Appalti – Norme
Le misure di self cleaning
Nel Codice vigente, le misure di self-cleaning sono disciplinate nell’articolo 96, che recepisce la norma comunitaria contenuta all’articolo 57, punto 6, della Direttiva UE 2014/24. Esse sono note anche come misure di ravvedimento operoso proprio perché consentono a un operatore economico che si trovi in una situazione che ne determinerebbe l’esclusione da una procedura di appalto, di dimostrare, nonostante l’illecito o il fatto grave compiuti prima o nel corso della procedura stessa, di aver adottato azioni sufficienti a ripristinare la propria affidabilità e integrità e, quindi, la propria idoneità a contrarre con la Pubblica Amministrazione.
Per la stazione appaltante, quindi, le misure di self-cleaning implicano un diritto/dovere, in quanto, da un lato, deve tutelare l’integrità del sistema e assicurare che l’affidamento avvenga solo a soggetti affidabili, e, dall’altro lato, è tenuta a valutare in modo proporzionato e motivato la possibilità di “recupero” dell’operatore economico, evitando esclusioni (anche) automatiche e garantendo il pieno dispiegamento della concorrenza. Il tutto basandosi su un apprezzamento discrezionale, sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità o abnormità.
Per l’operatore economico, il self-cleaning è un diritto, che offre una seconda possibilità, implicante tuttavia l’onere di comunicare alla stazione appaltante l’esistenza della causa di esclusione e di dimostrare la propria reazione alla stessa, il proprio ravvedimento, con misure concrete, sufficienti e tempestive.
Le misure di self-cleaning e la loro efficacia rappresentano, dunque, l’ago della bilancia tra le cause di esclusione e i principi di proporzionalità e di favor partecipationis, meritando quindi un focus.
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La distinzione tra requisiti di partecipazione e di esecuzione
La corretta individuazione e la chiara separazione tra i requisiti di partecipazione (o ammissione) e i requisiti di esecuzione rappresentano un punto critico e di grande interesse negli appalti pubblici. Sebbene possa sembrare ormai definita e chiarita, in realtà, la questione è ancora oggetto di dibattito e pronunce del Consiglio di Stato e dei TAR. I giudici sono chiamati a verificare se le stazioni appaltanti hanno bilanciato correttamente la necessità di garantire la qualità della prestazione (attraverso i requisiti di esecuzione) e il rispetto della massima partecipazione e concorrenza (attraverso requisiti di ammissione minimi e non sproporzionati). Spesso, infatti, le stazioni appaltanti cadono nell’errore di sovrapporre o di non discernere correttamente i due piani concettuali, generando un’illegittima “commistione”, che può portare a contenziosi, in quanto confondere un requisito di esecuzione con un requisito di partecipazione può indurre a esclusioni illegittime (se un operatore economico viene escluso perché non possiede al momento dell’offerta un elemento che dovrebbe essere richiesto solo al momento dell’esecuzione, ex articolo 113 del Codice) e a violazioni della par condicio (l’uso improprio dei criteri di valutazione ex articolo 108 per mascherare un requisito di ammissione limita ingiustamente la concorrenza). La distinzione è, al contrario, fondamentale poiché ne derivano una disciplina giuridica diversa e conseguenze radicalmente differenti per l’operatore economico, determinando un diverso regime di tutela e sanzione.
Vediamo insieme, dunque, come applicare correttamente questa fondamentale separazione concettuale.
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Le certificazioni e la loro verifica
Nell’ambito dei contratti pubblici, le certificazioni dei sistemi di gestione (qualità, ambiente, sicurezza, parità di genere, ecc.) assumono oggi un ruolo strategico. Non solo consentono agli operatori economici di ottenere riduzioni di garanzie e premialità, ma sono spesso un requisito per la qualificazione SOA. Tuttavia, non tutte le certificazioni sono automaticamente valide. Per essere riconosciute, devono essere autentiche, rilasciate da Organismi di Certificazione accreditati e conformi al quadro giuridico europeo, in particolare al Regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i requisiti per l’accreditamento. In Italia, l’Ente di accreditamento ufficiale è Accredia, ma il mercato globalizzato ha portato alla diffusione di certificazioni estere. Questo impone alle stazioni appaltanti di valutare non solo l’accreditamento dell’organismo estero, ma anche il fatto che l’Ente di accreditamento sia riconosciuto a livello internazionale, attraverso gli Accordi di Mutuo Riconoscimento (MRA). Infatti, una certificazione priva dei requisiti sopra indicati può essere non ammissibile in gara, con conseguenze facilmente immaginabili.
Di seguito, dunque, gli aspetti fondamentali di cui devono tenere conto le stazioni appaltanti nella verifica delle certificazioni.