MERCOLEDì 2 APRILE A MILANO LA PRIMA PRESENTAZIONE
Rigenerazione urbana: 12 progetti, 18 parole-chiave per la proposta Oice alla ricerca di percorsi condivisi (ancora lontani)
Un rapporto ambizioso composto di due parti: un Atlante che propone best practice del passato e in corso, ma anche esposizione delle criticità delle operazioni illustrate; un’Agenda che prova a mettere in fila domande e risposte irrinunciabili per collegare in modo virtuoso gli investimenti alle vocazioni territoriali, ai sistemi economici e culturali, alle esigenze sociali. Il lavoro dell’organizzazione delle società di ingegneria rilancia il tema della centralità del progetto e punta a riaprire il dibattito pubblico in vista delle prossime decisioni della politica. Grande efficacia delle analisi proprio quando danno spazio al dialogo, ai racconti in chiaroscuro, senza retorica e difesa del passato.
IN SINTESI
“Occorre approfondire, confrontarsi, forse anche sperimentare con più coraggio”. Colpisce nel duplice rapporto dell’Oice sulla rigenerazione urbana – Atlante e Agenda – che ha richiesto un anno di lavoro e sarà presentato a Milano mercoledì 2 aprile, la consapevolezza dell’organizzazione delle società di ingegneria di offrire un contributo, un tassello a un dibattito pubblico che ha ancora tanta strada da fare.
La proposta dell’Oice, coordinata da Patrizia Polenghi (Ceas), è ambiziosa e vuole aprire un confronto collettivo, sapendo che non si vede ancora neanche in lontananza una convergenza su basi nuove che tutti auspicano, a parole. È il momento – dice il lavoro di Oice – di porre domande e tentare qualche risposta che possano aiutare, le une e le altre, a costruire un percorso di significati in un mare di luoghi comuni e di baluardi del passato duri a morire.
Il dibattito è ancora acerbo – inutile nasconderselo – e non lo rendono più maturo le proposte di legge che restano incagliate per mesi, i fondi pubblici insufficienti e incerti, le centinaia di dibattiti che fanno fatica a definire un linguaggio comune, molti progetti costruiti sulle parole del marketing territoriale anni ‘80, una domanda pubblica arretrata – con alcune importanti eccezioni – che scambia per rigenerazione urbana grandi operazioni immobiliari vecchio stile e la costruzione di campetti di calcio. Bisogna fermarsi e avviare una riflessione profonda – dice Oice – che provi a sciogliere contraddizioni e a riempire parole vuote.
L’Atlante con dodici progetti
Dodici progetti individuati per un Atlante della rigenerazione urbana in Italia, costruito non solo come raccolta di best practice, ma anche con l’intento di passare ai raggi X queste esperienze per focalizzarne punti di forza e criticità. L’Atlante è figlio dei suoi tempi e non sempre riesce in questo inteto di evidenziare luci e ombre, passi avanti e anticaglie, ma lo sforzo di usare un approccio critico è genuino. E confluisce in un’Agenda che individua diciotto “leve” concettuali e terminologiche che vorrebbero sollevare il mondo della rigenerazione urbana trasformando un linguaggio spesso stereotipato in altrettanti contenitori di conoscenza duratura.
Le diciotto “leve” dell’Agenda
Conviene elencare subito sinteticamente queste diciotto “leve”, con le parole-chiave che si portano dietro: chi vuole approfondirle può leggere i due volumi o partecipare ai confronti che si terranno a Milano, poi a Napoli il 16 aprile e a Roma il 6 maggio.
Le leve: 1. Dialogo (una voce collettiva). 2. Equità (l’equilibrio tra pubblico e privato). 3. Valore (la qualità percepita). 4. Benessere (la natura come infrastruttura). 5. Comunità (protagonista del rinnovamento). 6. L’attore privato (partner strategico della rigenerazione). 7. L’attore pubblico (custode dell’interesse collettivo). 8. Cabina di regìa (obiettivi a fuoco). 9 Territorio (dove nasce la trasformazione urbana). 10. Governance (partecipazione, responsabilizzazione, guida). 11. Sistemi (connessioni per il successo). 12 Logiche perequative (equilibri urbani, risorse condivise). 13. Masterplan (il futuro nero su bianco). 14. Misura (la grandezza del cambiamento). 15. Attrattività (identità, flessibilità, sicurezza). 16. Infrastrutture (digitale, dei trasporti, dei servizi, del verde). 17. Qualità (armonia tra estetica e funzione). 18. Trasformazione (forma e tempi del cambiamento).
La reazione a questo elenco potrebbe essere: “Beh, che c’è di nuovo?”. Ma il bello del lavoro Oice è che si può navigare, non c’è bisogno di prenderlo tutto per intero o per buono, ma si può distinguere e apprezzare la parte del lavoro che ha più coraggio e sposta in avanti qualche riflessione condivisa.
Navigare l’Atlante: innovazione e anche no
La navigazione risulta più facile nell’Atlante, che vuole essere un elenco di best practice, ma risulta invece – anche qui – un panorama di cose più o meno innovative. Di operazioni, di progetti, di racconti più o meno convincenti.
Un’annotazione, neanche tanto a margine. È curioso che finora l’organizzazione delle società di ingegneria fosse rimasta fuori da questo dibattito sulla rigenerazione urbana, a conferma, diciamo noi, della estrema debolezza, in Italia, del progetto, che pure, mai come in questa attività, dovrebbe conquistarsi la centralità del processo. E l’Atlante di Oice ci aiuta a capire che c’è progetto e progetto e ci sono diversi modi di interpretare questa centralità e di raccontarla.
Due categorie di progetti
Volendo semplificare, si possono identificare i progetti in due tipologie per restituire sprazzi di una discussione onesta, autentica, costruttiva. La classificazione è di Diario DIAC, non di Oice.
La prima categoria è il progetto a senso unico, o, come anche si dice, calato dall’alto. Funziona in genere così: qualcuno pensa il contenuto progettuale fondamentale, sia il committente, l’autorità pubblica, il developer immobiliare o la grande firma dell’architettura. Generalmente chi lo pensa lo racconta pure, la relazione progettuale serve anche a questo, con un linguaggio che è tutto imbastito di “ricuciture” del tessuto urbano, “attrattori” culturali, economici ed occupazionali, “accessibilità sostenibile”, eccetera eccetera.
La città fatta di persone in carne e ossa ogni tanto fa capolino nel progetto calato dall’alto, fa qualche apparizione fugace, ma difficilmente intacca processi già definiti (generalmente con ricche parcelle) e soprattutto non interviene mai a disturbare il quadro idilliaco (e il manovratore). L’unico aspetto capace di fare a pezzi il quadro idilliaco è il tempo: i tempi delle procedure burocratiche vissuti come fastidio, i tempi per le autorizzazioni di autorità pubbliche che devono solo mettere un timbro, i tempi del cantiere. Il bagno di realismo (spesso drammatico perché trascina l’operazione per anni) avviene per opposizione al progetto idilliaco.
Scegliamo tre progetti
Dall’Atlante dell’Oice ci piace prendere invece tre progetti che appartengono entusiasticamente all’altra categoria e sono raccontati in modo diverso. Progetti e racconti che hanno uno degli ingredienti fondamentali della rigenerazione urbana: vedono i limiti interni e quelli esterni dell’operazione e del progetto, denunciano le difficoltà, le criticità e le affrontano, non le nascondono sotto il tappeto. Questo “dialogo”, questa “dialettica”, questa “condivisione” fanno la differenza rispetto al marketing territoriale del passato. O ci sono o non ci sono. Lo spartiacque è tutto qui e allora il peccato mortale sarebbe far finta che lo spartiacque non ci sia, evitare la critica dicendo che tutto è bello e fattibile. Sporcare il progetto è la vera novità che garantisce di camminare.
I tre progetti che abbiamo scelto sono il Parco della Creatività di Modena, Dare Darsena di Ravenna e il Percorso ciclo-pedonale della Valle Olona a Varese. Non è certamente un caso che siano raccontati dalla stessa penna, quella di Maria Cristina Fregni, partner e urban planner di Politecnica. Non c’è da parte di Diario DIAC nessuna predilezione specifica o preferenza aprioistica per questa società. Sono i chiaroscuri dell’esecuzione e del racconto a convincere: portatori, a nostro avviso, della cultura innovativa di rigenerazione urbana che l’operazione Oice vuole portare.
Il Parco della Creatività a Modena
Nel Parco della Creatività, a Modena, “la rigenerazione dell’area ex AMCM costituisce un caso esemplare di partenariato, in cui obiettivi pubblici e visioni imprenditoriali si sono intrecciate, sprigionando le potenzialità di un luogo sfidante e affascinante allo stesso tempo. L’obiettivo – dice l’Atlante – è valorizzare l’area attraverso funzioni culturali e residenziali, integrando soluzioni sostenibili e innovative. La forte componente culturale dell’area, testimoniata dalla presenza continua del Cinema Estivo e di altri teatri, ha attirato l’attenzione degli esponenti della Street Art, contribuendo a definire l’identità culturale del luogo. Questa vocazione di ‘cultura d’avanguardia’ è stata presa in seria considerazione nel progetto di riqualificazione, che ha trasformato gli spazi pubblici in aree polifunzionali. I cittadini e i turisti troveranno spazi dedicati alle arti di strada, una piazza per mostre e spettacoli, teatri, laboratori e un nuovo salotto per il cinema estivo. Le sedute informali e i punti di aggregazione sono stati pensati poi per favorire lo scambio intergenerazionale e interculturale”.
Fin qui la descrizione delle qualità dell’operazione. Segue l’analisi del rapporto con la cittadinanza. “La partecipazione della cittadinanza è stata caratterizzata da un forte legame identitario con l’area e da una valenza culturale riconosciuta. Tuttavia – ecco il punto che dà spessore a questo capitolo – i vari tentativi di riqualificazione sono stati spesso percepiti come “calati dall’alto”, senza una reale condivisione con i cittadini, portando anche a ricorsi al Tar. Ancora adesso non c’è una completa accettazione del progetto Parco della Creatività, come testimoniano alcune proteste e petizioni contro una presunta eccessiva cementificazione”.
Non si vogliono certo difendere le posizioni del territorio qualunque esse siano o, peggio, dare voce ai Nimby che abbiamo combattuto per 35 anni. Ma senza questa dialettica, che va spostata a valle dei progetti, non si avrà nuova rigenerazione urbana: progetti al servizio della città. Trasformare i NO in SI’ (oppure: la gran parte dei NO in SI’) è una esigenza ineludibile della nuova stagione e per farlo bisogna affinare gli strumenti capaci di portare il dialogo dentro il progetto.
Il progetto DARE Darsena Ravenna
La partecipazione è la quintessenza del progetto “DARE Darsena Ravenna”. Più che un semplice intervento di rigenerazione urbana, DARE “è stato – è ancora Maria Cristina Fregni a scrivere – un esperimento collettivo che ha intrecciato tecnologia, territorio e persone, dando vita a un laboratorio a cielo aperto dove il digitale si è fatto ponte tra visione e realtà”. Il percorso partecipativo è stato costruito s una “transizione digitale per la rigenerazione urbana del quartiere, senza una preliminare delimitazione dell’ambito di intervento, attraverso il reale coinvolgimento delle comunità”. DARE sta per Digital Environment for Collaborative Alliances to Regenerate Urban Ecosystem in middle-sized cities ed è stato finanziato dal programma europeo Urban Innovative Actions (UIA), che identifica tredici sfide globali e offre alle amministrazioni locali europee la possibilità di sperimentare idee innovative per affrontarle. Ravenna è una delle sette città europee a esser state selezionate con l’obiettivo di promuovere un processo che coniughi Transizione Digitale e rigenerazione urbana, “testando l’efficacia e la sostenibilità di un nuovo modello di governance abbinato a strumenti digitali innovativi”.
Le aree dismesse rimarranno private, prevedendo accordi e sistemi di partenariato pubblico-privato (PPP) per la loro riattivazione. Gli interventi infrastrutturali saranno invece realizzati su suolo pubblico in PPP. Per quanto riguarda le risorse finanziare utilizzate, il progetto è finanziato tramite un partenariato pubblico-privato, oltre che da fondi europei. “La scala di lavoro è ancora strategica-urbanistica”, il ruolo del pubblico è stato “principalmente quello di facilitatore e coordinatore tra le energie private attive o potenziali nell’area: la rigenerazione del progetto non si è quindi basata su grandi opere pubbliche, ma sulla rete di idee e risorse private”. DARE è poi entrato nel bando PINQUA che però ne ha allargato l’orizzonte proponendo “una soluzione focalizzata sulla residenza sociale, con iniziative di edilizia residenziale sociale (ERS) e social housing, in collaborazione con ACER e gestori privati”.
DARE ha creato anche due soggetti che contribuiscono al carattere sperimentale dell’operazione: la “DARE Redazione”, composta da rappresentanti locali, che accompagna la comunità a diventare sempre più parte consapevole, attiva e propositiva del processo di trasformazione, evidenziando il ruolo dell’informazione e della comunicazione nella moderna rigenerazione urbana; il “Gruppo Organizzativo di Processo”, formato da esperti multidisciplinari, che supporta l’amministrazione e la collettività durante il percorso.
Onesto il giudizio finale. “La rigenerazione impostata sul coinvolgimento attivo dei cittadini e delle associazioni – scrive Fregni – ha evidenziato le sfide della collaborazione bottom-up che, seppur coraggiosa, si è dimostrata a tratti poco efficace. Ulteriori difficoltà emerse sono legate alla scarsa preparazione dei soggetti coinvolti in un approccio così innovativo e alla mancanza di consapevolezza da parte dei cittadini sui costi e la complessità tecnica degli interventi. Nonostante queste difficoltà, il progetto DARE ha cercato di attivare le energie del territorio senza basarsi esclusivamente su grandi opere pubbliche, ma promuovendo un’innovativa collaborazione e partecipazione della comunità”.
Un commento che da solo vale il senso stesso della proposta di innovazione sposata da Oice. Detta in altri termini: “Nel cuore della Darsena di Ravenna abbiamo esplorato come i dati possano raccontare storie, come i cittadini possano diventare autori del proprio spazio e come un’amministrazione possa trasformarsi in un’abilitatrice di connessioni. È stato un processo che ha superato il concetto tradizionale di progettazione, spingendoci a immaginare luoghi non solo fisici ma anche immateriali, dove idee e relazioni si incontrano per generare valore condiviso”. Con questo punto di vista, DARE “ha permesso di rileggere la città con occhi nuovi: non solo attraverso i numeri e le piattaforme digitali, ma tramite le voci, le energie e le aspirazioni di chi vive il quartiere ogni giorno”. Rigenerare, dunque, “non significa solo cambiare lo spazio, ma sbloccare il suo potenziale nascosto, trasformandolo in un ecosistema vivo, capace di adattarsi e prosperare. Più che una conclusione – dice Fregni – considero DARE un punto di partenza: un modello flessibile e replicabile, ma soprattutto un invito a continuare a costruire città che sappiano accogliere, connettere e ispirare”.
Il Masterplan per il percorso ciclo-pedonale nella Valle Olona (Varese)
Il Masterplan della Valle Olona a Varese ha come obiettivo principale la rigenerazione della vallata, attraverso una serie di azioni strategiche, sia di breve che di lungo termine. “Il progetto si concentra sul rilancio del tessuto produttivo e abitativo in una prospettiva ecologica e inclusiva, ponendo come punto focale il fiume Olona. Il Masterplan Valle Olona prevede la rigenerazione territoriale di una vasta area con al centro la città di Varese, ponendo il fiume Olona come elemento strutturante e prefigurando il sistema urbano desiderato in termini spaziali e relazionali”.
La partecipazione delle associazioni e dei cittadini – dice il capitolo Oice – “è stata garantita attraverso il lavoro del gruppo multidisciplinare. I progettisti hanno valutato e risposto alle osservazioni pervenute dai vari soggetti interessati, seguendo le modalità concordate con il comune di Varese”. Con il consueto stile aperto, viene subito rilevato un elemento critico su cui lavorare. “L’elemento di minore efficacia – si dice – è stata in questo ambito la relazione con potenziali soggetti investitori, nuovi o già presenti nel territorio, con i quali il confronto è stato rimandato a una fase di lavoro successiva”.
C’è ancora molto da fare per spingere questa iniziativa. Le aree dismesse coinvolte nel progetto sono di proprietà privata e rimarranno tali, prevedendo accordi e sistemi di partenariato pubblico-privato (PPP) per la loro riattivazione. Gli interventi infrastrutturali saranno realizzati su suolo pubblico e gestiti in PPP. Il progetto è finanziato tramite partenariato pubblico-privato e fondi europei.
Il Masterplan è la spina dorsale dell’operazione. Si è mosso su tre filoni principali: le nuove connessioni di mobilità dolce; la riqualificazione delle aree dismesse; l’attivazione di un sistema di aree verdi interconnesse. Con l’obiettivo principale di “riscoprire il fiume” e consentire la fruizione delle sue sponde come “aree di leisure e di incremento della qualità ambientale e della socialità”. Il Masterplan si è rivelato da subito uno strumento che ha “all’interno degli strumenti urbanistici comunali, una sua riconoscibilità e codifica ed è concepito come tool strategico che combina il disegno territoriale delle trasformazioni con schede di azioni e attività che analizzano anche gli aspetti economici e imprenditoriali”.
Il contenuto viene prima del contenitore
Ci sono altri profili e caratteri di una rigenerazione urbana innovativa che si possono cogliere nei progetti prescelti dell’Atlante di Oice. In particolare, un secondo filo rosso della rigenerazione urbana di nuova generazione: il contenuto viene prima del contenitore. È la chiave di lettura che Diario DIAC preferisce, come sanno i lettori che ci hanno seguito nella serie “Città in scena”.
Questo ribaltamento fra contenitore e contenuto non è un’affermazione ideologica che deriva solo dalla constatazione amara delle “cattedrali nel deserto” del passato. Proprio alla voce Masterplan – ripresa dall’Agenda – si intravvede il punto focale di ogni operazione di rigenerazione urbana: il dopo. La chiave decisiva è proprio la capacità di costruire un’offerta (culturale, sociale, economica, occupazionale) duratura per il dopo-investimento. Duratura. Ecco il ribaltamento. I contenitori edilizi, immobiliari, urbanistici devono dare casa a qualcosa che casa cerca e vuole. Senza un Masterplan che punti prioritariamente sul contenuto e condizioni duramente il proprietario o il valorizzatore della scatola, del bene, dell’area, dell’immobile, non ci sarà rigenerazione dei territori.
A questo proposito – chiarezza della missione duratura dell’operazione – meritano di essere almeno citati altri quattro progetti dell’Atlante: Fondazione Prada a Milano come esempio di catalizzatore culturale; il Parco della Giustizia a Bari e la Cittadella della sicurezza di Napoli come esempi di riorganizzazione efficiente delle funzioni pubbliche in sintonia con le esigenze della città, tema cui sta lavorando con un approccio radicalmente innovativo l’Agenzia del Demanio; l’ex Palaspecchi di Ferrara come esempio di rigenerazione di un patrimonio di edilizia residenziale pubblica e come contributo al tema oggi dominante dell’housing sociale.