ALLA COMMISSIONE AMBIENTE DEL SENATO IN SEDE REDIGENTE
Rigenerazione urbana, i PARTITI ripartono dal testo unificato del 2022. In attesa di Salvini
Otto disegni di legge. La proposta della Lega è la più vicina al testo 2022 ma è anche quella che recepisce le correzioni proposte allora dalla Ragioneria generale dello Stato (che bloccarono l’iter). Dall’architettura urbanistica alle semplificazioni, dai premi volumetrici agli incentivi, il lavoro delle forze politiche conferma la priorità del tema.
IN SINTESI
Riparte in commissione Ambiente al Senato l’esame – in sede redigente – dei disegni di legge sulla rigenerazione urbana. Sono ben otto quelli depositati dalle diverse forze politiche, di maggioranza e di opposizione, e ora si è deciso di congiungere le diverse proposte. È chiaro che il testo che farà strada è quello annunciato dal ministro delle Infrastrutture e vicepremier, Matteo Salvini, all’assemblea annuale dell’Ance dello scorso 18 giugno, da far partire entro la fine dell’estate. Intanto, però, le proposte all’esame di Palazzo Madama fanno capire su quali tematiche ragionano i partiti.
Significativo che le proposte abbiano quasi tutte una base comune: il testo su cui i diversi partiti avevano trovato un punto di convergenza, messo a punto dall’ex ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini e poi stroncato dai rilievi della Ragioneria generale dello Stato nella scorsa legislatura. È proprio il Ddl depositato dalla Lega (presentato da Dreosto) quello più fedele a quel testo, cui si aggiungono quasi esclusivamente correzioni che tentano di dare risposta ai rilievi della Rgs che aveva individuato in quel Ddl «diverse norme onerose o suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ovvero minori entrare, nella maggior parte dei casi non quantificate», esprimendo «parere contrario all’ulteriore corso del provvedimento».
Gli obiettivi: riqualificazione, crescita economica e sociale, qualità architettonica
Soprattutto, dal confronto delle otto proposte appare chiara un’ampia convergenza sugli obiettivi da perseguire e nelle illustrazioni dei testi si evince come le forze politiche proponenti (FdI, Fi, Gruppo Misto, Lega, M5S, e Pd-Idp; Pd e Fi hanno depositato due Ddl) riconoscano l’urgenza di definire un nuovo modello di governo del territorio orientato alla riqualificazione del costruito. La rigenerazione urbana non solo come svecchiamento del patrimonio immobiliare e cura contro il degrado, ma come via prioritaria per affrontare le questioni ambientali e climatiche, migliorare la sicurezza sismica degli edifici, ottenendo al contempo effetti benefici dal punto di vista economico, sociale e climatico.
Una rigenerazione che, dunque, deve anche sortire effetti immateriali che hanno a che fare con l’incremento della qualità di vita e con il superamento delle condizioni di emarginazione. Che tutto ciò debba avvenire con il supporto dei privati, la cui iniziativa deve essere incentivata, e coinvolgendo la comunità, attraverso percorsi partecipati e di coprogettazione, è un altro dato acquisito dalla maggior parte delle proposte. Dunque, costruire sul costruito, ma ricercando una qualità architettonica e urbana: un obiettivo che quasi tutte le proposte della maggioranza – in controtendenza rispetto al nuovo codice degli appalti – affidano al concorso di progettazione, come via preferenziale per avviare gli interventi di rigenerazione di iniziativa pubblica.
L’architettura istituzionale della rigenerazione urbana
I Ddl si dividono in due famiglie: quelli più o meno aderenti alla proposta che nella scorsa legislatura ha ottenuto ampio consenso tra le forze politiche (tutti i Ddl della maggioranza e la proposta Pd-Idp con primo firmatario Mirabelli), che puntano a disegnare – e lo fanno in modo analogo – l’architettura istituzionale della rigenerazione urbana; e quelli che sono concentrati a definire regole che pongono limiti al consumo di suolo (M5S, Gruppo Misto e la proposta di Pd-Idp con primo firmatario Rossomando), per cui la rigenerazione diventa quasi la naturale conseguenza del progressivo divieto di impermeabilizzare di nuovo suolo.
La prima famiglia di Ddl definisce, dunque, l’architettura istituzionale della rigenerazione urbana, e i punti in comune sono molteplici. Viene prevista una regia centrale che è identificata in alcuni casi nel ministero delle Infrastrutture, in altri in una cabina o in un dipartimento ad hoc istituiti presso la presidenza del Consiglio dei ministri.
La regia centrale determina gli obiettivi nazionali, promuove il coordinamento dei fondi, individua gli interventi prioritari e favorisce la partecipazione di investitori privati. A definire le tipologie di intervento oggetto di finanziamento nazionale e le risorse disponibili è il programma nazionale per la rigenerazione urbana, inserito annualmente nell’allegato al Def, che beneficia delle risorse di un apposito fondo nazionale.
Il riparto del fondo nazionale per la rigenerazione deve essere coerente con le priorità e i criteri individuati nel Piano nazionale. Vengono definiti i compiti delle regioni e delle province autonome, cui è affidata la semplificazione delle procedure, l’individuazione di misure premiali ulteriori rispetto a quelle individuate nei Ddl, l’adeguamento della normativa ai nuovi principi nazionali e l’individuazione di risorse da destinare ai comuni attraverso appositi bandi. Infine, i Comuni, cui spetta il compito più importante: la programmazione degli interventi di rigenerazione urbana. Interventi che, per beneficiare delle risorse del fondo nazionale, devono rispettare precise condizioni richiamate nelle proposte (demineralizzazione del suolo, realizzazione di aree verdi e di edifici in classe A, incremento della dotazione di servizi, etc..).
Centrale l’apporto dei privati
Uno degli aspetti più incisivi – comune alle proposte della maggioranza – consiste nell’incentivare l’intervento dei privati. In particolare, Lega e FI (primo firmatario Gasparri) prevedono un intervento diretto dei privati sui singoli edifici, anche in deroga agli strumenti urbanistici, purché non si tratti di immobili compresi nei centri storici o negli agglomerati di valore storico, e a condizione che si perseguano precise finalità (realizzazione di aree verdi, consolidamento antisismico, raggiungimento degli standard di edificio Nzeb, etc..). Inoltre, finché i Comuni non provvedono alla definizione della programmazione della rigenerazione, i promotori privati possono comunque presentare i loro progetti.
La proposta della Lega specifica, inoltre, che i progetti di rigenerazione di ambiti urbani presentati dai privati possono essere approvati in base alla valutazione del loro interesse pubblico e dell’equilibrio del piano economico-finanziario dell’intervento. Un concetto di estrema importanza: l’amministrazione ne valuta la solidità economica e le ricadute positive e il privato si fa carico dei costi, compresi quelli per il raggiungimento dell’interesse pubblico e per lo svolgimento di procedure partecipative.
Il nodo degli incentivi economici e fiscali
Il problema – a quanto pare non ancora risolto – è come incoraggiare in modo efficace l’iniziativa privata anche attraverso incentivi economici e fiscali (agevolazioni, riduzioni di oneri, canoni e tributi), dato che tale azione fa insorgere oneri connessi alle minori entrate in favore dei Comuni. Rispetto al testo della scorsa legislatura, la Lega nella sua proposta ha cassato alcuni incentivi. Così, l’obbligo rivolto ai Comuni di prevedere, per gli interventi di rigenerazione, la riduzione dei tributi o canoni dovuti per l’occupazione del suolo pubblico, diventa nel testo della Lega una facoltà; via anche la disposizione che prevedeva che i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal Tu Edilizia venissero destinati esclusivamente, e senza vincoli temporali, alla realizzazione e all’adeguamento delle opere di urbanizzazione, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici o comunque aventi valenza storico-testimoniale e a interventi di riuso. Cancellata anche una corposa lista di incentivi economici e fiscali a favore dei privati – su cui la Rgs aveva mosso parecchi rilievi -, tra cui l’applicazione agli interventi di rigenerazione dei bonus edilizi e gli sconti sulle imposte di registro, ipotecarie e catastali per i trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti attuatori di interventi di rigenerazione. Per il resto, il testo della Lega è fedele alla proposta che ha fatto strada nella scorsa legislatura. Resta ancorata a quella proposta anche il Ddl presentato da Forza Italia (Gasparri), che, invece, mantiene gli incentivi economici e fiscali depennati dalla Lega; lo stesso fa il Pd (Mirabelli)
Incentivi e semplificazione dei cambi di destinazione d’uso
Diverse le semplificazioni previste per gli interventi di rigenerazione nelle varie proposte. Fi (proposte con primi firmatari Gasparri e Occhiuto) e FdI (primo firmatario DE Priamo) suggeriscono anche semplificazioni sul fronte dei cambi di destinazione d’uso.
In particolare, i Ddl di FI (primo firmatario Gasparri) e di FdI propongono che siano sempre consentiti, tra gli altri, i cambi di destinazione d’uso tra le stesse categorie e anche tra le diverse categorie funzionali previste dagli strumenti urbanistici generali e senza tener conto delle limitazioni contenute nei piani comunali.
Più moderato il Pd (Mirabelli) che demanda alle regioni la previsione di modifiche alla destinazione d’uso, anche in deroga allo strumento urbanistico, esclusivamente per gli edifici residenziali con superficie lorda di pavimento fino a mille mq e per gli edifici non residenziali con superficie lorda di pavimento fino a 2.500 mq.
Le deroghe al Dm 1444 del 1968
Le proposte di Fi (Gasparri e Occhiuto) e di FdI e Pd (Mirabelli) esprimono anche la necessità di prevedere deroghe alle misure del Dm 1444 del 1968, relativamente alle distanze minime e ai limiti di altezza e di densità edilizia. Demandata alle regioni (Ddl Gasparri) anche la messa a punto di procedimenti amministrativi semplificati per l’approvazione delle varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzate all’attuazione di programmi di rigenerazione urbana.
I premi volumetrici
I premi volumetrici e di superficie spettanti ai progetti di rigenerazione sono previsti nella maggior parte delle proposte, ma diversamente declinati in termini percentuali. La proposta di FI (Occhiuto) prevede il riconoscimento di volumetrie e superfici aggiuntive in misura non inferiore al 20%, con possibilità di incremento in proporzione ai benefici ottenuti dall’intervento. Fanno guadagnare più volume o superficie, ad esempio, gli interventi di risparmio energetico, sicurezza sismica, che vadano oltre gli obblighi di legge o il restauro di immobili di interesse storico-artistico, la realizzazione di servizi sociali, la tutela dal rischio idrogeologico, la rinaturalizzazione di aree, l’utilizzo di coperture verdi e anche la realizzazione di opere di architettura contemporanea.
Progettazione partecipata e patti territoriali
Tutti i disegni di legge riconoscono l’importanza di avviare percorsi di progettazione partecipata. Un tema su cui fa un passo avanti la proposta di FdI, secondo cui serve un rapporto sinergico tra cittadino e Pa, secondo un modello partecipativo. Prevede, in particolare, che la Pa collabori con i cittadini per definire interventi di cura, valorizzazione e gestione condivisa dei beni comuni.
Il Ddl obbliga gli enti locali impegnati nella redazione del piano comunale di rigenerazione urbana ad avviare la concertazione di un patto territoriale, finalizzato ad ottenere benefici sia materiali, ossia legati al recupero del patrimonio esistente ma anche immateriali, ossia correlati all’incremento della qualità della vita e allo sviluppo economico e sociale. Dunque, l’istituzione di un tavolo di concertazione con i soggetti attivi è un’azione propedeutica all’elaborazione dei piani di rigenerazione, utile a definire gli impegni da assumere collettivamente e individualmente. Terminata la concertazione si giunge ad un protocollo di intesa delle proposte condivise.
Consumo di suolo
Maggiormente orientate verso l’obiettivo di porre un freno al consumo di suolo le proposte della seconda “famiglia”. Punta al raggiungimento del consumo e impermeabilizzazione di suolo zero entro il 2030 il Ddl del M5S (primo firmatario Sironi) che è quello più drastico su questo punto. Prevede che dall’entrata in vigore del provvedimento non sia consentito consumo o impermeabilizzazione di nuovo suolo per qualsiasi destinazione d’uso, se non in compensazione ossia rinaturalizzando una equivalente superficie minerale. Tra i princìpi cardine del Ddl del gruppo Misto (presentato da Gelmini) vi è l’obbligo per i comuni di contenere il consumo di nuovo suolo, all’interno della città costruita, entro la soglia del 4% della superficie del territorio urbanizzato. Stessa percentuale al di fuori del territorio urbanizzato, purché si provveda in pari misura alla de-impermeabilizzazione di suolo minerale.
Linea un po’ più morbida per il Pd (Rossomando), la cui proposta prevede che il consumo di suolo sia consentito esclusivamente nei casi in cui non esistono alternative consistenti nel riuso delle aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse. La proposta suggerisce progressive riduzioni della capacità edificatoria con il decorso del tempo. Diversi sono stati i tentavi di introdurre una legge quadro sul consumo di suolo (si ricorderanno le proposte del governo Monti e Letta), puntualmente naufragati come probabilmente accadrà con i Ddl con finalità analoghe di questa legislatura.
Usi temporanei
Attenzione agli usi temporanei nella proposta del Pd (Mirabelli), che cerca anche di favorire una vita intermedia agli immobili nel periodo che intercorre dal momento in cui ha fine la vecchia funzione e si attende la rinascita. Si tenta di facilitare gli usi temporanei consentendo, per non più di tre anni, l’avvio della nuova funzione temporanea anche in deroga agli strumenti urbanistici.