IL labirinto oscuro dell'edilizia / 12
Gli interventi di ristrutturazione edilizia “ricostruttiva” e le norme sulle distanze tra le costruzioni: l’articolo 2-bis, comma 1-ter del TU edilizia
In giurisprudenza e in dottrina si è affermato il principio secondo cui nel caso di totale demolizione di un fabbricato e di una sua ricostruzione con diversa area di sedime non sia possibile derogare alle distanze previste per le nuove costruzioni, in quanto il costruendo edificio costituisce un’entità completamente nuova, anche se realizzata nel regime della ristrutturazione; quindi, la totalità dell’intervento presuppone il rispetto delle norme urbanistiche per i nuovi fabbricati, comprese quelle sulle distanze dal confine e da altri edifici previste dallo strumento urbanistico generale.
Invece, nel caso di demolizione e fedele ricostruzione, è altrettanto pacifico il principio in base al quale il ricostruendo edificio può sottrarsi al rispetto della disciplina sulle distanze minime fra costruzioni, qualora il precedente manufatto già non rispettasse dette distanze (cfr. ex multis: Cass. civ., sez. III, 19.05.2020, n. 9189; Cass. Civ., sez. II, 10.02.2020, n. 3043; Cons. Stato, sez. IV, 12.10.2017, n. 4728; Cons. Stato, sez. IV, 14.09.2017, n. 4337).

IN SINTESI
Tale orientamento – che costituisce oramai un principio generale dell’attività edilizia – è stato recepito dal legislatore attraverso la modifica apportata all’art. 2-bis del D.P.R. n. 380/2001. Come è noto, infatti, il comma 1-ter dell’art. 2-bis del D.P.R. n. 380/2001 (aggiunto dall’art. 5, comma 1, della L. n. 55/2019 e poi sostituito dall’art. 10, comma 1, lettera a), della L. n. 120/2020), nell’introdurre disposizioni di deroga ai limiti di distanza tra fabbricati, ha previsto, nella prima parte, che:
“In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici [quindi, anche nel caso di ristrutturazione edilizia “ricostruttiva”], anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti”.
Tuttavia, quello che doveva (o sembrava essere) un mero recepimento nel panorama normativo di un principio di matrice giurisprudenziale, ha generato una serie di interrogativi, soprattutto per quanto previsto nella seconda parte del comma 1-ter dell’art. 2-bis, ossia che “Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti …”.
Ci si è chiesto, allora, se con tale passaggio il legislatore abbia inteso consentire la deroga alle norme sulle distanze legali anche per le parti di nuova costruzione in sopraelevazione, quando la ricostruzione avvenga realizzando un edificio avente un’altezza superiore a quello preesistente. E’ evidente che, se così fosse, ci troveremmo di fronte ad un’ulteriore stravolgimento di un altro principio consolidato nella materia, quello, cioè, secondo cui una sopraelevazione deve essere considerata sempre come nuova costruzione, potendo essere realizzata solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali tra le costruzioni e dai confini.
A mio parere, siffatta interpretazione sarebbe incompatibile con il nostro ordinamento giuridico, se non altro perché si scontrerebbe con l’ineluttabile esigenza di tutela dei diritti dei terzi confinanti, dovendosi privilegiare, invece, l’orientamento in base al quale ogni variazione della collocazione fisica dell’edifico ricostruito, anche in termini altimetrici, rappresentando un novum, sia tenuta a rispettare le norme sulle distanze legali.
Va detto, invero, che anche i più recenti arresti giurisprudenziali hanno confermato i principi innanzi richiamati, ritenendo che una sopraelevazione, comportando sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro dell’edificio, non può qualificarsi come mero risanamento conservativo o ricostruzione dei volumi edificabili preesistenti e deve, pertanto, essere considerata come nuova costruzione, da eseguirsi solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali (cfr: Cons. Stato, sez. II, 19.10.2021, n. 7029; Cass. Civ., sez. II, 12.02.2021, n. 3683; Cass. Civ., sez. II, 12.02.2021, n. 3684.
La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 760 dell’ 1.06.2020, ha sostenuto che: “La sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione”.
Tuttavia, con l’attuale formulazione del comma 1-ter i dubbi permangono.
La ristrutturazione edilizia “ricostruttiva” nelle fasce di rispetto stradale
Aspetto sin qui poco considerato nella disamina delle fattispecie della ristrutturazione edilizia c.d. “ricostruttiva” è la sua compatibilità con le norme del Codice della Strada. Infatti, il D.P.R. 16.12.1992, n. 495 – Regolamento di esecuzione di attuazione del Nuovo Codice della Strada (D.lgs. 30.04.1992, n. 285) – stabilisce che (ai fini della sicurezza della circolazione stradale e fuori dai centri abitati) le distanze dal confine stradale devono essere rispettate “nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade”.
Pertanto, qualsiasi tipo di intervento ricostruttivo, indipendentemente dalla sua qualificazione tecnico-giuridica – ossia se configurabile come “nuova costruzione”, come “sostituzione edilizia” o come “ristrutturazione edilizia”, si scontrerebbe con il carattere assoluto della inedificabilità delle fasce di rispetto stradale.
Così, l’intervento di demolizione e ricostruzione incorrerebbe di per sé nel divieto sancito dalla disposizione, indipendentemente dalla sua riconducibilità all’alveo della ristrutturazione edilizia.
Tale orientamento ha trovato avallo nella giurisprudenza (oltre che nello stesso Ministero delle Infrastrutture e Trasporti) soprattutto sulla considerazione che, in tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi stradali, il divieto di costruire ad un certa distanza, imposto dal codice della strada (e a livello comunale dal Piano Regolatore), non può essere inteso restrittivamente, cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di
costituire (per la prossimità alla sede stradale) pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma deve essere correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dall’Ente titolare della strada per l’esecuzione di lavori, per l’impianto di cantieri, per deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni.
Pertanto, il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, rende inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale. Si richiama, a titolo esemplificativo, la pronuncia della Cassazione civile, sez. I, sentenza.11.02.2015 n. 2656: “Con riguardo alle fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati e alle distanze delle costruzioni dal confine stradale, la nozione di “ricostruzione” di un'opera edile non deve essere ricavata per analogia dalla normativa civilistica in tema di distanze, la cui ratio è la tutela della proprietà nei rapporti di vicinato, bensì direttamente dall’art. 18 d.lgs. n. 285 del 1992 (codice
della strada) e dall’art. 28, comma 1, del relativo regolamento di cui al d.lgs. n. 495 del 1992, le cui norme sono volte ad assicurare l’incolumità dei conducenti dei veicoli e della popolazione che risiede vicino alle strade. Tali disposizioni si riferiscono a qualsiasi opera di “ricostruzione” che segua (verosimilmente ma non necessariamente) a una demolizione e non soltanto alle “nuove costruzioni”, con la conseguenza che la demolizione e successiva ricostruzione di opere preesistenti alla realizzazione della strada, per le quali era riconosciuta una deroga ai limiti di distanza, comportano l'obiettivo insorgere o risorgere proprio di quel pericolo alla circolazione stradale che la normativa di settore ha inteso evitare e non possono che essere equiparate a una nuova costruzione di un fabbricato posto a distanza inferiore rispetto a quella consentita e per cui non è ammessa alcuna deroga”.
Si deve dare atto, tuttavia, di un diverso orientamento (a dire il vero ancora minoritario) secondo cui se il “fabbricato risultante da un intervento di demolizione e fedele ricostruzione può sottrarsi al rispetto della disciplina sulle distanze minime fra costruzioni, qualora il precedente manufatto già non rispettasse dette distanze … E, tale orientamento, codificato dal legislatore attraverso la modifica apportata dal d.l. n. 32/2019 all’art. 2-bis del d.P.R. n. 380/2001, costituisce oramai un
principio generale dell’attività edilizia”, allora è “del tutto ragionevole ritenere che, in maniera speculare, l’edificio legittimamente presente all’interno dell’area di rispetto stradale, ove demolito e fedelmente ricostruito, sia sottratto al divieto di edificazione che riguarda le nuove costruzioni, ovvero le ristrutturazioni comportanti dislocazione e/o modifiche planivolumetriche, o gli ampliamenti” (TAR Toscana, sez. III – Firenze, 1.09.2020, n. 1034).
Conclusioni
Dopo aver illustrato, nei precedenti articoli, la storia evolutiva della normativa sull’edilizia demo-ricostruttiva in Italia e dell’attuale giurisprudenza con relativa dottrina, excursus storico necessario ed indispensabile per comprendere i motivi che sono alla base del “caso Milano”, nel prossimo articolo analizzerò le motivazioni “tecnico/giuridiche” che hanno portato i magistrati ad emettere le ordinanze di sospensione lavori e ad effettuare i sequestri dei vari cantieri, e che, conseguentemente hanno delineato la formulazione del DDL 1987 e la sua interpretazione autentica.
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