IL PRESIDENTE DELL'OICE
Lupoi: “Il correttivo si poteva fare meglio. I PFTE scadenti ci dicono che il Pnrr è un’occasione persa per risolvere il rapporto malato fra Pa e progettazione”
“Il correttivo poteva fare di più, anche se va a sanare alcuni difetti che avevamo scoperto nella prima fase di attuazione. E anche il Pnrr ha portato tanto lavoro alle nostre imprese, ma per altri versi è stata un’occasione persa”. Giorgio Lupoi, presidente di Oice, l’organizzazione delle società di ingegneria, traccia un bilancio delle modifiche al codice e degli effetti prodotti dal Pnrr su uno stato della progettazione che mantiene però vecchie criticità strutturali, soprattutto nel rapporto con la pubblica amministrazione.
In che senso il correttivo poteva fare di più, presidente Lupoi?
Le soglie per affidamenti diretti e procedure negoziate, per esempio, si sarebbero dovute abbassare. In questo la pensiamo come Ance, serve più concorrenza.
Il compromesso sull’equo compenso vi piace?
Con la nuova norma si può arrivare a un ribasso massimo del 35%. Mi sembra una buona soluzione per coniugare il principio europeo, per noi fondamentale, della concorrenza e il principio che il lavoro degli ingegneri va comunque retribuito in modo equo.
Pericolo scampato?
Direi di sì.
Nel correttivo c’è qualche apertura importante?
Per noi molto importante è quella sul contratto-tipo che ci mette al riparo da contratti capestro. L’aspetto importante è quello dei tempi di pagamento del progettista. Abbiamo contratti in cui ti pagano il 50% alla consegna del progetto e il 50% al momento dell’approvazione, ma spesso non si sa quando viene approvato, quindi non c’è un termine. Questo stato di cose ora dovrebbe finire.
Anche il tempo di maturazione dei requisiti riportato da tre anni a dieci anni sono un aspetto positivo. Lo avete a lungo reclamato.
È stato fatto un passo avanti positivo ma non è ancora del tutto risolto perché il codice era stato scritto, su questo punto, con un copia e incolla delle direttive europee su forniture e servizi senza rendersi conto della normativa speciale che avevano i servizi di ingegneria e architettura. È stato fatto il passaggio corretto da importo dei lavori a fatturato dei servizi, ma non hanno voluto recepire nel codice le vecchie linee guida n. 1 dell’Anac. Bisogna comunque spiegare alle stazioni appaltanti come applicare queste norme , non sarà facile, ci vorrà del tempo, e mi pare escluso, a questo punto, che facciano il regolamento generale. Noi siamo comunque sempre pronti a dare supporto alle amministrazioni.
Su quale norma da modificare siete pronti a spendervi ancora?
Noi proveremo a insistere sull’anticipazione per il progettista. Dal punto di vista industriale avere un cash flow totalmente negativo quando si fa un servizio per lo Stato è un aggravio considerevole. Quindi dobbiamo cercare di migliorarlo in qualche modo perché per le imprese fa una differenza enorme. L’altra cosa da fare è l’aggiornamento del decreto parametri, che però sta fuori del codice appalti, pur essendo collegato. Sappiamo che il Mit è favorevole e lo spinge, anche per portare a regime la riduzione dei livelli di progettazione, ma non è di sua competenza diretta e per noi è cruciale che si faccia al più presto, perché sono state introdotte alcune nuove relazioni, come quelle di sostenibilità, per cui non c’è un euro di prezzo in più.
La novità forse più importante sui livelli di progettazione è l’articolazione del Progetto di fattibilità tecnico economica (PFTE). Non è più un monolite.
Questo è un bene. Ora abbiamo il PFTE light, il PFTE plus e il progetto esecutivo: significa quasi tornare ai tre livelli di progettazione. Dare un’articolazione maggiore al PFTE per noi è assolutamente positivo perché avere un elaborato progettuale successivo alla fase autorizzativa vuol dire che si manderà in appalto integrato un progetto migliore e più definito, anche rispetto alla volontà della stazione appaltante, rispetto a quello che si manda ora. Ma c’è un’altra cosa da aggiungere sul tema corrispettivi.
Prego…
È un’altra cosa che stiamo provando a correggere, la ripartizione del corrispettivo tra PFTE e progetto esecutivo. Oggi va al PFTE il 75-80% del corrispettivo complessivo della progettazione e il 20-25% all’esecutivo. Questo potrebbe funzionare forse per gli edifici, dove potresti avere già in partenza un buon grado di conoscenza dell’immobile su cui si opera. Ma non funziona affatto per le infrastrutture lineari su cui non hai ancora un grado di conoscenza così maturo con il PFTE e hai bisogno di fare ulteriori rilievi complessi e fatti bene con l’esecutivo.
Paolo Desideri nell’intervista al nostro giornale ha sollevato il problema più generale di PFTE molto scadenti.
Mi faccia dire che è stata una bellissima intervista.
Desideri ha detto apertamente cose che altri sussurrano a proposito del Pnrr e dei PFTE.
Ma lo diciamo anche noi che la qualità dei PFTE è davvero scadente in molti casi e che le criticità poi si incontrano nella fase dell’esecuzione. È un dato reale che non dobbiamo nasconderci.
Questo vale solo per il Pnrr o anche per gli altri progetti?
Non vale solo per il Pnrr che però spesso presenta l’aggravante di dover fare forzature sui tempi per rispettare le scadenze. Un altro tema sollevato da Desideri che condivido in pieno è la critica alla validazione del progetto che troppo spesso si risolve in un processo non sostanziale da cui emergono segnalazioni di presunti errori che sono soltanto di tipo formale. Fatta così, la validazione non serve a niente, mentre avrebbe senso se fosse fatta da chi sa progettare e vede immediatamente cosa va e cosa non va in un progetto senza dover stilare un lungo elenco di osservazioni critiche di cui l’80-90% sono formali. Quindi stiamo chiedendo di alzare la soglia dell’importo sopra la quale è obbligatoria la validazione (oggi è di 20 milioni, ndr).
Non è che lo dice perché in questo modo crescerebbe il mercato per i suoi associati?
Guardare solo le virgole delle norme e non dentro il progetto non fa l’interesse generale di portare a una buona progettazione. Nel resto del mondo noi a volte lavoriamo in fase di progettazione e a volte in fase di revisione del progetto fatto da altri per il cliente.
Qual è il giudizio sintetico finale sul Pnrr?
Per noi è stata una stagione eccezionale, non solo per il lavoro che ha portato, ma anche per essere riuscito a riportare le infrastrutture al centro del dibattito del Paese come elemento vitale per lo sviluppo. Ci sono però anche aspetti che mi fanno pensare che il Pnrr sia stato un’occasione persa.
Ora ci arriviamo. Mi dica, prima: l’effetto positivo del Pnrr, in termini di lavori, è finito per voi?
È sostanzialmente finito e la nostra preoccupazione è che non c’è niente altro. Il contratto di programma di Anas, giusto per fare un esempio, non è stato ancora firmato a un anno e mezzo dall’approvazione. Sa che significa? Che Anas da un anno e mezzo non vede un euro dallo Stato.
Quindi non c’è solo il tema del dopo-2026, c’è anche un tema del presente bloccato.
Esatto.
E per il dopo-2026 a cosa darebbe priorità?
La cosa importante per noi sarebbe, sulla scia del Piano casa, rimettere in ordine senza ulteriori ritardi un piano serio di risanamento del territorio, con una task force, come fece Renzi. Che poi non sia a Palazzo Chigi e sia al ministero delle Infrastrutture per noi va bene uguale, ma è urgente rifarla. In questo modo si innalzerebbe la capacità di ingegneria di questo Paese ha straordinariamente bisogno. Nel nostro settore, i bandi di gara sono scesi al livello del 2019. Questo arriverà anche per i lavori che scalano circa un anno rispetto alla progettazione.
Condivide che la preoccupazione sia il dopo?
Siamo assolutamente terrorizzati, praticamente non c’è il dopo. Non ci aspettiamo di continuare come è stato in questi ultimi anni ma che si affrontino problemi drammatici del Paese. Per esempio, quello dell’acqua, dove vanno sciolti interrogativi molto seri.
Quali interrogativi?
Per dirne uno, se il problema dell’acqua lo vuole gestire lo Stato con un piano serio, come penso sarebbe giusto, o se vuole farlo gestire a tre o quattro grandi concessionari come Acea.
Qualcosa si è fatto con il piano decennale avviato dal Mit, il Pniissi.
Non scherziamo, quel piano non ha i fondi che servirebbero per un grande piano nazionale urgente. Vogliamo far gestire il problema ai concessionari? Allora si dica esplicitamente, perché, se è così, devono cambiare le regole del mercato. Se gli affidiamo una priorità nazionale, non ha più senso che facciano come vogliono nell’assegnazione delle progettazioni e dei lavori. Vogliamo fare come Autostrade? E non parliamo dei social housing e degli studentati del Demanio, non ne ho visto ancora neanche uno realizzato.
Questo è un vostro argomento classico da 30 anni: troppo Stato e troppa pubblica amministrazione nella progettazione. È questa l’occasione persa del Pnrr? E che succede con il Bim?
Lo diciamo da trent’anni perché poi, oltretutto, quella progettazione in house la danno pure in subappalto, non avendo le strutture all’interno per farla. Sì, questo è il grande equivoco che il Pnrr avrebbe dovuto risolvere e non ha neanche posto. E che ritornerà nel dopo-2026. Se la pubblica amministrazione ha risorse limitate, deve anzitutto governare il processo complessivo, facendosi supportare dal mercato, se serve; non deve fare progettazione in proprio che va lasciata al mercato, capace di farla meglio. La pubblica amministrazione deve concentrarsi sul governo del processo, ma, se parliamo di Bim, non è in grado neanche di fare un capitolato informativo. Si faccia aiutare e faccia anzitutto le cose essenziali. Fra le cose essenziali c’è controllare i progettisti esterni e le imprese: l’operatore economico farà un lavoro fatto bene se la Pa dimostra una reale capacità di controllo.
Lo dite da trenta anni, ma il Bim ha peggiorato la situazione. La capacità di controllo del processo da parte delle Pa è sempre minore.
Anche da questo punto di vista il Pnrr è un’occasione persa. Abbiamo chiesto a chi lavora nella Pa di fare quattro o cinque volte il numero di progetti che erano abituati a fare. Ora gli chiediamo pure di farli in Bim senza che abbiano la preparazione per farlo. E non si fa quello che si fa negli altri Paesi, non si afferma una cultura di supporto al Rup attraverso il project management. Bisognerebbe programmarla, basterebbe programmarla.