Il dato entra in cantiere

Il D. Lgs. 36/2023 e s.m.i. ha iconicamente sancito l’ingresso operativo della digitalizzazione vera e propria nel cantiere edile o infrastrutturale con l’introduzione della figura del coordinatore dei flussi informativi all’interno dell’ufficio di direzione dei lavori (sul versante della domanda).

06 Apr 2025 di Angelo Ciribini

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Presumibilmente, ciò indurrà le imprese di costruzioni nel loro ruolo di appaltatori a dotarsi di analogo profilo professionale, tanto più che, di là di ogni altra applicazione digitale, si tratterà di gestire la progettazione costruttiva sino al completamento dei lavori e di redigere la relazione specialistica sulla modellazione informativa. D’altra parte, è immaginabile che si creino progressivamente un immaginario e una iconografia del cantiere digitale sempre più denso di dispositivi raffinati, oscurando, tuttavia, la struttura dei flussi informativi che governa la logica di impiego degli strumenti che, a loro volta, generano i dati, vale a dire, producono questo particolare tipo di cespiti, con il suo valore.

Dal punto di vista, tuttavia, dell’impresa di costruzioni, una potenziale centralità del dato nella propria operatività, non circoscritta, ovviamente a se stessa né, appunto, al cantiere, che cosa potrebbe comportare? La digitalizzazione, per ora ancora a uno stato embrionale, non fosse altro che per la persistente centralità del documento nelle operazioni e della cultura analogica negli apparati mentali, richiede, anzitutto, di comprendere se essa sia un fenomeno intrinsecamente trasformativo o se, al contrario, si limiti ad abilitare altre finalità, come quelle legate alla circolarità e alla sostenibilità. In altri termini, si tratta di valutarne l’eventuale natura strumentale o causale. Ciò che è indubbio è che la digitalizzazione imponga una razionalità dell’organizzazione che rimanda alla presenza di un sistema di controllo di gestione, poiché è necessario che vi sia una architettura infrastrutturale che sovrintenda ai flussi informativi originati dalla sommatoria delle soluzioni tecnologiche adottate. Occorre, infatti, assolutamente osservare come difficilmente all’impresa di costruzioni possa essere garantito un ritorno sull’investimento chiaro in assenza di questa precondizione.

Dopodiché, naturalmente, i dispositivi possono essere gradualmente introdotto, ma questa incrementalità dipende, appunto, dal contesto precostituito. Sotto questo profilo, è chiaro che la gestione informativa (giacché di modellazione informativa o BIM in quanto tale più non si parla) implichi l’interazione tra culture e apparati eterogenei, amministrativi, finanziari e tecnici, nella dialettica tra la sede e il cantiere, tra l’impresa medesima e la propria catena di fornitura, tra l’internalizzazione e l’esternalizzazione. Sarebbe, infatti, illusorio ipotizzare che l’implementazione delle soluzioni digitali possa rivelarsi decisiva fuori da una rivisitazione dell’identità dell’impresa di costruzioni, della sua catena di fornitura, delle alleanze che stabilisce. Tale interazione, prima di tutto culturale, deve, poi, tradursi in interoperabilità tra i sistemi informativi dell’organizzazione, in qualche modo garantiti pure dai diversi sistemi di gestione integrati, tra cui ora spiccano quelle conformi alle norme internazionali UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2024 (Sicurezza delle informazioni, cybersecurity e protezione della privacy – Sistemi di gestione per la sicurezza delle informazioni – Requisiti) e UNI CEI EN ISO/IEC 42001:2024 (Tecnologie informatiche – Intelligenza artificiale – Sistema di gestione), in attesa, nello specifico del settore, della norma UNI che concerne il sistema di gestione dei processi digitalizzati relativi a una organizzazione che sia attiva nel settore della costruzione e dell’immobiliare, attesa per la fine del 2025.

Queste considerazioni potrebbero significare che una autentica digitalizzazione dell’impresa di costruzioni presenti una sorta di barriera di ingresso di carattere dimensionale, ma, certamente, gli ostacoli principali riguardano i temi strutturali, la sua cultura aziendale, la mentalità delle persone che lavorano per essa, e così via. In questa sede non si ragiona, peraltro, come già anticipato, dell’acquisizione estemporanea di dispositivi digitali utilizzati secondo criteri analogici, ma di processi decisionali supportati da dati qualitativi e idonei, nell’ottica della semi-automazione dei processi decisionali stessi. Il discrimine non attiene, dunque, al fatto che l’impresa di costruzioni popoli i luoghi produttivi di droni e di laser scanner, impieghi macchinari sensorizzati ed esoscheletri, connetta gli operatori tramite dispositivi indossabili, adotti sistemi di robotica, faccia ricorso alle realtà aumentate, immersive o di qualunque altra natura, utilizzi sistemi di notarizzazione, o faccia altro: queste, infatti, sono le manifestazioni esteriori di un immaginario diffuso che identifica la digitalizzazione con gli esiti esteriori e che circoscrive il tema alla dimensione tecnica, eludendo quelle amministrative, gestionali, fiscali, finanziarie, giuridiche. Una simile immagine, frequente nella pubblicistica, come detto, non spiega molto dello sviluppo effettivo dell’evoluzione reale del tema. Si tratta, del resto, della stessa deformazione che ha da sempre riguardato il confronto tra l’impresa di costruzioni e l’azienda manifatturiera, identificata più con l’emulazione dei fattori e dei modi della produzione, anziché con una cultura industriale. Qui, al contrario, si tratta di perseguire obiettivi di intelligenza dei fenomeni che coinvolgono l’intera catena di fornitura: non è, infatti, un caso che anche per le forme più tradizionali di digitalizzazione, quelle proprie alla modellazione informativa, la profondità di disseminazione nella catena di fornitura sia relativamente poco profonda anche nelle esperienze di riferimento.

Di fatto, al momento vi sono solitamente nuclei acculturati e formati in termini specialistici all’interno delle stesse organizzazioni, senza che sia di sovente possibile permeare tutte le risorse umane coinvolte: assai più difficile investire nella catena di fornitura, non infrequentemente afflitta, a sua volta, dal nanismo dimensionale. In altre parole, si deve ricondurre il tema ai risvolti aziendali gestionali veri e propri per non incorrere in uno strabismo da digital washing, che non può arrecare significativi ritorni sugli investimenti alla dirigenza e alla proprietà.

Dal punto di vista dell’innovazione digitale effettiva, essa si delinea tra alcune espressioni, come gemello digitale, calcolo quantistico e, soprattutto, intelligenza artificiale. Quest’ultima categoria oggi gode di un notevole interesse presso l’impresa di costruzioni, ma, non a caso, le applicazioni che essa immagina vertono principalmente sulla dimensione documentale: ad esempio, sulla predisposizione di una offerta o di un contratto. Il che sembra piuttosto eloquente della predilezione che gli operatori nutrono nei confronti dell’approccio analogico. In definitiva, tutte le applicazioni digitali avanzate richiedono ai vertici aziendali di metterne in questione l’affidabilità e di assicurarsi delle conseguenze in termini di responsabilità della loro adozione. L’interrogativo fondamentale, collegato a queste note, verte, tuttavia, sul destinatario ultimo della digitalizzazione, oltre alle esigenze di efficientamento dei processi aziendali interni e ai vincoli legislativi.

Ciò che emerge è che gli intermediari e gli operatori finanziari iniziano a esercitare una propria progettualità autonoma negli investimenti rispetto ai committenti, progettualità talora anche controversa, laddove si discuta di estrazione di valore dallo sviluppo immobiliare. Sia quello che sia, questa progettualità appare reale e segue proprie logiche, non del tutto assimilabili a quello tradizionali degli attori primi. Per certi versi, si potrebbe un poco provocatoriamente, affermare che la digitalizzazione abbia messo in luce, in molti casi, una forte debolezza da parte del versante della domanda, specie di quella pubblica. Di conseguenza, anche relativamente alla circolarità e alla sostenibilità, si può lecitamente domandarsi quale contenuti la struttura di committenza, a partire dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti, siano in grado di richiedere e di verificare, oltre le certificazioni e i protocolli. Al contrario, l’uso dei dati da parte dei soggetti finanziari, anzitutto per quanto riguarda la profilazione degli attori in termini di valutazione del rischio, difficilmente si potrà arrestare agli aspetti generali e nominali.

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