La Trasformazione Digitale: una Storia Inedita?

Ciò di cui dobbiamo preoccuparci oggi è in che misura le azioni di riconfigurazione del settore avanzino in maniera singolare ed episodica e in che modo, al contrario, in vesti affatto differenti, ovviamente, esse possano essere abilitate da un lucido disegno strategico che si appoggi su diversi agenti.

03 Giu 2025 di Angelo Ciribini

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È possibile ritenere che la fortuna del cosiddetto BIM si debba all’operato lungimirante di alcuni esponenti politici e tecnici attivi entro il governo britannico all’inizio degli Anni Dieci di questo secolo. Essi, infatti, per primi furono in grado di contestualizzare l’acronimo entro un proposito riformista legato a una strategia industriale, facendo di una tecnologia (risalente embrionalmente addirittura agli Anni Cinquanta), dalle diverse, assai eterogenee, origini europee e nordamericane, uno strumento di governo dei processi, cosa mai avvenuta paradossalmente negli Stati Uniti: esattamente negli stessi anni in cui in Germania era lanciata la cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale. L’intento riformatore del governo britannico non era, tuttavia, inedito, nel senso che, proprio sulla scorta della centralità della nozione di informazione, a partire dalla metà degli Anni Quaranta del secolo scorso, addirittura a conflitto mondiale in corso, si erano susseguiti con cadenza regolare una serie di rapporti governativi sullo stato del settore delle costruzioni e della sua riforma: inattuata.

Analogamente, il tema unitario dell’Off Site Construction e del Design for Manufacturing and Assembly (and Disassembly), che anch’esso è da qualche anno assurto agli onori delle cronache sui mercati internazionali, pare ricalcare linee comparabili, mutato ciò che deve cambiare, estratte dalle esperienze del Novecento e, più precisamente, dei Trenta Gloriosi, relativamente alla cosiddetta industrializzazione edilizia, anche se magari le motivazioni originarie oggi vertono sulla prospettica carenza di manodopera, mentre allora facevano temere il contrario.
Queste brevi annotazioni, qui riportate in termini, per così dire, impressionistici, richiamano il fatto che, se ci si astrae, per un attimo, dalla ridda di locuzioni inedite attualmente in voga, a partire dal Digital Twin per finire con l’Artificial Intelligence, l’essenza della transizione digitale (quanto trasformativa essa sia è poi tutto da dimostrare) celi un sottofondo già sperimentato, con alterni esiti. Non per nulla, storici dell’architettura e storici della costruzione iniziano, a livello nazionale e internazionale, come faranno al convegno annuale della società scientifica ISTeA ad Ancona il prossimo 19 Giungo p.v., a interrogarsi sull’argomento e a indagare fonti archivistiche che, se non scomparse, attendono in gran parte di essere esplorate, nell’ottica integrata anche della storia politica, economica e sociale (si pensi solo all’epopea dell’IRI).

Se, tuttavia, allo storico di professione il senso di attualità della ricerca potrebbe suonare strano e, per certi versi, preoccupante, per chi si occupa della tematica in modo più attualizzante (e strumentale) la vicenda contemporanea, colle corrispondenti retoriche legate all’innovazione, appare ancor più densa di equivoci. In attesa di verifiche rigorose e puntuali, è, però, possibile avanzare qualche suggestione in merito. Per certi versi, infatti, il fenomeno dell’innovazione e della trasformazione digitale rimanda all’antica sfida per il settore delle costruzioni di dotarsi di una cultura industriale, non necessariamente omologata a quella caratteristica del settore della manifattura.

Per altri aspetti, se volessimo prendere sul serio il fenomeno della digitalizzazione dovremmo ammettere che esso implichi una rivisitazione, anche radicale, a tratti, delle identità degli operatori e della natura delle loro relazioni e della loro collocazione entro le catene di fornitura. Si ricorda che, in termini di comunicazione mediatica, pochi anni fa le grandi società di consulenza utilizzavano parole come riconfigurazione, riforma, ripensamento, rivisitazione, associate alla digitalizzazione del settore.

Se, comunque, dovesse reggere, anche solo parzialmente, la similitudine con quanto avvenuto in passato, si dovrebbe constatare come, a prescindere dai risultati conseguiti, vi sia stata un’epoca, almeno in Italia, in cui una politica industriale sia stata accennata e tentata per il comparto. Questa politica, anche se in tono minore rispetto ad altri Paesi, ha visto il protagonismo di alcuni corpi di stato a cui la classe politica aveva affidato un ruolo, ad esempio, per l’edilizia scolastica e per quella residenziale (vale lo stesso per i recenti programmi per il primo filone e per il social housing per il secondo?): che, poi, queste policy siano state di volta in volta ispirate a soluzioni più innovative sul piano sociale o più innovative sul piano tecnologico, in ogni caso, alcune linee di indirizzo ispirate, o perlomeno, supportate dal ceto politico, sono state delineate entro un quadro di riferimento preciso, anche a confronto con analoghe esperienze internazionali, e adottate da soggetti pubblici e privati in un ambito culturale e tecnico ben preciso: come mostra probabilmente anche la storia delle società di ingegneria in Italia.

Di conseguenza, ciò di cui dobbiamo preoccuparci oggi è in che misura le azioni di riconfigurazione del settore che, nella prospettiva di un ambiente costruito sostenibile e resiliente, si sono evolute, iniziando dal livello legislativo e normativo, sul piano della digitalizzazione, avanzino in maniera singolare ed episodica e in che modo, al contrario, in vesti affatto differenti, ovviamente, esse possano essere abilitate da un lucido disegno strategico che si appoggi su diversi agenti. A questo fine, al cospetto dei decisori politici e finanziari, è palese come sia necessario per il settore, sia sul versante della domanda sia sul versante dell’offerta, recuperare un valore reputazionale o, meglio, convincere questi interlocutori che valga la pena dedicare una specifica strategia industriale a questo atipico settore, le cui peculiarità non possono mai essere ignorate. Senza questo presupposto sarà ben difficile che linee carsiche individuali o volontaristiche possano davvero sortire gli effetti trasformativi tanto evocati: ma autenticamente attesi?

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