiche, delle appartenenze politiche c’è anzitutto – per chi governa – la necessità di arrivare a risultati concreti o quantomeno evitare danni. E rinsaldare il rapporto tra Italia e Francia era ed è una priorità per entrambi i leader e per la stessa Europa. La guerra commerciale dichiarata da Donald Trump a suon di dazi impone una risposta collettiva e non solo perché il commercio è competenza esclusiva della Ue. Meloni ha indossato i panni della pontiera ma non può permettersi di non restare agganciata a Bruxelles e quindi a Germania e Francia, che da sempre ne sono il motore e che sono i Paesi con cui siamo maggiormente interconnessi anche dal punto di vista economico.

08 Giu 2025 di Barbara Fiammeri

Condividi:

Con Friederich Merz il rapporto è già ben avviato ancor prima che diventasse Cancelliere. Con Macron invece  fin dall’inizio c’è stata una reciproca diffidenza, accompagnata da scelte e parole che hanno ulteriormente allargato le distanze. Lo conferma il fatto che  quella dei giorni scorsi è stata la prima visita ufficiale del Presidente francese a Palazzo Chigi da quando Meloni è Premier. Si dice spesso che necessità fa virtù e il motto è quanto mai azzeccato in questo caso. In ballo oltre ad alleanze imprenditoriali c’è il prossimo Quadro finanziario pluriennale, le modifiche al Green deal (Parigi sembra aver ammorbidito la sua posizione sull’automotive), il finanziamento delle  spese per la competitività e quelle per la difesa il cui target sarà fissato al summit Nato di fine giugno. Si parla di almeno il 3,5% del Pil (Trump chiede il 5%)significa oltre il doppio della spesa attuale che è circa 32 miliardi di euro. Il Piano di riarmo europeo di Ursula von der Leyen si “limita” ad offrire il ricorso alla clausola di salvaguardia per le spese per la difesa derogando (momentaneamente) ai paletti del Patto di stabilità. Francia e Italia però a differenza della Germania hanno uno spazio di manovra assai limitato a causa del loro debito e infatti non sono fra i 16 Paesi Ue che hanno chiesto deroghe al Patto di stabilità, nell’ambito del pacchetto ReArm-Readiness.

Obiettivo comune di Meloni e Macron è rivedere la posizione della Commissione o estendendo il periodo di deroga oggi limitato a 4 anni o aumentando il finanziamento coperto da risorse europee attraverso l’emissione di debito comune. La premier danese Mette Frederiksen, socialista ma molto vicina a Meloni, l’altro giorno ha definito “superata” la stagione dei frugali di cui la Danimarca – ha ricordato – ha sempre fatto parte. ”I tempi sono cambiati e ora la cosa più importante è riarmare l’Europa perché se non siamo in grado proteggerci e di difenderci anche  il resto cade. Finora la Germania continua a mantenersi ostile a un finanziamento comune. Ma il fronte dei frugali – come detto – è ormai incrinato e l’urgenza del momento non consente di tergiversare. Anche su questo  la ritrovata intesa tra Francia e Italia ha e avrà un peso specifico significativo. E non vale solo per il riarmo .

Nelle sue Considerazioni finali Fabio Panetta  ha rilanciato la prospettiva di un debito comune per poter reagire agli shock mondiali come la guerra dei dazi avviata da Trump. “Un mercato dei capitali integrato, con al centro un titolo comune europeo, ridurrebbe i costi di finanziamento per le imprese – ha sottolineato il Governatore della Banca d’Italia – , attivando investimenti aggiuntivi per 150 miliardi di euro all’anno e innalzando, a regime, il prodotto dell’1,5%. L’effetto sul Pil potrebbe risultare fino a tre volte maggiore se i nuovi investimenti fossero destinati a progetti ad alto contenuto tecnologico”.

La strada è tracciata. C’è anche un  prototipo: Next generation Eu grazie al quale sono stati finanziati i Pnrr a partire da quello italiano, che è quello più ambizioso (almeno per quantità di risorse richieste)ma che rappresenta anche una cartina di tornasole sull’efficacia della scelta adottata ai tempi del Covid. L’ipotesi di una proroga ormai non è più (e forse sarebbe più corretto dire: non è mai stata) sul tavolo. Il 31 agosto 2026 calerà il sipario. Sulla nuova revisione del Piano c’è invece ottimismo. Fino adesso i correttivi hanno interessato soprattutto le Ferrovie ma in ballo c’è ancora tutta la partita sugli incentivi alle imprese. La  premier Meloni nelle scorse settimane confrontandosi con le associazioni produttive ha parlato di un piano di 15 miliardi di euro proprio attraverso la rimodulazione delle risorse di Pnrr e fondi di coesione. Tra queste ci sono anche buona parte de 6 miliardi di euro di Transizione 5.0 che nonostante i correttivi continua a essere poco attraente. Oltre alle risorse servono infatti strumenti efficienti e l’iper regolamentazione è un male che affligge Bruxelles tanto quanto Roma.

Argomenti

Argomenti

Accedi