IL LABIRINTO OSCURO DELL'EDILIZIA / 29
La riforma delle procedure di autorizzazione paesaggistica: il silenzio assenso tra tutela ambientale e piani regionali non attuati
La riforma contenuta nel Ddl 1372 Senato (Delega al Governo per la revisione del codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di procedure di autorizzazione paesaggistica) introduce espressamente il meccanismo del silenzio assenso in caso di decorso del termine assegnato all’ufficio ministeriale periferico. Modifica il vigente articolo 146, che disciplina la procedura di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Regione/Comune sulla base del parere obbligatorio e vincolante della Soprintendenza da rendersi entro 45 giorni, senza esplicitare cosa accade ove non venga reso il parere.
Ma che succede se la Soprintendenza non resta silente ma renda il parere oltre il termine previsto, specie se contrario alla realizzazione dell’intervento edilizio proposto?
Sul punto, la giurisprudenza nel tempo ha mutato posizione passando dal considerare il parere tardivo e contrario da semplicemente non vincolante per il Comune (che comunque poteva recepirlo) a inefficace, ai sensi dell’articolo 2, comma 8 bis della legge 241/1990 (con una serie di pronunce del Consiglio di Stato dal 2023 a oggi).
IN SINTESI
In ultimo, sul punto del silenzio assenso, si riporta la nota relativa all’interpretazione ministeriale allegata alle linee guida del decreto salva casa in riferimento al punto 3.5.5 – Il sub-procedimento per la verifica di compatibilità paesaggistica del febbraio 2025:
Va sottolineato come la scelta del legislatore sia stata chiara nel far riferimento al meccanismo del silenzio- assenso, mutuando, quindi, la regola di cui all’art. 17-bis della L. n. 241/1990, che opera anche nella materia dei beni culturali e paesaggistici.
Infatti, secondo quanto espressamente previsto dal legislatore il silenzio assenso:
“tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici” opera “anche nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale… per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche” (art. 17 bis, comma 3, L. n. 241/90), con la precisazione che, in siffatte ipotesi, il termine entro il quale le amministrazioni interpellate sono tenute a comunicare il proprio assenso, concerto o nulla osta è definito dalla normativa di settore, attestandosi, in mancanza di diversa previsione, in novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell’amministrazione procedente.
Decorso siffatto termine senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.
Qualora la richiesta di assenso non promani dal privato (in tale caso operando la diversa disciplina di cui all’art. 20 L. n. 241/90), bensì afferisca ai rapporti orizzontali tra pubbliche amministrazioni, il dato positivo ammette, pertanto, espressamente la formazione del silenzio assenso anche se l’Amministrazione interpellata sia un’Amministrazione preposta alla tutela paesaggistico-territoriale.
Il che risponde a quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, nel parere della Commissione speciale del 13 luglio 2016, n. 1640), secondo cui:
“La formulazione testuale del comma 3 consente di accogliere la tesi favorevole all’applicabilità del meccanismo di semplificazione anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali e la salute dei cittadini. Sul punto la formulazione letterale del comma 3 è chiara e non lascia spazio a dubbi interpretativi: le Amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili beneficiano di un termine diverso (quello previsto dalla normativa di settore o, in mancanza, del termine di novanta giorni), scaduto il quale sono, tuttavia, sottoposte alla regola generale del silenzio assenso”.
La portata soggettiva generale dell’istituto, riferibile anche alle Amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica, deriva, altresì, dalla ratio sottesa alla sua introduzione, connessa all’efficienza dell’azione amministrativa, corollario del principio di buon andamento ex art. 97 Cost., la quale richiede (tra l’altro) che il perseguimento del pubblico interesse affidato alla cura dell’Amministrazione procedente avvenga mediante la tempestiva adozione del provvedimento amministrativo.
La necessità che il provvedimento sia assunto entro i termini di legge (art. 2 L. n. 241/90) risponde all’esigenza di evitare uno stato di incertezza determinato dalla pendenza del procedimento, idoneo (altresì) ad interferire sulla libertà di autodeterminazione negoziale dei soggetti incisi dall’esercizio del potere, i quali, in attesa della decisione amministrativa, potrebbero anche essere indotti ad assumere scelte negoziali (potenzialmente foriere di danni patrimoniali) che non avrebbero compiuto se avessero tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2018, n. 5).
In questa chiave di lettura devono, quindi, essere interpretate le disposizioni dell’articolo 36-bis del Testo unico, che, nel mutuare il sistema del silenzio-assenso, ha avvertito le medesime esigenze poste a fondamento della previsione di cui all’articolo 17-bis.
Per questo, onde evitare incertezze applicative da parte degli uffici comunali competenti al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, sarebbe opportuno prevedere espressamente nel testo della riforma che l’eventuale parere tardivo della Soprintendenza sia da ritenersi comunque privo di efficacia giuridica, consentendo così al Comune di procedere autonomamente.
Modiche anche per l’articolo 152, con la trasformazione da vincolante, in obbligatorio non vincolante del parere ministeriale in caso di apertura di strade e cave, realizzazione di condotte per impianti industriali e palificazioni in prossimità di aree, e per l’articolo 181 in tema di opere realizzate in assenza o difformità dal titolo paesaggistico, con l’introduzione al comma 1-quater del silenzio assenso (nell’ambito della procedura di accertamento della compatibilità paesaggistica), in caso di mancata espressione del parere vincolante della Soprintendenza.
Riflessioni sulle disposizioni di cui all’articolo 2 del Ddl
Come detto, le previsioni di cui all’articolo 2, comma 1, si propongono di apportare delle modifiche puntuali immediatamente operative al codice dei beni culturali e del paesaggio.
In particolare, alle lettere a), c) e d) si prevede che nell’ambito del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ordinaria, di cui all’art. 146 del codice, e dell’accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria, di cui agli artt. 167 e 181 del codice, decorso inutilmente il termine a disposizione della Soprintendenza per formulare il proprio parere si formi il silenzio assenso, con potere-dovere dell’Amministrazione competente di provvedere sulla domanda.
La norma, con evidente finalità di semplificazione normativa, sembra avere carattere più ricognitorio di un principio già preesistente che non innovativo.
Ciononostante, proprio nella stessa ottica di certezza del diritto, non può non rilevarsi come la formazione dei provvedimenti amministrativi (o dei pareri) per silenzio assenso dovrebbe rappresentare l’eccezione e non la regola.
Ciò anche perché in ogni caso un provvedimento (o parere) espresso, se anche formalmente equivalente, contribuisce maggiormente a creare certezze e affidamenti, anche nell’ottica di un potere di successivo intervento in autotutela dell’amministrazione che rimane integro anche nel caso, appunto di un provvedimento formatosi in virtù del silenzio assenso.
Se così è, potrebbe essere utile verificare che le tempistiche previste per l’espressione dei pareri risultino congrue rispetto all’ampiezza delle valutazioni demandate all’Amministrazione e alla dotazione organica della stessa, in modo da favorire, ordinariamente, la formazione di pareri espressi, lasciando che il silenzio assenso rappresenti idealmente la “sanzione” per ritardi patologici.
Le altre modifiche
Dopo l’approvazione della legge, si provvederà con decreto del Ministro della cultura alla modifica dell’allegato A del Dpr 31/2017 ampliando il numero dei casi esentati dall’obbligo di acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica (relativamente a quelli di edilizia libera realizzabili con Cila e a quelli assentibili con Scia con aumento di volumetria non oltre il 20% di quella esistente).
Il decreto legislativo prevede infine la delega al Governo per l’approvazione di uno più decreti legislativi per il riordino delle procedure di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che conterrà la modifica dell’allegato B del Dpr 31/2017 con la cancellazione del parere della Soprintendenza in caso di interventi assoggettati alla procedura semplificata, che quindi resterebbero assoggettati alla sola competenza comunale, previa verifica di conformità con il piano paesaggistico regionale.
Prevista, inoltre, l’istituzione di sportelli unici per il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche e soprattutto l’individuazione di tipologie di interventi che, se conformi a quelli indicati in piani o documenti preventivamente condivisi con le Soprintendenze, saranno esentati dall’autorizzazione paesaggistica ex articolo 146 del Dlgs 42/2004, come in realtà già previsto dall’articolo 26 della legge 193/2024 in tema di dehors e occupazioni temporanee di suolo pubblico con elementi precari per pubblici esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.
Infine, si rinvia agli stessi decreti delegati la previsione che, nel caso di infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale di cui all’articolo 39 del codice dei contratti pubblici soggette ad autorizzazione paesaggistica, il parere spetti alla direzione competente della Ministero della cultura ed ancora che, nel caso di opere edili all’interno di edifici la cui facciata è vincolata o di interventi su edifici adiacenti in prossimità di immobili vincolati, non venga più acquisita l’autorizzazione paesaggistica.
Modifiche al Codice del Paesaggio: criticità applicative
Strade e Cave ed impianti
Rendere obbligatorio ma non vincolante il parere delle Soprintendenze per i casi di cui all’art. 152 del D.lgs. 42/2004 (art. 2, c. 1 lett. b) introduce un rilevante vulnus alla tutela paesaggistica, in particolare per quanto riguarda la possibilità di
- aperture di strade e di cave,
- di posa di condotte per impianti industriali e civili
- di palificazioni
non c’è nessuno a cui sfugga quanto una cava o una strada alterino in modo consistente il paesaggio, spesso con una modifica delle viste anche a grande distanza.
Devono esprimersi perplessità sulla modifica proposta, che andrebbe a creare una differenza di disciplina rispetto all’impianto dell’autorizzazione paesaggistica ordinaria (che prevede che il parere ordinariamente sia obbligatorio e vincolante);
Differenza di trattamento, peraltro, per opere potenzialmente molto impattanti (ricordiamo ancora che si tratta di aperture di strade e di cave, di posa di condotte per impianti industriali e civili e di palificazioni) sicché non se ne comprende bene la ratio, visto che proprio il potenziale impatto di tali opere giustificherebbe una tutela paesaggistica almeno pari a quella prevista in via ordinaria.
Esclusione dall’autorizzazione paesaggistica
L’inclusione nell’elenco di cui all’Allegato A del DPR 31/2017 degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica per i quali è necessario presentare una segnalazione certificata di inizio lavori asseverata nei casi in cui l’aumento di volume non ecceda il 20% dell’esistente ovvero le modifiche rispettino il carattere dell’immobile interessato (art. 2, c. 2), risulta eccessivamente ampia dal momento che non si specificano limiti volumetrici dell’edificio esistente da ampliare. Ben diverso è, infatti, il caso dell’ampliamento di una villetta rispetto a quello dell’ampliamento di un immobile di grandi dimensioni come potrebbe essere il caso di un complesso industriale.
Al comma 2, come già detto, si prevede una delega al Ministero della Cultura volta a modificare il D.P.R. n. 31/2017 al fine di introdurre tra gli interventi in aree vincolate esclusi dall’autorizzazione paesaggistica:
- gli interventi di edilizia libera sottoposti a CILA
- gli interventi di edilizia libera sottoposti a SCIA nei casi in cui l’aumento di volume non ecceda il 20 per cento dell’esistente ovvero le modifiche, come asseverate dal tecnico abilitato, rispettino il carattere dell’immobile interessato.
Si tratta di previsioni che estenderebbero fortissimamente le eccezioni, già oggi ampiamente previste dall’Allegato A al D.P.R. n. 31/2017 alla generale necessità di ottenere un’autorizzazione paesaggistica e che, per la formulazione generale, rischiano di rendere difficilmente prevedibili gli interventi che concretamente saranno eseguiti senza alcuna necessità di autorizzazione paesaggistica, né ordinaria né semplificata, con conseguente sottrazione alla tutela di legge di interventi potenzialmente anche molto impattanti.
Competenze dei comuni alla verifica del piano paesaggistico e autorizzazione paesaggistica
In riferimento alla proposta di escludere gli interventi di cui all’Allegato B del DPR 31/2017 dal parere delle Soprintendenze previa verifica di conformità con il piano paesaggistico regionale (art. 3, c. 2, lett. b), si segnala che tale proposta non tiene conto del fatto che solo una minoranza di regioni dispone di un piano paesaggistico.
L’articolo 3 del DDL, quindi, introduce una delega legislativa volta alla modifica del codice, secondo una serie di principi e di criteri direttivi.
Tra questi, se sono condivisibili taluni intenti di semplificazione diverse previsioni destano forte preoccupazione.
In particolare, il criterio di cui alla lettera b) escluderebbe dal parere della Soprintendenza, lasciando alla competenza esclusiva degli Enti locali, gli interventi di lieve entità di cui all’Allegato B del D.P.R. n. 31/2017, oggi sottoposti ad autorizzazione paesaggistica semplificata; ciò previa verifica di conformità con il Piano paesaggistico regionale.
Una previsione di tal genere, sconta un duplice ordine di problemi:
- in primo luogo, circa la possibilità stessa di tale verifica, in quanto risulta che, ad oggi, soltanto una minima parte delle Regioni italiane abbia adottato il Piano paesaggistico regionale,
- e in secondo luogo pochi Comuni vi hanno adeguato, a loro volta, i propri strumenti urbanistici.
In pochissime realtà, quindi, una semplificazione come quella proposta sarebbe effettivamente percorribile.
Poiché la maggior parte delle Regioni italiane ancora non ha completato l’iter di co-pianificazione Stato/Regioni ai sensi Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, art. 133, attraverso adeguati Piani Paesaggistici Regionali, un’autorizzazione che sia di unica competenza degli enti locali non è attuabile, oltre ad entrare in conflitto con altri assunti presenti nel suddetto Decreto.
A questo scopo il Codice dei BBCC prevedeva uno strumento molto importante: i piani paesaggistici, co-pianificati tra Stato e Regioni.
Purtroppo, sono davvero pochi i piani paesaggistici siffatti, solo sei al momento:
- Sardegna – anche se parziale,
- Piemonte,
- Toscana,
- Friuli-Venezia Giulia,
- Lazio
- Puglia
per cui, la prima premura dovrebbe essere quella di supportare questo processo verso una pianificazione più efficace.
Una via praticabile è sicuramente l’adeguamento dei Piani Paesaggistici Regionali alla normativa attuale, insieme con l’istituzione sistematica delle Commissioni locali per il paesaggio di cui all’art. 148 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per le quali è auspicabile anche l’ampliamento delle competenze autorizzative.
Tali Commissioni rappresentano uno strumento già previsto all’interno del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio per semplificare, sistematizzare e rendere efficienti ed efficaci gli iter procedurali.
I tempi, tuttavia, non si presentano certo come brevi.
Ma in un quadro pianificatorio tanto lacunoso, estendere una prerogativa già presente nel Codice dei BBCC e del paesaggio, senza specificare che non sia applicabile (laddove i piani paesaggistici regionali non siano stati co-pianificati dalle Regioni con il Ministero della Cultura) appare pericoloso.
Come invece previsto dal Codice, ogni forma di semplificazione deve restare subordinata all’approvazione di un piano paesaggistico co-pianificato da Stato e Regione, spingendo così le Regioni all’adempimento di questo non semplice, ma proficuo strumento.
Tuttavia, pur comprendendo le necessità di semplificazione, ribadiamo l’importanza di valorizzare strumenti già esistenti come i Piani paesaggistici.
Per incentivare le Regioni a procedere rapidamente con l’adozione dei Piani Paesaggistici regionali, potrebbe essere utile introdurre un sistema premiale basato sulla possibilità di accedere a procedure autorizzative semplificate e accelerate relativamente agli interventi ricadenti in aree di particolare valore paesaggistico e ambientale elencate all’art. 142 del Codice quali, ad esempio, aree costiere, sponde di fiumi e laghi, zone montane, ghiacciai, parchi e riserve naturali, boschi e foreste, zone gravate da usi civici, zone umide, vulcani e aree di interesse archeologico.
L’accesso alla procedura semplificata e al conseguente rilascio accelerato del nulla osta paesaggistico da parte della Soprintendenza dovrà tuttavia essere subordinato alla previa stipula dell’accordo tra Regione e Ministero della Cultura per la redazione congiunta del Piano Paesaggistico regionale e all’adozione formale del piano da parte della Regione entro termini vincolanti.
Tale misura garantirebbe un equilibrio efficace fra semplificazione amministrativa e tutela rigorosa del paesaggio e dell’ambiente.
Nel prossimo articolo concluderemo l’esame del DDL 1372 approfondendo il tema delle dotazioni organiche e delle strutture tecniche professionali necessarie per attuare tale revisione, evidenziando come una maggior devoluzione della tutela paesaggistica agli enti locali non sembra assolutamente idonea a ridurre i tempi di risposta, anche alla luce di una mancata garanzia di elevati livelli di protezione del paesaggio. Il sistema delle deleghe ambientali e paesaggistiche agli enti locali è il vero nodo centrale della tutela costituzionale dell’art. 9.
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