Rigenerare pezzi di città e comunità urbane, non condomini e villette. Contributo alla legge all’esame del Senato
In un’edizione recente di Diario Diac è stata portata all’attenzione dell’opinione pubblica la suddivisione della significativa dote economica destinata alla Rigenerazione Urbana dalla Regione Campania. Scorrendo l’elenco degli interventi emergeva la logica frammentaria e disorganica delle scelte e la mancanza di una strategia d’insieme. Campetti da calcio e piccoli interventi senza la capacità di generare alcun effetto sistemico.
Per chi studia e progetta la rigenerazione, questo recente episodio è la conferma della mancata comprensione del suo significato potenziale e la tattica elusione degli obiettivi alti che essa delinea e propone.
Appare, quindi, più che mai opportuna una legge sulla rigenerazione urbana che faccia chiarezza su concetti, obiettivi, azioni strategiche e strumenti per intervenire alla scala urbana con efficacia e logica organica e non per episodi senza effetti significativi.
Il testo in corso di discussione, che unifica varie proposte depositate in Parlamento, rappresenta un passaggio fondamentale, che potrà essere di grande importanza per il Paese e che presenta molti elementi innovativi. A valle della ricerca che abbiamo svolto per SNA – Scuola Nazionale dell’Amministrazione – che ci ha portato ad analizzare le 30 migliori città d’Europa e a definire le 20 linee guida e le 100 azioni strategiche per la rigenerazione urbana in Italia, ci sembra utile al dibattito in corso dare un contributo di idee generato dal confronto tra lo scenario italiano e quello internazionale, toccando, senza pretesa di esaustività, alcuni punti qualificanti.
Come noto, in Italia il blocco dell’espansione urbana e le relative politiche di consumo zero di suolo si combinano con le problematiche del climate change e la questione centrale del recupero ambientale, importante per la battaglia epocale contro il rischio idrogeologico e per il clima. Tale prospettiva porta la necessità di realizzare interventi di ridisegno dei contesti urbani, come ad esempio le greenways e i percorsi verdi attraverso la città, mettendo a valore il sistema dei vuoti e consentendo di realizzare in tempi rapidi una nuova rete verde per la mobilità lenta e la socialità urbana. Così succede in grande parte d’Europa e ancora troppo poco in Italia.
In quest’ottica, il concetto di rigenerazione urbana va sempre affiancato a quello di rinaturazione delle città, a cui aggiungere il tema dell’innovazione tecnologica per sfruttare le straordinarie potenzialità dei servizi e degli strumenti digitali nella logica delle Smart City.
Il disegno di legge, tuttavia, sembra non definire chiaramente questi temi e le loro connessioni, pur facendo continui rimandi agli aspetti ambientali. Così come sembra non dare la necessaria centralità a due caratteri fondanti il concetto stesso di rigenerazione: la comunità e la partecipazione.
Infatti, l’art. 2 definisce la rigenerazione come un fatto prevalentemente tattico (azioni) ed edilizio alla scala urbana con significato ambientale e socio-economico, una definizione parziale e limitante. Non dobbiamo andare troppo indietro nel tempo per ricordare i programmi di riqualificazione urbana che s’interessavano prevalentemente di interventi edilizi e che hanno prodotto in alcuni casi svuotamenti dei quartieri, azioni di gentrificazione e scarso o nullo impatto sulla socialità, sull’ambiente e sulle altre politiche pubbliche.
Non a caso, a tale approccio si è preferito quello della rigenerazione, intesa come intervento di sistema, strategico, che tocca aspetti culturali, sociali, economici e ambientali ma anche di governance e di disegno urbano dei contesti e che, non a caso, coinvolge profondamente gli stakeholder locali pubblici e privati, così come la cittadinanza attiva e i singoli residenti.
Rigenerare vuol dire, quindi, attivare e mettere a valore il capitale territoriale e mobilitare e dare forza alle energie del contesto, coinvolgendo le risorse locali e le comunità presenti in un’ottica di co-progettazione che rende le comunità protagoniste dei processi di trasformazione.
La partecipazione, da sviluppare senza equivoci all’italiana, ossia non come organo di propaganda politica, ma come pratica concreta, mirata e affidabile, collegata a progetti reali nella logica della democrazia deliberativa, è lo strumento necessario di questo processo, che va attivato a partire dall’ascolto delle comunità urbane.
Il testo del disegno di legge potrà tornare sulle sue premesse, obiettivi e definizioni, integrando questi aspetti e ampliando ulteriormente la portata delle proprie ambizioni.
In questa logica sistemica, sembra opportuno segnalare un passaggio che appare problematico e che richiede di essere precisato. Nell’art. 7 tra gli interventi di rigenerazione urbana da realizzare da parte dei privati vengono pericolosamente elencati anche i “singoli interventi” oltre ai “complessi edilizi”, indicando tipologie di lavori tipici di azioni puntuali: la ristrutturazione edilizia, i cambi di destinazioni e le ricostruzioni. Pensiamo che questo passaggio vada accuratamente ricalibrato, eliminando la possibilità che la rigenerazione urbana possa essere confusa con la ristrutturazione di un edificio e riservandola esclusivamente, con le sue potenzialità ampie, i suoi incentivi e i fondi dedicati, a progettualità significative, che abbracciano interi ambiti urbani e parti di città, generando un aumento del livello di tutte e cinque le sostenibilità in gioco (istituzionale, sociale, ambientale, economica e del disegno urbano).
Anche per questo, una maggiore riconoscibilità nell’articolato normativo andrebbe riservata a due strumenti strategici per avviare processi di rigenerazione di ampio respiro anche su iniziativa privata: gli accordi di programma e i partenariati pubblico-privati (PPP). Gli accordi di programma, che si configurano come contratti di evidenza pubblica tra soggetti privati ed enti pubblici, consentono di finalizzare in modo trasparente l’interesse pubblico degli interventi privati e, al contempo, di presentare la prefigurazione degli interventi su cui tutti possono dibattere, convergere e lavorare.
Anche a livello internazionale, i progetti realizzati attraverso uno dei vari strumenti del partenariato pubblico-privato e che hanno generato il maggior livello di valore pubblico si sono spesso contraddistinti per la capacità di definire una progettazione integrata multilivello e innovativa, che ha saputo integrare e dare risposte alla dimensione dello spazio urbano, all’interpretazione di nuovi modelli abitativi e di socialità, alla funzionalità gestionale, alla necessità di far convergere risorse private.
Altrettanto necessari, come ben rappresentato nel disegno di legge, sono il ruolo di coordinamento, impulso e monitoraggio affidato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la creazione di un Fondo nazionale per la Rigenerazione Urbana presso il MIT dove far confluire le risorse reperibili, a iniziare da quelle statali, che devono sempre essere considerate anche un volano per gli investimenti privati.
Con la stessa logica, abbiamo messo questi quattro strumenti, insieme con altri, anche al centro della proposta di nuovo piano casa per lo sviluppo delle politiche di housing sociale.
Per tutte queste ragioni, con alcune precisazioni sui concetti essenziali, gli obiettivi e le azioni strategiche e alcune correzioni sugli strumenti attuativi e sulla scala degli interventi, cancellando tutte le possibilità di interventi minori, la legge sulla Rigenerazione Urbana potrà stimolare interventi coordinati e strategici, quindi di vasto impatto, di ridefinizione del disegno urbano, di rinaturazione e di innovazione nelle città italiane, partendo dal coinvolgimento e dalla valorizzazione delle loro comunità.
Dario Costi e Francesco Manfredi