LA FRENATA AL SENATO

Sul salva-Milano pesano i limiti alla ristrutturazione e la retroattività

Italia Viva attacca il Pd al Senato per le titubanze sulla legge, mentre il Consiglio nazionale Ingegneri ribadisce: nuove norme solo con la riforma del codice dell’edilizia. Ma l’audizione che più ha lasciato il segno in commissione Ambiente è quella di Aldo Travi, ordinario di diritto amministrativo alla Cattolica di Milano, che ha spiegato perché l’interpretazione autentica relativa alla norma sugli edifici di oltre 25 metri di altezza è illegittima. Interpretazione non percorribile neanche per una definizione di ristrutturazione edilizia che non tracci sulla demolizione e ricostruzione un confine netto con la nuova costruzione. Infine, la legge è onerosa  e senza copertura perché gli enti locali potrebbero essere costretti a restituire gli oneri di urbanizzazione ai cittadini.

05 Feb 2025 di Giorgio Santilli

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Mentre Italia Viva con Ivan Scalfarotto attacca i tentennamenti del Pd sull’approvazione del Ddl salva-Milano al Senato, la politica fa i conti con le audizioni di martedì scorso. Il Consiglio nazionale degli ingegneri ha ribadito ieri con un comunicato il drastico cambiamento di posizione, ora nettamente contrario al Ddl al Senato, mentre ha ribadito la necessità di una riforma complessiva del codice dell’edilizia per cui nelle prossim settimane si terranno al ministero delle Infrastrutture incontri con gli stakeholder. Ma l’audizione che più ha lasciato il segno martedì fra i senatori della commissione Ambiente è stata quella di Aldo Travi, ordinario di diritto amministrativo all’Università Cattolica di Milano. Dai resoconti di parlamentari di vari gruppi di maggioranza e opposizione appare chiaro che Travi ha spostato alcuni equilibri nel dibattito sulla proposta di legge.

Ma cosa ha detto Travi?

Il primo punto toccato, quello sulla legittimità della retroattività di una norma di interpretazione autentica, è stato quello più dirompente perché è giunto alla conclusione che la proposta di legge è illegittima.

Il ragionamento di Travi va seguito punto per punto. Anzitutto Travi chiarisce che per una norma di interpretazione autentica “la Corte costituzionale ha precisato con cura i limiti da rispettare”. In particolare la Consulta “ha affermato che ogni intervento legislativo che operi in via retroattiva, soprattutto a distanza di tempo, è assoggettato a un sindacato rigoroso e a questi fini ha dato rilievo a una serie di fattori”, fra i quali l’incidenza su giudizi in corso, il tempo trascorso dall’entrata in vigore della normativa assoggettata a interpretazione autentica, la sussistenza di effettivi contrasti giurisprudenziali che la nuova legge avrebbe inteso superare. “Se non sono rispettati questi requisiti – continua Travi – la nuova legge è illegittima e i suoi effetti non possono operare per il passato”.

Alla luce di questo principio, Travi esamina le disposizioni del disegno di legge e, in particolare, quella che interpreta l’articolo 41-quinquies della legge 1150/1942 nel senso di consentire la realizzazione di edifici con volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato o con altezze superiori a 25 metri anche senza piano particolareggiato o piano di lottizzazione se gli edifici siano stati realizzati in ambiti urbanizzati in sostituzione di edifici preesistenti.

Travi argomenta che il piano particolareggiato o il piano di lottizzazione per la normativa urbanistica – e per la giurisprudenza amministrativa e quella penale – erano obbligatori “in due casi del tutto diversi fra loro”: 1) in presenza di situazioni specificamente e puntualmente previste dalla legge, che riguardavano costruzioni particolarmente rilevanti per le loro dimensioni (in assoluto o rispetto al contesto circostante); 2) in presenza di interventi da realizzare in un ambito non urbanizzato o carente di opere di urbanizzazione.

“Questi due casi – dice Travi – non vanno confusi fra loro e la giurisprudenza amministrativa e quella penale li hanno tenuti distinti. Nel primo caso il piano attuativo è richiesto per le dimensioni (altezza/volumi) dell’intervento, e consente di verificare il suo inserimento architettonico e urbanistico nell’ambito urbano; nel secondo caso il piano attuativo è richiesto non per ragioni architettoniche, ma per assicurare la dotazione di adeguati servizi per il nuovo insediamento. La giurisprudenza invocata nella Relazione illustrativa – aggiunge Travi – a sostegno dell’interpretazione autentica si riferisce solo al secondo caso, che è del tutto diverso dal primo; rispetto al primo caso la normativa era chiara e non lasciava spazio a interpretazioni difformi. La necessità del piano particolareggiato o del piano di lottizzazione, nel caso di edifici che superassero i limiti di altezza o di volume già richiamati, era piena e incondizionata e non dipendeva dal livello di urbanizzazione dell’area. Di conseguenza non sembrano ricorrere le condizioni per una legge di interpretazione autentica”.

L’altra norma oggetto di interpretazione autentica riguarda la definizione di ristrutturazione edilizia, in particolare la modifica della definizione intervenuta con il decreto legge 69/2013 (convertito dalla legge 98), che aveva introdotto anche il riferimento a “interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”. Travi ricorda la giurisprudenza della Cassazione penale e del Consiglio di Stato che, ancora a dicembre 2024, ha ribadito come “occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente”. Anche qui Travi conclude che”se questi limiti non sono rispettati, l’intervento non è qualificabile come ristrutturazione edilizia e pertanto, per il passato, questa conclusione non può essere modificata neppure invocando un’interpretazione autentica”.

Terzo aspetto critico riguarda la copertura finanziaria della norma che viene disposta dal Ddl solo per le norme relative al Superbonus. “L’approvazione del disegno di legge  – dice Trevi – comporta invece nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica, in particolare degli enti locali. I Comuni che, attenendosi a una corretta interpretazione della legge e agli orientamenti giurisprudenziali, hanno qualificato gli interventi come nuove costruzioni, e non come ristrutturazioni edilizie, dovranno restituire ai cittadini gli importi riscossi in più: come è noto, infatti, i contributi per le nuove costruzioni sono più elevati di quelli per le ristrutturazioni edilizie. La restituzione di tali importi può essere richiesta entro dieci anni dal loro versamento, anche se non sia stato impugnato il permesso di costruire o l’atto di liquidazione del contributo”. Per Travi, quindi, “va riscontrata anche la mancanza della copertura di spesa”.

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