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La disomogeneità delle leggi regionali forte ostacolo all’attuazione del salva-casa. Conflitti e convergenze nella legislazione concorrente
Uno degli ostacoli principali per dare il via all’attuazione del decreto Salva Casa, consta nella disomogeneità delle normative regionali, dovuta sostanzialmente alle conseguenze derivanti dal principio della potestà legislativa concorrente prevista dall’art. 117 della costituzione sui temi del governo del territorio ed in particolare dell’edilizia.
Alla luce dell’applicazione di tale “delega concorrente” le regioni nelle proprie norme di recepimento possono variare in modo alcune volte significativo i principi generali dettati dalle norme statali, creando una vera e propria differenziazione geografica, che a volte diventa addirittura “distonica”.
La potestà legislativa concorrente delle regioni, secondo l’ordinamento italiano, permette alle regioni di esercitare la propria competenza legislativa in materia di edilizia e urbanistica (governo del territorio), nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato. Questo significa che, sebbene il decreto salva casa stabilisca i principi generali, le regioni hanno la facoltà di adottare normative specifiche che si adattino alle esigenze e alle caratteristiche territoriali, purché non contrastino con i dettami statali. In questo contesto, il decreto salva casa funge da quadro di riferimento nazionale, ma lascia spazio alle regioni l’elaborazione di regolamenti attuativi che tengano conto delle peculiarità locali.

IN SINTESI
Ma questa variegata “fauna regionale” porta con se (sic!!!) incertezze applicative agli uffici preposti i quali si trovano a dover gestire norme statali e regionali a volte contrastanti, con aggravamenti procedimentali, ritardi, confusione, e con la naturale conseguenza di un probabile aumento dei contenziosi. Inoltre, la modulistica non sempre aggiornata alle nuove norme, complica ulteriormente il processo di sanatoria delle irregolarità edilizie.
Purtroppo il decreto salva casa non sfugge a tale potestà legislativa concorrente, nonostante i principi generali e le finalità lodevoli dettate come “mission” del Governo.
E’ chiaro che nella fase transitoria di prima applicazione una collaborazione tra Stato e regioni è fondamentale per garantirne l’efficacia, assicurando che le disposizioni siano applicate in modo uniforme sul territorio nazionale, pur rispettando le autonomie regionali.
Le regioni, attraverso la propria legislazione, possono quindi integrare e specificare le disposizioni del decreto, ad esempio stabilendo criteri più dettagliati per la sanatoria delle difformità edilizie o introducendo misure aggiuntive di semplificazione. Tuttavia, è essenziale che le norme regionali non vadano in contrasto con i principi e le finalità del decreto salva casa, al fine di evitare conflitti normativi e garantire la certezza del diritto per i cittadini.
La mission del salva casa
Nel particolare le disposizioni del decreto trovano le proprie ragioni di straordinaria necessità ed urgenza nell’esigenza di sbloccare quella situazione di totale stallo in cui oggi versa il mercato immobiliare, oggi fortemente penalizzato dalle incertezze del quadro normativo di settore, incertezze che non riescono a consentire la dimostrazione dello stato legittimo di un immobile, con relativa “naturale” riduzione della valorizzazione economica della propria abitazione; a volte inibendo anche la possibilità di interventi di ristrutturazione edilizia ed efficientamento energetico.
Le previsioni in esame muovono, per un verso, dall’interesse pubblico e privato alla riqualificazione e alla valorizzazione economica degli immobili e delle unità immobiliari interessate da difformità non sostanziali, per altro verso, dall’interesse dell’intero ‘settore casa’ e del mercato delle abitazioni, nell’ottica del pieno utilizzo degli immobili che non sono giuridicamente commerciabili a causa anche di rigidità amministrative non sorrette da reali esigenze di tutela dell’interesse pubblico.
L’obiettivo primario del decreto è la salvaguardia dell’interesse alla veloce circolazione dei beni immobili, consentendo il recupero e la rigenerazione edilizia, mediante misure di semplificazione tendenti alla regolarizzazione delle cd. ‘lievi difformità edilizie’.
In particolare, viene evidenziata nella relazione illustrativa accompagnatoria al decreto (ancora una volta…sic!!), l’urgenza dell’intervento legislativo volto a dare risposte ai problemi amministrativi evidenziati da molte realtà locali e alle diverse problematicità segnalate anche da tutti gli attori coinvolti nel mondo dell’edilizia, testimoniando una “preoccupante alterazione delle ordinarie dinamiche dei prezzi degli alloggi” anche in ragione della difficoltà di dimostrare lo stato legittimo dell’immobile per problemi legati alla frammentazione della normativa e ai ritardi amministrativi.
Il legislatore inoltre si impone come garante del legittimo affidamento dei privati proprietari di immobili rispetto a difformità edilizie a vario titolo tollerate dall’ordinamento, cercando di regolarizzarle con procedure ad hoc. In particolare, trattasi di difformità che spesso rallentano le operazioni di compravendita, e in alcuni casi arrivando addirittura a comprometterle.
Principi generali del salva casa e recepimento regionale. Riflessioni sulle differenziazioni
Il decreto non fa distinzioni tra Regioni a Statuto ordinario e quelle a Statuto speciale, richiedendo quindi un adeguamento alle disposizioni statali da parte di tutte le regioni. Questo può creare tensioni e richiedere un lavoro di coordinamento e interpretazione normativa che non è sempre immediato o semplice da realizzare.
Una delle priorità assolute del salva casa è l’identificazione con le indicazioni di parametri quantitativi e/o qualitativi da parte delle regioni, delle definizioni delle Parziali Difformità e delle Variazioni Essenziali su cui si basa l’intero corpus normativo.
A mio avviso tali definizioni non possono prescindere dalle articolazioni delle varie leggi regionali dotate della potestà legislativa concorrente dell’art. 117 della costituzione.
Ad oggi non esiste all’interno del Testo Unico dell’Edilizia la definizione ad esempio di parziale difformità se non qualche accenno sulla relazione accompagnatoria al decreto che nelle identificazioni delle mere irregolarità afferma che le parziali difformità (articoli 34 e 37 del TUE) sono comprese tra:
- i limiti delle tolleranze costruttive (articolo 34-bis) e
- i limiti delle variazioni essenziali (che sono definiti dalla legislazione regionale)
resta il problema sostanziale della puntuale definizione di tale tipologia.
Tali definizioni di patologie edilizie dovrebbero avere una loro identità con carattere di unità nazionale, anche alla luce dell’urgenza, sottolineata in più di una occasione nel decreto; è che le stesse devono essere applicate in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale e non nelle variegate e differenziate definizioni insite nelle normative regionali.
E’ necessario per una indispensabile equità economico-sociale e per una corretta perequazione edilizia, evitare disparità di trattamento, che in alcuni casi potrebbe raggiungere applicazioni di limiti quantitativi notevolmente differenti tra alcune Regioni.
Ad ogni buon conto, in attesa della riforma costituzionale sulla legislazione concorrente, ad oggi sono in vigore i principi generali previsti dall’articolo 32 del T.U. dell’edilizia: sulle variazioni essenziali include ad esempio, alla lettera a del comma 1, l’aumento consistente di cubatura senza però definirne il parametro quantitativo. Tale definizione è rinviata alle regioni, alle quali spetta il compito di disciplinarne la percentuale. Il risultato è che, alcune regioni hanno determinato il perimetro massimo degli ampliamenti al 20% (Emilia Romagna) ed altre al 2% (Lazio).
Tutto ciò crea delle disuguaglianze, talvolta determinanti per sanare degli abusi, creando non solo una disparità di trattamento edilizio, ma anche di equità sociale con regioni più restrittive e altre più “generose”.
Tutto ciò è inammissibile alla luce dell’unità nazionale. Non si possono creare sanatorie cosi notevolmente differenziate a seconda della regione dove insistono gli immobili.
Alcune regioni addirittura non sono dotate nel loro carnet legislativo di una norma che delinea e definisce le parziali difformità e le variazioni essenziali. Da un recente rapporto di censimento effettuato dall’Ance emerge che tre regioni italiane si trovano oggi in questa imbarazzante situazione: Abruzzo, Molise e Campania. Paradossalmente il decreto non sarebbe applicabile proprio poiché manca un parametro quantitativo necessario per avviare l’iter di presentazione delle istanze di accertamento di conformità”.
La corsa ad ostacoli per l’attuazione del decreto è purtroppo evidente anche nelle norme regionali con ANCE, UNITEL e ANCI che concordano sulla necessità di affrontare questi nodi per garantire la piena operatività degli uffici comunali. La situazione è resa ancora più complessa dalla necessità di confrontare le nuove disposizioni con le normative regionali esistenti, per valutare quali irregolarità possono essere sanate e quali no.
E’ urgente e indifferibile la necessità di un coordinamento normativo tra le diverse giurisdizioni regionali. Questi fattori contribuiscono a creare un quadro di incertezza e complessità che richiede un impegno congiunto da parte delle autorità nazionali e regionali per essere risolto efficacemente.
Principi generali del salva casa e recepimento regionale. L’esempio della incostituzionalità della legge della Regione Piemonte sulla determinazione quantitativa delle variazioni essenziali
Un esempio su tutti evidenzia, ancora una volta, l’urgenza di far comprendere i motivi che sono alla base di questa mia rubrica: l’edilizia è diventata veramente labirintica ed oscura.
La Corte Costituzionale ha ritenute non legittime le disposizioni contenute nell’articolo 6 comma 1 L.R. Piemonte 19/1999 modificata da ultimo dalla 7/2022).
Si ricorda che l’art. 32 del TU edilizia determina i principi generali delle variazioni essenziali rinviando alle regioni la determinazione quantitativa, cosi come prevede l’art. 117 della costituzione. Al comma 1 lettera b dell’articolo sopra citato, si prevede che costituisce variazione essenziale al progetto approvato l’«aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato». La Regione Piemonte con l’ultima modica del 2022 ha previsto che siffatta variazione si verifica quando sussiste un «aumento in misura superiore al 30 per cento della cubatura o della superficie di solaio»
Tra le motivazioni che hanno portato alla incostituzionalità delle variazioni essenziali “quantitative” regionali del Piemonte:
“in base alla norma statale l’aggettivo «consistente» si traduce in una percentuale solitamente parametrata sull’incremento superiore a quello delle tolleranze costruttive (stimate in percentuale rispetto alle misure previste nel titolo abilitativo); si pone, dunque, in contrasto con il principio fondamentale espresso dall’art. 32, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, una norma di dettaglio che conduca a escludere in via generale la consistenza di variazione essenziale a modificazioni che si mantengano al di sotto di una determinata soglia percentuale, …omissis”
E pensare che altre regioni contengono analoghe disposizioni che per un motivo o un altro non sono state “attenzionate” dalla corte per la verifica dell’incostituzionalità.
Ma allora, ci si chiede come si può operare senza riferimenti e parametri quantitativi delle variazioni essenziali? Quindi si corre il rischio di non riuscire a definire con certezza quale sia l’area di riferimento di tali difformità edilizie che solo perché superano di poco le soglie previste dalle tolleranze edilizie siano qualificabili variazioni essenziali, riducendo il perimetro delle parziali difformità.
E allora urge più che mai una riforma della costituzione
L’attuale sistema di delega alle regioni sta mostrando i suoi limiti, soprattutto in termini di uniformità e coesione nazionale. E allora urge riformare la costituzione con un ritorno delle competenze alla centralità dello stato al fine di garantire una gestione più omogenea del territorio, rispondendo meglio alle esigenze di sviluppo e di infrastrutture del paese. È necessario aprire una strada al dibattito sulle dinamiche di potere tra stato e regioni, e sul futuro dell’organizzazione territoriale in Italia.
La frammentazione delle competenze tra Stato e regioni ha spesso portato a sovrapposizioni e conflitti, rallentando progetti importanti e creando disparità nel trattamento dei cittadini a seconda della regione di appartenenza. Una riforma potrebbe mirare a una più chiara distribuzione dei poteri, con l’obiettivo di ottimizzare le risorse, semplificare la burocrazia e promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile del territorio nazionale.
È chiaro che una tale riforma richiederebbe un ampio consenso politico e sociale, considerando le implicazioni che avrebbe sulla sovranità regionale e sull’autonomia locale. Risulta fondamentale che il processo di riforma sia inclusivo e partecipativo, coinvolgendo non solo i rappresentanti politici, ma anche esperti di urbanistica e di governo del territorio, rappresentanti delle comunità locali e della società civile, per assicurare che le nuove normative rispondano efficacemente alle esigenze di tutti i cittadini.
La riforma della potestà legislativa concorrente e del governo del territorio è un passo cruciale verso un’Italia più coesa e funzionale e rappresenta l’evoluzione positiva nella gestione delle competenze territoriali, contribuendo a superare le sfide attuali e a costruire un futuro più prospero per il paese.
Conclusioni
In conclusione, il rapporto tra le leggi regionali e il decreto “Salva Casa” è un esempio emblematico della complessità del sistema legislativo italiano, dove il coordinamento e l’armonizzazione delle normative sono essenziali per garantire chiarezza e uniformità nell’applicazione delle leggi. La collaborazione tra le diverse giurisdizioni regionali e l’adozione di un approccio analitico e pratico sono fondamentali per superare le sfide poste dalla disomogeneità delle normative e per realizzare pienamente gli obiettivi del decreto.
Ad esempio, la Regione Sicilia ha adottato un approccio analitico, specificando quali norme del decreto sono di applicazione automatica e quali no, mentre l’Emilia-Romagna ha pubblicato un documento preliminare che confronta gli effetti del decreto sulla legislazione edilizia regionale esistente. Queste azioni sono cruciali per garantire che le nuove disposizioni siano interpretate e applicate correttamente, in attesa di ulteriori chiarimenti normativi.
Negli uffici tecnici comunali, negli uffici dei liberi professionisti e dei tecnici incaricati all’attivazione e all’applicabilità delle procedure di sanatoria e di regolarizzazione previste dal salva casa, emerge una condizione di “imbarazzante attesa”, attesa che ormai si prolunga, da quasi tre mesi dalla sua entrata in vigore.
Ogni giorno si scruta l’orizzonte con la speranza di vedere “in lontananza” almeno una flebile traccia di tale coordinamento stato/regioni che darà il via alla partenza ufficiale del SALVA CASA.
Attendiamo speranzosi il lieto evento….