L'assemblea di Bankitalia
L’allarme di Panetta: “Navighiamo nelle incertezze ma non possiamo stare fermi. Serve un PATTO europeo per la produttività, decisivo sarà l’Eurobond”
Le ombre delle politiche protezionistiche sullo scenario globale sono al centro delle Considerazioni Finale del Governatore della Banca d’Italia. Le tensioni sui dazi pesano sulla crescita dell’economia ma il rischio è anche che il commercio si trasfomi in fonte di divisioni e di instabilità politica, mettendo a repentaglio la pace. Non si può stare fermi: è il monito che Panetta rivolge soprattutto all’Europa. Servono interventi rapidi e strutturali per cambiare il modello di sviluppo: le carte vincenti sono produttività e innovazione. Va completato il mercato dei capitali e cruciale è il bond europeo. Della risposta comune europea beneficerà l’Italia, che deve porre l’innovazione al centro della sua strategia economica

RELAZIONE ANNUALE DELLA BANCA D'ITALIA 2025
IN SINTESI
Una coincidenza temporale ha voluto che il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, svolgesse le sue Considerazioni Finali all’indomani di un nuovo colpo di scena sul fronte della guerra commerciale ingaggiata dall’Amministrazione Trump, con la battaglia che ora si trasferisce addirittura nelle aule di Tribunale. Un altro elemento di incertezza che va ad aggiungersi a questa partita a scacchi fatta di annunci e retromarce, offensive e parziali ritirate. È proprio alla luce di questo scenario carico di rischi non solo per l’economia globale ma anche per le ricadute in termini di stabilità politica, che mettono a repentaglio la stessa pace, che si leva l’allarme di Panetta. La sua relazione prende le mosse da un’analisi puntuale del quadro a livello internazionale, europeo e nazionale. Un’analisi alla quale il Governatore unisce indicazioni di prospettiva, uno sguardo lungo sulle priorità e sulle azioni da mettere in campo non solo per reagire all’attuale situazione ma per porre solide condizioni di crescita futura. Panetta va subito dritto al punto affermando che l’Europa deve cambiare ed essere il motore di cambiamento con un nuovo modello di sviluppo, premendo l’acceleratore sulla crescita di produttività e innovazione. In questo solco, anche e soprattutto per l’Italia l’innovazione deve essere al centro della strategia economica, puntando su investimenti in ricerca e sviluppo per ridurre il gap che ci separa dall’Europa e dagli USA.
Ci sono tre passaggi chiave che racchiudono con forza ed efficacia il cuore del messaggio di Panetta, tre passaggi contenuti nella conclusioni che portano a sintesi le 31 pagine della relazione. Il primo è la presa d’atto della realtà: “dobbiamo prepararci a navigare in queste acque incerte, senza rinunciare ai nostri valori e senza restare indietro”. C’è poi il richiamo di grande respiro europeo all’azione: “l’Unione europea è un baluardo dello Stato di diritto, della convivenza democratica e dell’apertura agli scambi e alle relazioni internazionali”. E “non può permettersi di rimanere ferma” ed è proprio “una risposta europea comune che può consentirci di superare le difficoltà attuali”, sottolinea Panetta. Ciò che è bene per l’Europa è bene per l’Italia. Infatti, dice Panetta, “L’Italia trarrà beneficio da una incisiva risposta comune” e, con una nota di cauto ottimismo e prudente fiducia, indica quei “segni di vitalità che non vanno dispersi” e che sono “la base concreta su cui costruire, impegnandosi nelle riforme, combattendo le rendite di posizione, offrendo prospettive ai giovani”. Su questo Panetta non ha dubbi: “abbiamo la responsabilità e la possibilità di farlo”.
“I dazi tagliano un punto di pil all’economia mondiale, il doppio agli Usa”
“Le dispute commerciali e i conflitti in atto stanno incrinando la fiducia a livello internazionali con effetti negativi sulle prospettive dell’economia globale”: è questo l’incipit della relazione di Panetta. “Siamo di fronte a una crisi profonda degli equilibri che hanno sorretto l’economia globale negli ultimi decenni. Le politiche dell’amministrazione statunitense ne rappresentano il principale fattore scatenante ma si inseriscono in un contesto già in rapida trasformazione“, rileva Panetta che, ancora una volta, tocca il tema della globalizzazione, di quella “disillusione” rispetto ai benefici promessi e di quella percezione che abbia ampliato le diseguaglianze. “Si è così gradualmente indebolito il consenso interno a un assetto fondato su regole condivise, apertura dei mercati e cooperazione multilaterale” ed è in questo scenario che “si inseriscono le politiche protezionistiche degli Usa. “L’annuncio di dazi elevati sembra essere utilizzato come leva negoziale per ridefinire i rapporti economici e politici internazionali. Si tratta tuttavia di una strategia che può comportare effetti difficili da prevedere e da gestire”, avverte Panetta. Ora, i dazi in vigore negli USA restano i più elevati del secondo dopoguerra. “Il loro impatto potenziale è oggi molto maggiore rispetto al passato, a causa della stretta integrazione dell’economia globale. L’inasprimento delle barriere doganali potrebbe sottrarre quasi un punto percentuale alla crescita mondiale nell’arco di un biennio. Negli Usa, l’effetto stimato è circa il doppio”. E “il susseguirsi unirsi di annunci, smentite e revisioni alimenta l’incertezza e la volatilità sui mercati. Si tratta di condizioni che rischiano di amplificare l’effetto dei dazi e che potrebbero protrarsi nel tempo, considerata la complessità dei negoziati commerciali, che tipicamente richiedono tempi ben più lunghi dei 90 giorni di sospensione annunciati”, sottolinea Panetta. “Le politiche protezionistiche stanno spingendo l’economia mondiale su una traiettoria pericolosa. I dazi oggi in vigore potrebbero ridurre il commercio internazionale di circa il 5 per cento, dando avvio a una riconfigurazione delle filiere produttive globali. Ne deriverebbe un sistema di scambi meno integrato e meno efficiente”. Non solo. “potrebbero spingersi oltre, frenando la circolazione di persone, idee e conoscenze”.
In Europa fragile ripresa, “si proietta l’ombra delle politiche protezionistiche”
Dallo scenario globale all’Europa. Il quadro tratteggiato da Panetta registra, innanzitutto, la ripartenza dell’economia, dopo una lunga stagnazione. Nel primo trimestre il Pil è cresciuto dello 0,3%. Il ritmo è però inferiore al potenziale ed è mancato il decisivo contributo della Germania. “Sul fragile scenario di ripresa si proietta l’ombra delle politiche protezionistiche. Gli esiti delle trattative commerciali sono incerti, ma le ricadute sull’economia europea saranno comunque significative”, avverte Panetta. “Gli Stati Uniti costituiscono il principale mercato di sbocco per i prodotti dell’area, assorbendo quasi un quinto delle esportazioni. Alcuni dei settori più esposti ai dazi – quali i mezzi di trasporto, i macchinari e le bevande – mostrano già un peggioramento della fiducia, delle attese sugli ordini e delle prospettive occupazionali. Le barriere doganali potrebbero ridurre la domanda di prodotti europei anche in modo indiretto, frenando l’economia globale”. Le principali istituzioni internazionali Fmi e Commissione europea hanno già abbassato le prospettive di crescita per il prossimo triennio di circa mezzo punto percentuale. Inoltre, sul fronte dell’inflazione, i prezzi dell’energia sono diminuiti sensibilmente e l’euro si è rafforzato. In un contesto di crescita debole e di intensa concorrenza internazionale, questi sviluppi potrebbero comprimere la dinamica dei prezzi al consumo. Le aspettative di mercato indicano un ritorno al di sotto del 2 per cento già nella seconda metà di quest’anno e un livello medio dell’1,7 nel 2026. Si tratta di un quadro economico non ancora definito”. E, sul versante delle mosse di politica monetaria, il percorso nei prossimi mesi “si prospetta tutt’altro che semplice. Le decisioni dovranno essere valutate volta per volta, sulla base dei dati disponibili e delle prospettive dell’inflazione e della crescita”. Servirà, raccomanda Panetta, “un approccio pragmatico e flessibile”.
“L’Europa ripensi il suo modello di sviluppo con interventi rapidi e strutturali”
Come si è detto, suona con forza il monito di Panetta rivolto all’Europa: “non può stare ferma”. “L’economia europea mostra fragilità strutturali evidenti. La stagnazione della produttività e il ritardo nell’innovazione ne limitano il potenziale di crescita. La dipendenza dall’estero, per gli approvvigionamenti e per la vendita dei propri prodotti, ne aumenta la vulnerabilità in un contesto globale sempre più frammentato. È necessario ripensare il modello di sviluppo che ha sostenuto il continente per decenni”, è la strada indicata dal Governatore. Tocca il tasto dolente della bassa produttività. “Negli ultimi trent’anni, la produttività del lavoro nell’Unione europea è cresciuta del 40 per cento, oltre 25 punti percentuali in meno degli Stati Uniti. Dal 2019 il divario si è ampliato: in Europa la produttività è aumentata del 2 per cento, contro il 10 negli Stati Uniti, dove è stata sospinta soprattutto dai settori a tecnologia avanzata. Questo ritardo riflette principalmente la difficoltà di innovare”. Pesa la frammentazione tra i vari Stati della spesa pubblica per ricerca e sviluppo, che per entità è paragonabile a quella statunitense. “L’assenza di un coordinamento efficace limita la possibilità di realizzare progetti su scala continentale”. La capacità e la forza nella ricerca scientifica “non si traduce in innovazione produttiva”. C’è poi la questione dell’apertura internazionale dell’Europa che in alcuni ambiti ha finito per tradursi in una forma di dipendenza da mercati e paesi esteri. “Il fabbisogno energetico continua a poggiare soprattutto su fonti esterne: circa due terzi dell’energia consumata provengono da combustibili fossili, quasi interamente importati. È elevata anche l’esposizione verso la Cina per numerosi beni strategici, in particolare quelli per la transizione energetica o ad alto contenuto tecnologico”. Intanto, si sta anche erodendo il vantaggio competitivo europeo della manifattura, anche nei settori a tecnologia intermedia e avanzata, mettendo a rischio la tenuta di intere filiere produttive”.
“Cruciale il bond europeo per finanziare gli investimenti”
“Avviare il cambiamento”, diventa la parola d’ordine. “L’economia europea ha bisogno di interventi rapidi e strutturali. Serve un programma di riforme basato sulle proposte già disponibili a livello europeo, sostenuto da risorse adeguate e scandito da tempi certi. Vanno eliminate le residue barriere interne alla circolazione di beni, capitali e persone. Occorre investire in tecnologia, infrastrutture comuni e settori ad alto potenziale di sviluppo. In un contesto globale instabile, la priorità è rafforzare l’autonomia strategica”, afferma Panetta. L’Europa si è mossa con la Bussola per la competitività: questo “va nella giusta direzione ma non affronta il nodo cruciale del reperimento delle risorse. C’è una quantificazione in 800 miliardi di euro per la transizione verde e digitale e per la difesa. Ma, per Panetta, “per rendere l’Europa più competitiva serviranno investimenti ancora più consistenti” e “un impegno di tale portata non può gravare unicamente sui bilanci nazionali, né essere affidato solo al settore privato. Come ho recentemente sostenuto, serve un vero e proprio patto europeo per la produttività”. Il settore pubblico è fondamentale ma altrettanto fondamentale è mobilitare capitali privati per finanziare progetti innovativi. Di qui l’urgenza di “completare la costruzione di un mercato dei capitali europeo pienamente integrato”. Ecco, quindi, che Panetta rilancia il bond europeo. “Per eliminare alla radice la frammentazione del mercato dei capitali lungo linee nazionali «è cruciale introdurre un titolo pubblico europeo, con un duplice obiettivo: finanziare la componente pubblica degli investimenti e fornire un riferimento comune, solido e credibile all’intero sistema finanziario. Secondo nostre stime, un mercato dei capitali integrato, con al centro un titolo comune europeo, ridurrebbe i costi di finanziamento per le imprese, attivando investimenti aggiuntivi per 150 miliardi di euro all’anno e innalzando, a regime, il prodotto dell’1,5 per cento. L’effetto sul Pil potrebbe risultare fino a tre volte maggiore se i nuovi investimenti fossero destinati a progetti ad alto contenuto tecnologico».
“L’Italia mostra segni di vitalità, l’innovazione deve essere al centro della strategia”
Arriva il capitolo italiano della relazione di Panetta. Dopo la lunga stagnazione, negli ultimi cinque anni “nonostante la crisi pandemica ed energetica, il Paese ha mostrato segnali di vitalità economica”. “La crescita ha superato quella dell’area dell’euro. Il PIL è aumentato di circa il 6 per cento, trainato da un incremento di quasi il 10 nel settore privato. Oltre che dalle costruzioni, un contributo significativo è venuto dai servizi, in espansione sia nei comparti tradizionali sia in quelli avanzati. Gli occupati sono aumentati di un milione di unità, raggiungendo il massimo storico di oltre 24 milioni; il tasso di disoccupazione è sceso dal 10 al 6 per cento. Il Mezzogiorno ha registrato uno sviluppo leggermente superiore alla media nazionale”, è il quadro tratteggiato da Panetta. Risultati favoriti da politiche espansive che non sarebbero stati possibili senza la ristrutturazione del tessuto produttivo avviata dopo la crisi dei debiti sovrani. Ora, “l’innovazione deve essere al centro della strategia economica. Ciò richiede un deciso rafforzamento degli investimenti in ricerca e sviluppo per colmare il divario che ci separa da Europa e Stati Uniti”. Serve uno sforzo del settore privato mentre l’azione pubblica può sostenere l’innovazione stimolando la ricerca privata e gli investimenti in tecnologia.
Pnrr: ritardi ma gli interventi per il 2025-26 potrebbero innalzare il Pil dello 0,5%
Panetta fa il punto sullo stato di attuazione del Pnrr. “L’Italia ha finora ricevuto 122 miliardi di euro e ne ha utilizzati oltre la metà. Il pagamento delle prossime rate dipenderà dal raggiungimento di obiettivi relativi alla realizzazione di opere pubbliche; a tale riguardo, i dati attualmente disponibili suggeriscono- rileva – l’esistenza di ritardi . L’utilizzo dei fondi del Pnrr ha sostenuto l’economia negli ultimi anni. Gli interventi previsti per il biennio 2025-26 potrebbero innalzare il prodotto dello 0,5 per cento. In una fase di debolezza ciclica è essenziale procedere con determinazione nella loro attuazione”. Bisogna procedere sulla via delle riforme: azione che “richiede tempo e continuità, e dovrà proseguire oltre la scadenza del Pnrr. Le priorità restano quelle indicate nel Piano strutturale di bilancio per il prossimo quinquennio: ambiente imprenditoriale, Pubblica amministrazione, giustizia e sistema fiscale”.
L’inverno demografico mina il potenziale di crescita. Lavorare su formazione adeguata anche degli immigrati
Tra le altre criticità, Panetta indica le conseguenze profonde dell’inverno demografico sul potenziale di crescita dell’economia italiana. “Secondo l’Istat entro il 2040 il numero delle persone in età lavorativa si ridurrà di circa 5 milioni. «Ne potrebbe conseguire una contrazione del prodotto stimata nell’11%, pari all’8 in termini pro capite. Un aumento dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro attenuerebbe questo impatto». Un «contributo significativo potrà venire da una maggiore inclusione delle donne, la cui partecipazione resta tra le più basse d’Europa, nonostante i progressi recenti». Ad agevolarla potranno essere gli investimenti nei servizi per l’infanzia e asili nido. Ma servono anche occupazioni più attrattive per i giovani. Negli ultimi dieci anni sono emigrati 700mila italiani, un quinto dei quali giovani laureati. Secondo Panetta, poi, l’immigrazione regolare può fornire un apporto rilevante, soprattutto nei settori delle costruzioni e del turismo, che registrano una crescente scarsità di manodopera. Il contributo dell’immigrazione «può estendersi alle attività a maggior valore aggiunto, a condizione che si riesca ad attrarre profili qualificati». Qui l’Italia sconta un ritardo: tra i principali paesi, è quello con la più bassa quota di immigrati laureati. «Ridurre questo divario – ha affermato – richiede anche l’adeguamento dei sistemi di riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze agli standard europei».