PROGETTO CORALE / 2
La diga di Alqueva e la sabbia dorata che non c’era venti anni fa: l’Alentejo trasformato tra paesaggi reinventati, economie riconfigurate, comunità resilienti
Quando arrivi con l’auto al parcheggio della Praia do Cinco Reis, dopo aver percorso gli ultimi 8 km su uno stradello rurale che attraversa campi coltivati che si perdono in orizzonti vastissimi, senza mai incontrare un essere umano, la sensazione è quella di essere approdato in un luogo metafisico, fuori dal tempo e dallo spazio.
Il parcheggio è sterrato, le indicazioni ridotte all’essenziale, il dubbio di aver sbagliato strada è forte.
Poi scendi, segui il percorso inghiaiato e alberato verso l’unico edificio, un piccolo chiosco in legno che si staglia sul cielo azzurro, e, man mano che ti avvicini, la magia prende forma.
Iniziano infatti a comparire prima le sagome di qualche ombrellone in paglia, poi il brilluccichio di uno specchio d’acqua, poi i colori caldi di una lunga e sinuosa spiaggia di sabbia che si stende verso l’infinito, costeggiata da una florida vegetazione verde intenso.
E, in mezzo a questo scenario un po’ surreale, inizi a scorgere il formicolio della vita: uccelli di varie specie che si alzano dal pelo dell’acqua, ciclisti che compaiono a tratti in mezzo alla boscaglia, pescatori solitari, e, infine, loro, i bagnanti in costume che prendono il sole sdraiati sulla spiaggia.
La sensazione di straniamento è forte, soprattutto quando arrivi al chiosco e senti anche la musica da bar e il tintinnio dei bicchieri con bibite e cocktails. Ma come? Cinque minuti fa eri in mezzo alla campagna rurale dell’Alentejo, tra frutteti, campi di pomodori e nidi di cicogne sui pali della luce, e ora sembra di essere alla periferia di una località balneare, rigorosamente fuori stagione ma comunque in una atmosfera di accoglienza e piacevole rilassatezza.
Ecco, benvenuto a Praia do Cinco Reis, nel cuore del Portogallo.
Sei dunque in una delle regioni più aride e spopolate d’Europa, in cui venti anni fa una grande distesa d’acqua artificiale ha cambiato il paesaggio, e, con esso, e il destino di un’intera comunità.

La spiaggia è infatti uno degli “effetti” della diga di Alqueva, che, da imponente infrastruttura idraulica, è divenuta un simbolo di Rigenerazione. Un’opera controversa, certo, ma capace di trasformare profondamente l’Alentejo in termini ambientali, agricoli, economici e sociali.
Come detto, esiste da poco più di venti anni, ma l’idea di costruire una diga sul fiume Guadiana per fornire acqua all’arida regione dell’Alentejo risale addirittura agli anni Cinquanta.
Dopo decenni di dibattiti e progetti abortiti, la costruzione è stata avviata nel 1998 e completata nel 2002, ma è solo negli ultimi dieci anni che si è iniziato a cogliere il potenziale della trasformazione che la diga ha attivato. Il lago artificiale di Alqueva, che a tutti gli effetti è oggi il più grande d’Europa per estensione, copre oltre 250 km², e ogni giorno fornisce acqua potabile, energia e irrigazione a una delle aree più fragili ed economicamente arretrate del Portogallo.
L’obiettivo della realizzazione delle diga era chiaro, come ci dicono i referenti di EDIA, l’agenzia pubblica cui è affidato il Management dell’Alqueva Multipurpose Projet: trasformare una terra caratterizzata da siccità e spopolamento in un’area fertile, produttiva e vitale.
I risultati ci sono, e sono evidenti: il lago ha dato vita a nuovi ecosistemi, ha aumentato la biodiversità acquatica e ha permesso lo sviluppo di una vegetazione ripariale prima inesistente.
Dal punto di vista energetico, Alqueva è una centrale idroelettrica, a cui recentemente è stata abbinata una delle prime piattaforme solari galleggianti, per perseguire la strategie di trasformare il lago in un hub per le energie rinnovabili di livello europeo.
Ma sicuramente l’effetto più evidente della diga è stato sulla produzione agricola. L’Alentejo ha una storia secolare di territori di pascolo e cereali a basso rendimento, e invece negli ultimi venti anni ha visto nascere un sistema irriguo all’avanguardia che oggi copre migliaia di ettari e che ha fatto spuntare, in pochi anni, distese di oliveti, vigneti, mandorleti e serre che hanno trasformato radicalmente il paesaggio rurale e l’economia dell’intera area. Questo cambiamento paesistico ha infatti portato nuove opportunità economiche e posti di lavoro, attirando investimenti nazionali e stranieri, specialmente nel settore agroalimentare.
Ovviamente, la diga ha avuto effetti rilevanti anche sulla dimensione sociale: diversi borghi dell’Alentejo, da Mourão a Monsaraz, hanno perseguito nuove occasioni di sviluppo legate al turismo lacustre, alla pesca sportiva, alla nautica e all’ecoturismo, con la nascita di strutture ricettive, ristoranti, percorsi ciclabili e naturalistici.
Ma, oltre allo sviluppo economico, le comunità stesse hanno avviato un percorso di ripensamento della propria identità, cercando e testando vie per coniugare il turismo e la crescita socio-economico con il rispetto e la valorizzazione della propria storia, provando ad evitare stravolgimenti sostanziali degli insediamenti, dei ritmi di vita e delle tradizioni più radicate.
Il paese di Luz, ricostruito pietra su pietra più in alto rispetto al vecchio sito, è diventato un simbolo di resilienza e memoria. Oggi ospita un museo dedicato alla trasformazione del territorio, che racconta senza retorica la complessità di un progetto che ha strappato vite ma anche creato possibilità.
Gli antichi borghi, prima quasi completamente abbandonati, sono stati recuperati e si sono reiventati come sistemi di senior housing per anziani autosufficienti provenienti prevalentemente da Gran Bretagna e Germania, che qui trovano casa e bel clima a prezzi abbordabili, ma anche servizi sanitari e assistenziali integrati. Oppure si sono trasformati in una reta di “studentato diffuso”, connessa all’Università, che proprio in strutture recuperate dell’Alentejo rurale ha deciso di insediare centri di ricerca per l’innovazione nei campi dell’agricoltura e dell’allevamento.
Come conseguenza, si è avviata una valorizzazione del patrimonio culturale dell’Alentejo: castelli medievali, borghi fortificati, cantine tradizionali e festival locali trovano oggi un nuovo pubblico, attratto dalla combinazione tra natura, storia e benessere.
Alqueva è dunque oggi una destinazione turistica emergente. Il suo bacino artificiale ospita barche da crociera, sport acquatici, piccoli porti turistici e campeggi. Fieramente e strategicamente, però, le comunità locali hanno scelto di limitare l’urbanizzazione, preservando il carattere rurale del territorio. E la conseguente limitazione, per esempio, dell’illuminazione artificiale notturna, che poteva costituire un limite allo sviluppo turistico, è stata anch’essa trasformata in una opportunità di incremento dell’attrattività: l’osservazione delle stelle è diventata una ulteriore offerta al visitatore e la regione è una delle prime “Starlight Tourism Destination” d’Europa, grazie all’assenza di inquinamento luminoso.
In questo quadro entusiasmante e straniante al tempo stesso, nonostante le istituzioni coinvolte, a tutti i livelli territoriali, promuovano con passione e fierezza questo imponente progetto, non mancano le voci di dissenso.
In primo luogo, diverse associazioni a carattere ambientalista hanno sollevato da sempre perplessità. L’impatto ambientale della diga è stato enorme. Sono stati sommersi villaggi, terreni agricoli tradizionali, boschi e habitat naturali. La monocoltura dell’olivo, ad esempio, consuma molta acqua e impoverisce il suolo, sollevando dubbi sulla sostenibilità a lungo termine del modello agricolo introdotto.
A livello sociale, poi, la nuova realtà ha parzialmente frenato lo spopolamento, portando nuovi residenti ed operatori economici, che spesso, però, si trovano più tutelati e supportati in termini di servizi delle comunità locali. D’altro canto la presenza del lago ha migliorato anche l’accesso all’acqua potabile in molte zone rurali e ha permesso di garantire riserve idriche in un’epoca di cambiamenti climatici e siccità sempre più frequenti.
In conclusione, dunque, come tutti i grandi progetti, la diga di Alqueva non è privo di contraddizioni. L’intervento ha modificato equilibri ambientali secolari e ha privilegiato un modello di sviluppo agricolo ed economico intensivo. Ma ha anche dato nuova vita a un’area che rischiava l’abbandono totale.
Parlando con i sindaci e i rappresentanti delle associazioni del territorio, da subito estremamente coinvolti in tutti gli aspetti della trasformazione, si ha comunque una sensazione di fiducia e orgoglio, unita alla consapevolezza che, come in tutte le rigenerazioni, le opere fisiche sono solo la prima parte di un percorso lungo e continuativo. La vera sfida, oggi, è rappresentata dal trovare e mantenere un equilibrio tra produttività, sostenibilità e coesione sociale, senza stravolgere l’identità dei luoghi, ma innovandola e, nell’innovazione, rafforzandola.
In questo percorso, il cuore, e dunque l’elemento che fino ad ora ha consentito di avere un terreno comune di aggregazione e di coesione, è stato l’acqua, fortemente percepita, vissuta e tutelata come bene comune a tutti i soggetti coinvolti.
Per questo motivo, il governo portoghese e le amministrazioni locali stanno promuovendo in primis iniziative per migliorare l’efficienza idrica, sviluppare l’agroecologia e diversificare il turismo. Il futuro di Alqueva dipenderà proprio dalla capacità di mantenere la gestione dell’acqua come bene comune, al servizio del territorio e non solo dei grandi attori economici, sorgente di nuova vitalità ed elemento fragile e al tempo stesso potente per far fiorire il territorio e le sue comunità.
Ecco cosa ci dice sulla Rigenerazione il progetto di Alqueva: rigenerare un territorio non significa solo trasformarlo, magari con grandi opere, ma farlo con coscienza, ascolto e visione. L’ingegneria e l’architettura sono state l’infrastruttura del cambiamento, la cui struttura compositiva e dunque narrativa è fatta però di paesaggi reinventati, economie riconfigurate e comunità resilienti, che, da oltre vent’anni, lavorano insieme nel reinventare se stesse, ma con radici ben piantate nell’oggi fertile terreno dell’Alentejo. E anche un po’ nella sabbia dorata delle sue nuove, bellissime spiagge.