IL PROVVEDIMENTO AL BIVIO

Mantini: “Dal salva-Milano passiamo al salva-rigenerazione, correttivi al Senato per approvare una legge ancora utile al Paese. Poi il testo unico dell’edilizia e dell’urbanistica”

10 Mar 2025 di Giorgio Santilli

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Mantini: “Dal salva-Milano passiamo al salva-rigenerazione, correttivi al Senato per approvare una legge ancora utile al Paese. Poi il testo unico dell’edilizia e dell’urbanistica”

PIERLUIGI MANTINI DEPUTATO

“Ho espresso più volte, anche su Diario DIAC, i miei dubbi sull’efficacia e sulla legittimità costituzionale di questo articolo salva-Milano”. Pierluigi Mantini, avvocato, da anni professore di “diritto della rigenerazione urbana” al Politecnico di Milano, ex parlamentare, già Vice Presidente della giustizia amministrativa, torna a parlare del salva-Milano ora che il salva-Milano sembra sul punto di essere abbandonato. La prima domanda è se lo ritenga ancora possibile e utile. “Penso che sarebbe utile varare piuttosto una misura urgente che chiamerei “salva-rigenerazione”. Anche prima del riordino, giustamente auspicato da più parti, del Testo unico dell’edilizia. Sarebbe una sorta di norma ponte verso la riforma”.

Allora apriamo subito questa parentesi sul Testo unico dell’edilizia. Quali sarebbero le priorità di questo riordino?

I punti sono molti ma a mio modo di vedere si dovrebbe avere in primo luogo il coraggio di unificare urbanistica ed edilizia sul piano dei principi. In altri termini, il nuovo Testo unico dovrebbe chiamarsi “Testo unico dell’edilizia e dell’urbanistica” e prevedere nel capo primo 10-12 articoli di principi sull’urbanistica, cioè sul governo del territorio. In questo modo avremmo due risultati importanti: il primo è quello di far rientrare in campo, in qualità di protagonista, l’urbanistica che oggi è sempre una voce fuori campo, come protagonisti nei film di Antonioni. Terremmo insieme le due materie. Stiamo parlando di principi generali che semplificherebbero il lavoro del legislatore regionale e potrebbero essere usati come LEP, livelli essenziali delle prestazioni, per tenere al riparo da eccessi o confusioni federalistiche il percorso dell’autonomia differenziata. In secondo luogo, il testo unico dell’edilizia e dell’urbanistica aiuterebbe a risolvere proprio i problemi della rigenerazione urbana, in un’epoca in cui il progetto edilizio sul patrimonio esistente è diventato nettamente prioritario rispetto alla dimensione dell’urbanistica di espansione attraverso nuove costruzioni. Insomma, bisogna abbattere il muro che divide l’ edilizia dall’urbanistica e tornare a disciplinare in modo unitario progetto edilizio e piano. Lo slogan che mi hanno attribuito “ meno piani e più progetti”, si, in effetti lo condivido.

Torniamo al salva-Milano o quel che ne resta, ammesso che ne resti qualcosa. A questo punto cosa sarebbe utile fare dal suo punto di vista?

Una premessa. Una norma urgente sarebbe utile per risolvere alcune contraddizioni presenti nella disciplina attuale, insorte per effetto di alcune norme di semplificazione recenti. Faccio alcuni esempi.

Il primo?

Si dovrebbe sciogliere un’ambiguità a proposito degli interventi di ristrutturazione edilizia su “sedimi differenti”. Tutti i Comuni italiani hanno gli stessi problemi a interpretare cosa voglia dire fare un intervento su sedimi differenti: in un sedime lontano da quello dell’ edificio originario o accorpando in uno stesso sedime manufatti edilizi dislocati su un territorio più vasto? Il testo del salva-Milano approvato alla Camera ha una norma che pone un limite a questo genere di interventi, perché aggiunge alla norma vigente un inciso “purché nel medesimo lotto”. È una forma di limitazione utile ma che potrebbe essere completata per fare maggiore chiarezza in modo che diventi “purché nel medesimo lotto dell’edificio oggetto dell’ intervento di ristrutturazione”. Una norma di questo tipo sarebbe in effetti utile per risolvere numerosi problemi alle amministrazioni comunali.

Chiaro, una questione molto mirata. Il secondo punto?

Vi è un secondo punto di debolezza della normativa che il testo al Senato potrebbe risolvere, con alcune modifiche. Stiamo parlando di un paragrafo contenuto nell’articolo 23 del Testo unico relativo alla Scia ottenuta in alternativa al permesso di costruire. Questa semplificazione oggi si può fare nel presupposto che vi sia a monte un piano attuativo di dettaglio che definisca le volumetrie da realizzare. È un presupposto fondamentale perché vuol dire che l’autorità pubblica, cioè il Comune, si è già espresso con una propria delibera che ha anche una valenza urbanistica. Allora è abbastanza logico che con Scia si possa soltanto attestare la conformità a ciò che già è stato deciso. C’è tuttavia nella disciplina attuale dell’articolo 23 un paragrafo che, a un certo punto, dice che questa autorizzazione con Scia anziché con il permesso di costruire si può fare anche in assenza del piano attuativo di dettaglio. È una norma che ha creato molta confusione. Credo che, per maggiore chiarezza, questo paragrafo della normativa vigente andrebbe proprio abrogato. Resterebbe che la Scia in luogo del permesso di costruire si può ottenere solo in presenza di un piano attuativo di dettaglio approvato. Ho fatto solo due esempi, molto corposi, per spiegare perché una legge “salva-rigenerazione” sarebbe urgente come misura parziale transitoria prima di pensare al riordino del testo unico che io chiamo dell’edilizia e dell’urbanistica.

Questi esempi ci dicono che un intervento del legislatore potrebbe in effetti essere utile per risolvere varie incertezze. Ma il salva-Milano si basa su una norma di interpretazione autentica finalizzata a sanare alcune tipologie di interventi realizzati nel quadro legislativo attuale. Lei ha espresso dubbi sul testo, quali dovrebbero essere i correttivi da introdurre al Senato?

Leggo che ci sono forze politiche che vorrebbero andare avanti con quel provvedimento. Questa ipotesi mi vedrebbe favorevole se la legge contenesse alcune norme urgenti e necessarie per fare chiarezza sull’attuale disciplina, adeguatamente corrette rispetto al testo della Camera. Le correzioni da fare, a mio avviso, sono tre.

Ci spieghi.

Il testo approvato dalla Camera, con un’ ampia maggioranza, afferma che l’art. 41 quinquies della legge fondamentale deve essere interpretato nel senso che il Piano attuativo preventivo non è necessario se riguardano interventi realizzati in “ambiti edificati e urbanizzati”. Ma chi stabilisce che siamo in un ambito urbanizzato e in che modo si stabilisce? La norma non lo dice e invece andrebbe detto. Certamente non può farlo il privato che propone l’intervento o il professionista che assevera. Lo deve dire l’autorità pubblica, cioè il Comune. E può dirlo in due modi. Primo caso: se si può ricavare agevolmente dallo strumento urbanistico generale comunque denominato che dice che in una certa zona siamo in un ambito edificato o urbanizzato. Se, invece, non si può ricavare in questo modo, il secondo caso dovrebbe prevedere la facoltà per il titolare dell’intervento già realizzato o in corso di realizzazione di richiedere al Comune un atto confermativo, cioè un’attestazione che l’intervento realizzato o in via di realizzazione sia effettivamente su un ambito edificato e urbanizzato. Se, quindi, esistono dei dubbi, il privato chiede e il Comune risponde. Se il Comune era già precedentemente orientato in questo senso, conferma e attesta. Qualora invece ritenga che non vi sia la sussistenza dei requisiti per dichiarare quella zona urbanizzata o edificata o che la sussistenza sia cessata, si potrà dare la possibilità al privato di regolarizzare la sua posizione richiedendo un permesso di costruire e pagando tutti gli oneri di urbanizzazione previsti. Sempre se l’area è edificabile e non vi è contrasto con la disciplina urbanistica vigente.

Qui saremmo in presenza di una regolarizzazione.

Sì, penso che si debba affermare questo principio. Se nella sostanza dell’intervento siamo di fronte a un abuso edilizio, il titolare ne deve rispondere penalmente e l’edificio va demolito. Se invece siamo in presenza di carenze formali o procedurali penso debba essere sempre consentito al proponente di richiedere il permesso di costruire, meglio anche se convenzionato. Ovviamente pagando tutti i relativi oneri di urbanizzazione dovuti in aggiunta. E a proposito degli oneri vorrei fare un’ulteriore considerazione.

Una proposta?

Sì. Penso che questi oneri di urbanizzazione da corrispondere, secondo le scelte discrezionali di competenza dei comuni, in genere destinati a servizi di urbanizzazione come verde, parcheggi, piccole attrezzature pubbliche, ben possano essere destinati, nel caso in cui queste urbanizzazioni ci siano già in misura sufficiente, ad altri usi, come per esempio l’edilizia sociale.

Per finanziare piani casa comunali?

Il Comune di Milano sta facendo un nuovo piano casa e ritengo sia un’iniziativa positiva ma non del tutto sufficiente. Si dovrebbero destinare le risorse che possono derivare dalle regolarizzazioni alla realizzazione di alloggi di edilizia sociale. E penso che questo debba avvenire su terreni già impermeabilizzati individuati in una dimensione metropolitana, e quindi meno costosi, a condizione che queste zone siano collegate da una metropolitana o buone linee di trasporto: la città a 30 minuti è un buon obiettivo.

Sta proponendo uno scambio fra regolarizzazioni e interventi sociali?

Si, ipotizzo un mix tra regolarizzazioni e housing sociale, si può fare, in certa misura. Se Milano decide di costruire in altezza per evitare il consumo di nuovo suolo, gli oneri di urbanizzazione, “in ambiti edificati e urbanizzati”, possono essere in buona misura dedicati all’edilizia sociale, ricordando che abitazioni di iniziativa privata in questo ambito e anche studentati devono comunque avere un prezzo sociale e non di mercato. Il problema della casa e dell’accesso alla città pubblica c’è in tutte le grandi città in Europa e nel mondo. La città è densità di servizi, opportunità, relazioni: una dimensione che non dovrebbe essere essere negata alle persone di buona volontà.

Che ne sarebbe delle inchieste e dell’azione penale con le norme che lei propone?

Questa azione non risolverebbe i problemi più gravi di natura penale, non potrebbe e non dovrebbe, ma sarebbe un notevole passo in avanti. Un condono non sarebbe possibile né auspicabile, a mio avviso, e credo che nessuno lo abbia mai voluto proporre. Sempre nel pieno rispetto dell’autonomia della magistratura, resterebbero forse in piedi alcune imputazioni che finirebbero, però, per avere una natura più formale che sostanziale perché gli aspetti sostanziali verrebbero ad essere superati con questo percorso di regolarizzazione accompagnato da una chiarificazione di alcuni nodi oggettivamente incerti della legislazione. La magistratura faccia il suo dovere, il Parlamento e l’amministrazione comunale pure. Questo tema è troppo rilevante dal punto di vista sociale ed economico per essere abbandonato ai tempi lunghi e incerti della giustizia. Famiglie, funzionari comunali, investitori meritano soluzioni.

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