DIARIO POLITICO
Salvini e la voglia di Viminale che torna (ma per ora resta lontana)
Il desiderio non si è mai sopito. Matteo Salvini sogna di tornare al Viminale da sempre, da quando ne uscì quasi 6 anni fa al termine della pazza estate del Papeete. Ci provò poi nel 2022 durante la trattativa sulla formazione del governo ma fu costretto a rinunciare. Tra le ragioni insuperabili: il processo Open Arms, cominciato l’anno prima, in cui il leader della lega era accusato di sequestro di persona.
Per questo all’indomani della sentenza assolutoria (20 dicembre 2024) tornò alla carica: “Chi pensava che non potessi fare il ministro perché sotto processo… Ora questa cosa cade”. Non più tardi di qualche giorno l’ipotesi del suo ritorno al Viminale è stata rilanciata durante il confronto nel centrodestra sulle candidature alle prossime regionali. L’impasse Veneto gliene offrirebbe l’opportunità.
Riassumiamo velocemente: Luca Zaia non è ricandidabile, il tetto dei due mandati lo blocca. Fdi – che ha fatto il pieno alle Europee – reclama la guida della regione. Ma il Doge non ci sta. Minaccia una lista personale, la Lista Zaia, data attorno al 40% e capace di condizionare chiunque sieda a Palazzo Balbi. E qui entra in gioco Salvini. Il leader della Lega sponsorizza l’ingresso al governo di Zaia: “Mi piacerebbe tanto, è talmente bravo…”.
Ora se Zaia sale al governo, qualcuno deve scendere. E il posto da liberare è ovviamente quello: il Viminale, attualmente abitato da Matteo Piantedosi. Lontani da microfoni e telecamere i leghisti lo spiegano senza girarsi attorno. “Piantedosi sarebbe un ottimo candidato per strappare la Campania alla sinistra, tanto più dopo che hanno deciso di candidare Roberto Fico”. Poco importa che il diretto interessato – Piantedosi – continui a ripetere di non essere interessato e che non intende lasciare il ministero degli Interni. Secondo il disegno, Salvini andrebbe al Viminale liberando la poltrona delle infrastrutture. Che non è detto sia quella da destinare eventualmente a Zaia, per il quale si potrebbe prospettare il ritorno all’Agricoltura dove oggi siede Francesco Lollobrigida.
Ma questo rientra in una discussione che si aprirà solo se… E questo “se“ appare molto complicato da realizzare. A maggior ragione dopo la decisione della procura di Palermo di ricorrere in Cassazione contro la sentenza di assoluzione di Salvini. Non appena la notizia ha cominciato a girare, Giorgia Meloni, ha immediatamente espresso la sua solidarietà al leader della Lega definendo quello dei magistrati siciliani, un “surreale accanimento”.
Ma altrettanto certo è che il proseguimento della battaglia tra Salvini e la procura palermitana è un ostacolo difficilmente superabile. E questo probabilmente non dispiace alla premier da sempre contraria all’idea del “rimpasto” che le imporrebbe non solo il ritorno alle Camere per una nuova fiducia, ma anche l’avvio di una estenuante trattativa con l’altro alleato, Forza Italia. Una battaglia di poltrone che avverrebbe nel pieno dello scontro sui dazi e che risulterebbe difficilmente comprensibile all’opinione pubblica, a partire dal suo stesso elettorato.
 
				