Rifiuti, la roadmap Ue: entro fine anno revisione delle norme sulle discariche, poi nel 2026 il Circular economy Act

Il punto sulle direttive europee in materia di rifiuti. Dossier delicato sui Raee dove nessun Paese membro è in linea con i target. Ref Ricerche: “Troppa poca conoscenza dei rifiuti elettronici, l’Italia ha due procedure d’infrazione attive. Sistema di raccolta non efficace e monitoraggio ancora poco preciso”.

14 Ott 2025 di Mauro Giansante

Condividi:
Rifiuti, la roadmap Ue: entro fine anno revisione delle norme sulle discariche, poi nel 2026 il Circular economy Act

C’è un fronte della transizione ambientale meno esplorato di altri ma altrettanto complesso. Quello dei rifiuti, infatti, è un tema che in Italia viene associato soltanto al funzionamento (o meno) della raccolta in strada. Come per tutto, però, dietro ci sono regole oltre che operatori e impianti. E strategie, nazionali e sovranazionali. Il prossimo anno, ad esempio, l’Unione Europea varerà il Circular economy act, un regolamento quadro che conterrà regole economiche e sugli incentivi per promuovere la domanda di riciclo e la fornitura delle cosiddette catene del valore. Ma anche per armonizzare i criteri end of waste. Ad agosto, Bruxelles ha aperto fino a inizio novembre la consultazione pubblica per raccogliere pareri dagli interessati. L’obiettivo ultimo del regolamento sarà creare un mercato unico delle materie prime seconde, incluse quelle critiche. Su cui l’Europa procede troppo lentamente: nel 2010 la percentuale di circolarità era del 10,7% e nel 2023 è salita solo all’11,8%. Eppure, ricorda la Commissione, fare economia circolare incide per il 20-25% sulla riduzione delle emissioni. Il vero e unico target da seguire da qui a metà secolo.

Prima della fine del 2025, invece, la prossima tappa comunitaria del settore rifiuti sarà quella della revisione del documento sulle discariche. In inglese, Bref: acronimo di Best Available Techniques Reference Document. Verranno adottate delle conclusioni sulle migliori tecnologie, al fine di guidare i processi di autorizzazione ambientale dei Paesi membri. Tra questi, l’Italia ha ricevuto da Bruxelles l’apertura di una procedura d’infrazione per aver recepito male o per niente la direttiva sulle discariche, scritta nel 1999 e rivista nel 2018. Per esempio, non abbiamo recepito correttamente le indicazioni sul monitoraggio dei gas e il campionamento delle acque sotterranee. Ma neppure l’obbligo di segnalazione come smaltiti in discarica per i rifiuti sottoposti a incenerimento; l’indicazione dei rifiuti da poter destinare nelle discariche dei pericolosi; i dettagli sullo stoccaggio temporaneo del mercurio metallico. In termini di target, al 2035 dovremo ridurre al 10% lo smaltimento dei rifiuti urbani in discarica e già dal 2030 quelli riciclabili e circolarizzabili non potranno più essere smaltiti. Attualmente, però, l’Italia in primis ha ancora strada da fare per colmare il gap rispetto agli obiettivi appena ricordati.

Un altro dossier delicato in materia è quello dei rifiuti elettronici. Verranno inclusi anche nel Circular economy act e sono tra quelli che aumentano di più ogni anno, +2%. Attualmente, il 40% viene riciclato ma nessun Paese è in linea con i target (65% del peso medio delle apparecchiature elettroniche immesse sul mercato nei tre anni precedenti). Tra le ipotesi al vaglio dell’Ue c’è quella di inserire una sorta di simil-plastic tax per i mancati obiettivi. Quanto all’Italia, proprio ieri il think tank diretto da Donato Berardi Ref Ricerche, ha ricordato anzitutto che nel corso del 2024 sono state aperte nei confronti dell’Italia due procedure di infrazione per il mancato rispetto della disciplina comunitaria in materia di gestione dei Raee. Sui quali, però, c’è un problema più ampio che coinvolge quasi tutti i Paesi europei per la poca informazione. “Il sistema di raccolta non è stato finora in grado di raggiungere gli obiettivi che la normativa aveva previsto perché i sistemi di ritiro uno contro uno e uno contro zero non sono mai realmente decollati”, si legge nel report. “A questo, si aggiunge il mancato monitoraggio di tutti i possibili flussi di RAEE, in parte per la presenza di attività illegali o comunque poco trasparenti, in parte perché l’e-commerce non era coperto. Il D.L. n. 131/2024 intende sanare queste criticità”. Per capirci, nel 2024 l’Italia ha intercettato solo il 29,64% dei rifiuti elettronici contro il 34 circa del 2021 e 2022 e il 30,24% del 2023. Numeri, come detto, lontanissimi dal target del 65%. Questi rifiuti, oltre ad essere poco conosciuti nella loro natura e nei rischi di danni ambientali, pagano anche la mancata implementazione delle infrastrutture di raccolta, la scarsa collaborazione da parte dei rivenditori e dei centri assistenza, e soprattutto l’assenza di un sistema di tracciabilità efficace. Nel 2023, ricorda Ref, Ispra ha registrato circa 274mila tonnellate di Raee domestici raccolti, mentre il CdC Raee (Centro di Coordinamento Raee) ne ha censite 348mila. Per non parlare di dove finiscono questi rifiuti: dati 2023 di Erion Weee e Altroconsumo hanno registrato che solo 6 su 10 arrivano a destinazione idonea. In Italia, esistono quasi 1.100 impianti di trattamento rifiuti, ma solo 48 risultano accreditati dal CdC. E, come per le discariche, anche sui Raee siamo in procedura d’infrazione. Doppia, sia per il non corretto recepimento della Direttiva Quadro 2008/98/CE sui rifiuti, modificata dalla Direttiva (UE) 2018/851. E sia per il mancato raggiungimento dei target fissati dalla Direttiva 2012/19/UE. Una nuova luce sembra vedersi, conclude Ref, col decreto “Salva infrazioni” che ha introdotto nel 2024 il ritiro gratuito 1vs1 e ha regolamentato l’e-commerce. Inoltre, viene imposto ai consorzi di investire almeno il 3% dei loro ricavi in campagne di comunicazione per spiegare ai cittadini come e dove conferire correttamente i rifiuti elettronici. Chi non lo fa rischia multe dall’1% al 3% dei ricavi. Nella prima parte di 2025, segnala il think tank, i siti registrati sono stati 9mila e i punti vendita oltre 14mila. Cullarsi in questi primi miglioramenti, però, non aiuterà a colmare i gap sopra illustrati.

Tornando al quadro delle direttive, in ambito Ue ce ne sono altre in lavorazione o appena revisionate. A inizio anno, ad esempio, è entrato in vigore il regolamento sugli imballaggi. Le regole sono già in vigore (ma l’obbligo di conformità scadrà nel 2026) e puntano a favorire la circolarità, riducendo peso e volume; usando la plastica riciclata; apponendo un’etichetta unica su materiale e modalità di smaltimento.

A settembre, invece, è stata modificata l’ex direttiva quadro che ora riguarda il tessile e l’alimentare. Qui, l’obiettivo primario è la riduzione degli sprechi. E, a monte, abbassare la produzione di rifiuti (tessile: -10% sulla media 2021-2023, alimentare: -30%). Inoltre, c’è il tema dell’Epr: la responsabilità estesa del produttore. Ovvero, l’obbligo specifico per i produttori di contribuire alla spesa per la raccolta, la cernita e il riciclo dei rifiuti tessili (abbigliamento, accessori, ecc.).

Plastica ed ecodesign sono gli ultimi due settori. Quanto alla prima, dal 2025 la direttiva Sup (single-use plastic) del 2022 prevede che tutte le confezioni, fino a una capacità di tre litri, devono “contenere almeno il 25% di plastica riciclata”. E dal 2030 questa percentuale salirà ad almeno il 30%. Sul secondo, è in corso la revisione degli atti delegati al regolamento Espr. A seconda dei settori, le conclusioni arriveranno dal 2027 (tessuti e abbigliamento) al 2029 (materassi). Per allora, però, i Paesi membri dovranno già dimostrare di aver fatto passi da giganti sulla circolarità delle loro economie.

 

 

 

 

 

 

Argomenti

Argomenti

Accedi