BERGAMO PORTA SUD
Cino Zucchi: la stazione a ponte risolverà la storica frattura della città, la sfida è farne un luogo URBANO e non una passerella
Intervista all’architetto coordinatore del masterplan
18 giugno




Architetto Zucchi, una caratteristica della rigenerazione urbana di Bergamo Porta Sud è il ribaltamento delle priorità temporali e strategiche fra infrastrutture e intervento privato. Priorità alle infrastrutture è una chiave per la rigenerazione urbana?
Il rapporto tra l’evoluzione delle infrastrutture di trasporto collettivo e la riqualificazione degli ambienti urbani tocca il carattere duplice della vita contemporanea: quello di un continuo movimento sul territorio europeo e quello della dimensione locale privata o di comunità. Lo sviluppo delle linee su ferro dall’Ottocento in poi ha collegato tra loro luoghi lontani e al contempo creato discontinuità nei tessuti urbani. È il caso del grande scalo ferroviario di Bergamo a sud della stazione, la cui cesura rappresenta da almeno mezzo secolo un tema ricorrente nel dibattito e nelle proposte progettuali sulla città. L’acceleratore della sua risoluzione è stata il progetto di FS per la nuova stazione a ponte, elemento cardine della più vasta integrazione tra i capolinea dei tram che innervano le valli bergamasche, gli autobus extraurbani e il nuovo collegamento con l’aeroporto di Orio al Serio. Il master plan per l’area dello scalo dismesso disegna una nuova parte di città con una grande sensibilità ambientale e il nodo di un sistema territoriale molto più vasto.
La seconda caratteristica di Porta Sud, connessa alla prima, è una tempistica ben scandita e vincolante, grazie ai finanziamenti PNRR. Questo è garanzia di attuazione?
Certamente sì; i lavori per la nuova stazione sono già partiti. Il suo disegno, al quale noi abbiamo contribuito in maniera sostanziale, vuole unire il tema formale e funzionale dell’edificio passeggeri a quello di una sequenza di luoghi urbani vivaci a tutte le ore del giorno. La stazione a ponte borda così un nuovo attraversamento pubblico dei binari – il cui tratto principale sarà realizzato insieme al manufatto della stazione – sostenuto da una serie di funzioni urbane che legano il nuovo quartiere al cosiddetto “asse ferninandeo” che collega Bergamo Bassa al precorso per Bergamo Alta.
Provando a generalizzare, che cosa oggi rende sostenibile economicamente e ambientalmente un intervento di rigenerazione urbana?
In un momento dove il termine “sostenibilità” si è allargato a coprire un campo troppo vasto e indefinito, credo che i concetti di “lunga durata” e di “apertura al cambiamento” delle strutture urbane siano l’elemento più importante a sostegno di una trasformazione sostenibile. Pur costruiti con programmi, valori e tecniche non più attuali, vediamo come spazi ed edifici del passato sappiano ancor oggi ospitare stili di vita estremamente innovativi e trasformarsi continuamente per rispondere a nuovi bisogni, cosa che paradosso non è sempre vera di molti edifici “funzionalisti”. I tempi necessari a progetti urbani di questa scala fa sì che il programma e il quadro economico possano cambiare sensibilmente nel corso della loro stessa attuazione.
Come avete costruito il Masterplan di Porta Sud?
Dando forma prima alla sequenza di spazi aperti che agli edifici, e facendo continuamente dialogare gli elementi del nodo di interscambio trasportistico con le funzioni e le parti urbane al suo contorno. I percorsi pubblici scavalcano i binari in tre punti; essi non sono semplici “passerelle”, ma veri e propri luoghi collettivi diversi per la presenza del verde e delle attività ricreative e di servizio che li presidieranno e daranno loro vita a tutte le ore.
Quali sono gli (altri) aspetti qualificanti?
Una capacità di “innesto” sulla città data da una lettura anche minuta delle sue caratteristiche specifiche, a partire dalle tracce agricole e dalla rete delle acque che ancora esistono sul luogo. I percorsi cercano sempre di valorizzare e seguire direttrici storiche, intensificandole dove necessario per creare nuovi ambienti urbani.
Come saranno selezionati i progettisti dei singoli lotti o edifici? Ci sarà una regia unitaria?
Le nostre esperienze progettuali in Olanda o Francia ci hanno insegato un “city making” affidato a più soggetti progettuali coordinati da uno studio leader. Quest’ultimo non detta solo le regole nei documenti di piano, ma interagisce continuamente per assicurare che la varietà dei soggetti operatori e delle architetture mostrino una ragionevole “aria di famiglia”. Il fascino delle città storiche è generato da un galateo urbano dove i singoli edifici si adattano di buon grado a codici formali condivisi. In un’era che compensa con le eccentricità delle “archistar” le mediocrità di una periferia senza qualità ciò è certamente più difficile. Nessuna qualità può essere raggiunta se non sentita come tale da operatori e acquirenti.
Nell’attuazione quali fattori possono pesare maggiormente? Permessi urbanistici ancora da definire? Autorizzazioni per i progetti infrastrutturali? Ricerca dei cofinanziamenti privati?
Un progetto urbano potrebbe essere rappresentato da una sorta di “diagramma di Venn” dove ogni cerchio rappresenta l’insieme delle scelte accettabili da uno dei soggetti necessari alla sua attuazione: investitori, politici, tecnici della pubblica amministrazione, soprintendenza, gruppi di cittadini etc.. I progettisti agiscono spesso come giocolieri che cercano di muovere i cerchi fino a trovare una pur esigua area di sovrapposizione. Questo è il progetto che si attuerà, e dentro questi confini avrà i suoi margini di libertà; tutti gli altri diventano i fantasmi delle “belle idee” che una città non è stata in grado di attuare.
Il cambiamento di giunta può fermare o rallentare l’intervento? C’è questo rischio?
I tempi della politica sono sempre più brevi dei tempi necessari alle trasformazioni urbane che veramente importano. Questo è un problema più generale: spesso un cambiamento politico ferma un buon progetto, ma i politici più intelligenti sono quelli che inaugurano i progetti intrapresi dai predecessori anche di segno opposto.
Ambiente costruito. Queste due parole (che stanno nella nostra testata) le suggeriscono una riflessione per il futuro? Che vuol dire fare architettura sull’ambiente costruito?
Nel 2014, per parlare di architettura italiana alla Biennale di Venezia, avevo donato al Padiglione Italia da me curato il titolo di “Innesti”. La cultura architettonica e urbanistica italiana ha sempre dovuto confrontarsi con un territorio stratificato, pieno di preesistenze significative. Oggi stiamo riscoprendo il recupero edilizio nei suoi fattori energetici ed ecologici, e ogni nuovo progetto urbano deve essere capace di miscelare nuovo e antico per creare nuovi luoghi significativi. Non amo la contrapposizione manichea tra conservazione e innovazione: nei progetti per la ex-Junghans di Venezia, per il Nuovo Portello a Milano, per il Campus Lavazza a Torino, per il Macello di Milano e per la Cavallerizza Reale di Torino, edifici esistenti e nuovi interventi si integrano in proporzioni diverse ma con grande senso corale, senza alcuna nostalgia né ossessioni “futurologhe”. La meraviglia della città europea va reinventata ogni giorno, e Bergamo sta vivendo una nuova stagione proprio grazie alla contiguità con uno hub internazionale come Orio. Tutto ciò abbisogna di responsabilità, cultura e azione coordinata delle varie forze che plasmano la città.
dopo molti anni a Bergamo sembra si siano realizzate coincidenze astrali giuste; incrociamo le dita!