ACQUA

Ref Ricerche: subito linee GUIDA sui criteri per il calcolo del contributo irriguo. Guerrini (Wareg): “L’esempio da Emilia-Romagna, Veneto e Toscana”

29 Gen 2025 di Mauro Giansante

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Ref Ricerche: subito linee GUIDA sui criteri per il calcolo del contributo irriguo. Guerrini (Wareg): “L’esempio da Emilia-Romagna, Veneto e Toscana”

Andrea Guerrini

La rivoluzione del mondo agricolo passa dalla riforma del sistema di calcolo del contributo irriguo. A riguardo, un paper appena pubblicato dal laboratorio Ref Ricerche punta a stimolare la produzione di linee guida nazionali che puntino a uniformare la situazione delle Regioni e dei Consorzi. Il documento di riferimento è il Piano di classifica, contenente le regole applicate per la ripartizione dei costi tra i beneficiari delle opere di bonifica e irrigazione e i rispettivi driver di costo.

Il tema è frammentato e critico tanto in Italia quanto in Europa. Da noi, ricorda Ref, “nonostante siano state emanate nel 2015 apposite linee guida ministeriali per la regolamentazione a livello regionale della quantificazione dei consumi idrici, i sistemi tariffari basati sulla misura non sono sempre ampiamente diffusi, se si eccettua il caso del servizio idrico integrato, le cui tariffe seguono il modello degli increasing block, per disincentivare uno spreco di risorsa idropotabile”. Tra gli ostacoli ci sono i costi di implementazione legati alla complessità tecnica di monitoraggio dei prelievi da alcuni tipi di reticolo (es. a scorrimento) ma anche, sul servizio irriguo, la rigidità della domanda in presenza di sistemi di risparmio idrico. Quello marginale, spiega la ricerca, risulta del tutto sproporzionato rispetto ai benefici legati al contenimento del costo della bolletta, rendendo poco efficace un sistema di pricing incentivante”.

A livello europeo, ricorda Ref, “l’art. 9 della Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE (DQA) rimane ancora oggi la disposizione di riferimento per quanto concerne l’efficiente consumo della risorsa ed i connessi aspetti economici”. I tre principi chiave sono, infatti: la copertura dei costi per l’erogazione dei servizi idrici (Full Cost Recovery); una struttura dei corrispettivi incentivante, capace di trasmettere agli utilizzatori degli appropriati segnali di prezzo tali da favorire un utilizzo efficiente della risorsa; il principio chi inquina paga, che prevede l’attribuzione ai soggetti inquinanti dei costi ambientali connessi alla loro attività (polluter pays principle).

Guerrini: “Implementare le linee guida per dare maggior credibilità al comparto”

“Il tema della resilienza idrica è sempre più importante, anche presso l’Arera”, dice a Diario Diac Andrea Guerrini, uno degli autori del paper, membro di Arera, presidente di Wareg (European Water Regulators) e professore all’Università di Verona. “Bisogna ispirarsi alle Regioni forti. Su tutte Emilia Romagna, Veneto e Toscana”. Secondo il professore, “il principale freno all’implementazione di questo metodo potrebbe essere legato al potere delle Regioni a legiferare su una questione apparentemente laterale. Ma farlo darebbe maggior credibilità al comparto agricolo sull’uso dell’acqua. Dopo di che si potrebbe inserire il tema del riuso che si fatica a implementare perché per gli agricoltori non sempre risulta conveniente”.

Le linee guida delle (poche) Regioni italiane e i criteri dei consorzi

In merito alla situazione regionale italiana, il paper di Ref ricorda che “soltanto alcune hanno implementato dei criteri per la redazione del PdC”. C’è anche la Lombardia tra i casi citati: secondo le indicazioni, “il contributo irriguo deve essere calcolato in base a una serie di driver: la superficie dei terreni irrigati, la dotazione irrigua; il percorso del reticolo; l’elasticità irrigua; l’affidabilità irrigua, quest’ultima stabilita in base alle prestazioni storiche. Un ulteriore indice, che può essere utilizzato nella ripartizione dei costi del servizio irriguo, è costituito dal fabbisogno, che esprime il grado di corrispondenza tra la dotazione irrigua per area omogena e il corrispondente fabbisogno irriguo, calcolato secondo le caratteristiche pedo-culturali”.

Nel caso della Toscana, invece, si fa riferimento alla tariffa binomia, composta dal conto del beneficio potenziale e del beneficio irriguo effettivo. In Emilia-Romagna, infine, nel 2014 una delibera ha previsto un calcolo del contributo irriguo in quota fissa e variabile, incoraggiando sistemi di misurazione dell’acqua prelevata e fornendo incentivi per adottare tecniche di irrigazione più efficienti.

Guardando ai consorzi censiti, il 53% di quelli che hanno pubblicato un PdC “utilizza una struttura dei corrispettivi binomia, includendo nel corrispettivo fisso i costi di manutenzione e amministrazione, e definendo il corrispettivo variabile tenendo conto dei costi di esercizio, come l’energia elettrica ed almeno parte del personale tecnico”. Struttura binomia che, secondo gli autori del paper, viene valutata come “di gran lunga preferibile a quella monomia”, eccetto per i COnsorzi con contributo calcolato su entità residuale di costi. E, addirittura, un’evoluzione ancor migliore sarebbe una struttura trinomia, in grado di affinare il riparto dei costi fissi, distinguendo il riparto dei costi connessi all’estensione delle superfici irrigue appartenenti a singoli utenti (es. manutenzione reti), da quei costi che invece sono correlati al numero di utenze servite a prescindere dalla loro specifica dimensione (es. alcuni costi amministrativi e di struttura)”.

Quanto ai benefici, tecnici (misurato mediante appositi indici espressivi della qualità ed efficacia del servizio di irrigazione) ed economici (volto a quantificare, in termini monetari, la generazione di valore derivante per l’agricoltore dalla disponibilità del servizio irriguo), Ref registra che solo in 6 Regioni su 14 di quelle con PdC è utilizzato il secondo, ” mentre la stima del beneficio tecnico è ampiamente diffusa, con 12 regioni i cui Consorzi di bonifica utilizzano indici specifici; la superficie è utilizzata in tutti i Consorzi come driver rappresentativo della dimensione di ogni singola utenza, ponderato nella maggior parte dei casi per gli indici di beneficio, al fine di ottenere una “superficie virtuale” per la quale calcolare un costo per ettaro”.

La situazione europea e internazionale

Uscendo dai confini nazionali, in Europa si registra un progresso dal 50% al 30% dei Paesi dell’Unione non rispettosi del principio del Full Cost Recovery sopra citato. “Tra gli usi più frequentemente esclusi dall’adozione del Fcr rientra il servizio irriguo, soprattutto nella fattispecie dell’autoapprovvigionamento – ricorda Ref Ricerche – : un fenomeno dal complesso monitoraggio e, conseguentemente, difficilmente assoggettabile a forme di regolazione. Se quindi alcuni paesi, come ad esempio la Lettonia, hanno applicato una definizione ampia di servizio idrico, riportando informazioni sul grado di copertura dei costi per ogni tipologia di uso all’interno dei Rbmg, in Italia i Piani di Gestione Acque (Pga) dei singoli distretti applicano definizioni meno ampie, omettendo in gran parte dei casi informazioni inerenti al grado di copertura dei costi riferito al servizio irriguo ed all’autoapprovvigionamento”. Critica rimane, in Europa, anche sulla diffusione ancora parziale dei misuratori (specie sugli usi irrigui).

Le conclusioni di Ref

In conclusione, secondo Ref Ricerche servono queste linee guida nazionali che diano indicazioni precise alle regioni ed ai Consorzi in merito alle più efficaci modalità di definizione del contributo, nel rispetto delle ampie differenze territoriali ed infrastrutturali che ne determinano l’applicabilità”.

Altri consigli avanzati riguardano, ad esempio, la possibilità di utilizzare solo il beneficio tecnico in caso di correlazione positiva con quello economico, così come di scegliere gli indicatori tecnici utilizzando il criterio di unione delle misure inerenti alle caratteristiche della rete di distribuzione e delle fonti gestite dal Consorzio a misure concernenti il reale fabbisogno irriguo di ogni utenza. Infine, secondo gli autori, il costo per gli utenti dovrebbe dipendere anche dal tipo di impianti posseduto.

A restare aperta, al netto della razionalizzazione ed omogeinizzazione dei sistemi di calcolo del contributo irriguo, resterebbe però la questione dell’applicazione dei principi sulle utenze individuali in autoapprovvigionamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

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