CONFCOOPERATIVE HABITAT
Da rigenerazione a RICOSTITUZIONE urbana: contro i disagi delle persone il nuovo volto delle città passa dalla dimensione abitativa
Ricostituire più che rigenerare. Pensando alla dimensione abitativa, al fattore del tempo, ma un tempo lento, alla specificità dei singoli luoghi, alla dimensione sociale dei contesti, alla condivisione dal basso dei progetti. Chiavi di lettura, queste, emerse dal dibattito organizzato ieri a Roma da Confcooperative Habitat.
“La dimensione abitativa è fondamentale nella rigenerazione urbana, un termine abusato ormai. Oggi parliamo ancora poco di domanda abitativa: a quale bisogno rispondiamo?”. Secondo Carla Barbanti, ingegnere edile e architetto, “oggi la casa è concepita o come bene primario o di investimento. Mentre oggi è fondamentale il processo di organizing per costruire la domanda sociale collettiva”. Barbanti lo scrive al meglio nella sua tesi di dottorato intitolata La costruzione capillare della domanda per le politiche abitative: ‘un framework organizzativo’ per l’accesso alla casa. Il caso-studio della città di Boston – Massachussetts. “Le dinamiche di esclusione abitativa sono strettamente connesse a forme di diseguaglianze che interessano in senso più ampio le città”. Di qui, “il dibattito sull’abitare considera oggi la questione abitativa come campo d’azione chiave per affrontare le crescenti disuguaglianze socioeconomiche e spaziali contemporanee”. Il parallelismo che fa Barbanti è tra Boston, caso studio del suo lavoro di dottoranda, e il quartiere di San Belillo a Catania. Qui, il gruppo di lavoro Trame di quartiere ha messo su una cooperativa di comunità dove la riattivazione degli spazi porta con sé il coinvolgimento dei cittadini per rispondere ai loro bisogni, promuovendo non solo servizi abitativi ma anche le cosiddette microeconomie di quartiere. “Di qui ne va della vivibilità dei luoghi”, dice Barbanti.
Nelle città, ovviamente, i luoghi che più necessitano un percorso di risollevamento sono le periferie. “Finalmente protagoniste”, ammette Marcello Scurria, ex sub-commissario per l’emergenza risanamento a Messina. “Vedremo se il modello Caivano promosso dal governo sarà esportabile ma credo piuttosto che quello che vale a Messina non può valere altrove”. Il problema, aggiunge l’avvocato, sono le leggi da adattare ai contesti di oggi. “Quelle vigenti non c’entrano più nulla, per questo attendiamo da troppo una legge sulla rigenerazione urbana, una vera riforma delle leggi sulla casa. Serve fare cose mai fatte”. Lo Scurria pensiero si rifa a una teoria, quella cosiddetta delle finestre rotte, enunciata per la prima volta in un articolo di scienze sociali pubblicato da James Q. Wilson e George L. Kelling dal titolo “Broken windows. The Police of Neighborhood Safety”, in “Atlantic Monthly”, marzo 1982. Investendo le risorse, umane, finanziarie, nella cura dell’esistente e nel rispetto della civile convivenza si ottengono risultati migliori rispetto all’uso di misure repressive. Al contrario, trascurando l’ambiente urbano, si trasmettono segnali di deterioramento, di disinteresse e di non curanza. E l’esempio è, appunto, quello di una finestra rotta la cui esistenza potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un idrante, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale.
Un altro tassello inserito nel dibattito da Scurria è il seguente: perché continuare a separare edilizia residenziale pubblica e edilizia privata, residenziale? Il senso è chiaro: conta affrontare il problema abitativo delle città in maniera organica e capillare allo stesso tempo. “L’approccio non può essere solo abitativo ma dev’essere anche sociale per includere le persone che vivono ai margini sia in senso fisico, laddove le ammistrazioni locali non arrivano per mancanza di interesse, che sociale”. Ed è un bene che la politica se ne stia tornando ad interessare. Si parla di Caivano, del Quarticciolo. “I progetti vanno condivisi con le persone anziché calarli dall’alto. E questo approccio può modificarlo solo la politica”, conclude Scurria non prima di aver dedicato qualche critica alla mancata riuscita dei progetti Pinqua. Un terzo esempio illustrato ieri al convegno di Confcooperative Habitat è quello di CentopiazzeHd con la coordinatrice Francesca Santaniello, project manager Harley&Dikkinson. Un progetto che “parte dalla riqualificazione energetica degli edifici, dove l’assemblea condominiale gioca un ruolo centrale e i condòmini diventano protagonisti del cambiamento”.
Ma, forse, il concetto che meglio racchiude tutti gli altri e dà il senso al dibattito da portare avanti in tema di rigenerazione e ricostituzione delle città è quello espresso dall’architetto Alfonso Femia. Recuperare il valore del tempo lento per dare modo ai progetti di sedimentarsi. Non per sfuggire o ignorare la velocità del contemporaneo ma per permettere a tutti di essere integrati in uno spazio e viverlo al meglio.