IL LAVORO COORDINATO DA ROSARIO MAZZOLA
Acqua, Rapporto Astrid: siccità e alluvioni impongono politiche non episodiche e integrate, estese a tutti gli usi idrici
La siccità del 2022-2023 nel Nord Italia ha cambiato la prospettiva: “la gestione sostenibile delle risorse idriche passa da un approccio di sistema, non episodico ed emergenziale”. Mazzola: il tempo stringe, ma bisogna adottare le opzioni infrastrutturali corrette perché prevalgono costi fissi non recuperabili. Bassanini: riutilizzare le risorse non spese del Pnrr in un fondo per accelerare gli investimenti strategici e promuovere progetti di partenariato pubblico-privato. Salvini firma il primo stralcio del PNIISSI da 957 milioni per 75 interventi, a nove mesi dall’approvazione del piano e quasi due anni dall’avvio della procedura.
IN SINTESI


La siccità del 2022-2023 nel Nord Italia – che per la prima volta ha investito regioni diverse da quelle meridionali afflitte frequentemente dal fenomeno – ha modificato radicalmente la percezione della questione idrica in Italia e ha creato una più diffusa consapevolezza che occorra “affrontare nel nostro Paese la gestione delle risorse idriche con un approccio di sistema, non episodico ed emergenziale”. In particolare, è necessario “identificare le infrastrutture che davvero servono” per una gestione sostenibile del nostro patrimonio idrico e contestualmente individuare “le anomalìe del nostro sistema istituzionale e industriale che hanno costituito ostacoli alla percezione del problema e alla predisposizione delle politiche atte a mitigare gli effetti del cambiamento climatico anche attraverso misure di adattamento”. Problemi vecchi e nuovi si intrecciano e occorre accelerare le vecchie politiche incompiute garantendo un salto di innovazione per affrontare in chiave sistemica i problemi collegati a siccità e alluvioni. “Il tempo stringe, ma bisogna adottare le opzioni infrastrutturali corrette, in quanto in parte significativa costituite da costi fissi non recuperabili”.
Parte da questa discontinuità data dai cambiamenti climatici il Quaderno Astrid “Acqua per tutti?”, coordinato da Mario Rosario Mazzola, presidente di Utilitatis, uno dei luminari del settore idrico in Italia, protagonista del dibattito pubblico e suggeritore di politiche pubbliche da trenta anni. Un Rapporto di 276 pagine che analizza i problemi storici dell’acqua, esamina le soluzioni adottate nell’ultimo trentennio e i risultati positivi (ancora molto incompleti) che hanno prodotto nella regolazione/governance e sulle gestioni industriali, legge le carenze strutturali nella luce nuova dei cambiamenti climatici che tutto accelera. Con un dettagliato elenco di proposte di policy che chiude il lavoro.
La prefazione firmata da Franco Bassanini, presidente di Astrid, riassume tutte le questioni decisive da affrontare: la persistente frammentazione gestionale cui occorre rispondere con le aggregazioni guidate dai soggetti industriali, capaci di efficienza gestionale ma anche di innovazione tecnologica; il water service divide cha va superato favorendo “la riorganizzazione del sistema di approvvigionamento primario nelle aree meridionali su base regionale o di distretto, il consolidamento e l’aggregazione fra le imprese del settore, l’intervento e gli investimenti delle grandi aziende operanti nelle altre aree del Paese, comprese le multiutility”; la necessità di consolidare le innovazioni tecnologiche avviate con il Pnrr mediante risorse da reperire per il dopo-2026; lo sviluppo delle applicazioni dell’intelligenza artificiale a tutte le fasi del sistema idrico.
Senza dimenticare questioni scomode come la necessità di una “visione organica, che non si limiti al comparto civile, certamente prioritario, ma comprenda anche i comparti agricolo, industriale, idroelettrico e ambientale”. Una visione organica che finora non si è mai voluta mettere al centro delle politiche idriche, lasciando sugli usi civili il maggior carico regolatorio e tariffario. Ora la risposta ai cambiamenti climatici impone un’analisi dell’intero ciclo delle acque: vecchie politiche sono riproposte con nuova forza e nuove soluzioni, per esempio la riduzione delle perdite nelle reti idriche civili cui oggi danno un contributo l’IA e la robotica, mentre obiettivi del tutto nuovi – come il riuso – hanno bisogno di forme inedite di incentivazione come l’incremento della capacità di invaso delle acque meteoriche e la realizzazione di nuovi impianti (potabilizzatori, dissalatori) finalizzati al recupero delle acque reflue depurate.
Un fondo con le risorse non impegnate del Pnrr
Non mancano le ricette originali, come è nella tradizione di Astrid. Bassanini ne sottolinea due particolarmente legate all’attualità. “La ricerca – scrive il presidente di Astrid – suggerisce di prevedere una forma di remunerazione della capacità di approvvigionamento, operante anche quando tale capacità non venga effettivamente utilizzata: un meccanismo, analogo a quello già in uso in un altro settore strategico (quello energetico), che consentirebbe di valorizzare le infrastrutture come strumenti di garanzia per la sicurezza idrica del sistema”. Al tempo stesso, “la ventilata ipotesi della costituzione di un Fondo per l’accelerazione degli investimenti strategici e la promozione di partenariati pubblico-privati (PPP) alimentati con le risorse non impegnate del PNRR, unitamente alle novità introdotte da ARERA nel nuovo metodo tariffario idrico MTI-4, agevolerebbe le iniziative di finanza di progetto nel settore del servizio idrico”.
Collegamento più stretto fra Arera ed enti di governo degli Ato
Mazzola, dal canto suo, nell’ultimo capitolo dedicato alle proposte di policy, sceglie un atteggiamento realistico che spinge molto sull’innovazione ma senza strappi o voli pindarici. Un esempio di riformismo lucido e senza compromessi, ma pragmatico, su cui la ricerca torna spesso è la necessità di “collegamento più stretto” fra Arera ed enti di governo degli Ato (Egato) “che in qualche maniera deve rendere quest’ultimo maggiormente indipendente dalle amministrazioni locali e più soggetto al rispetto delle indicazioni di ARERA nelle procedure applicative della regolazione” su temi come la verifica delle salvaguardie rispetto al gestore unico di ambito (oggi assegnata agli Egato), nel processo di applicazione della metodologia tariffaria e le Linee guida per la valutazione degli interventi da inserire nel Piano delle opere strategiche.
Un dipartimento a Palazzo Chigi più che un ministero dell’acqua
Anche sulla governance centrale del settore la ricerca fa appello a soluzioni realistiche. “A livello centrale – scrive il Rapporto – è auspicabile che le competenze attualmente disperse fra i diversi ministeri trovino una collocazione unitaria almeno come coordinamento in un Dipartimento della presidenza del Consiglio. Questa scelta rappresenta un fattore evolutivo rispetto all’attuale situazione e probabilmente più perseguibile sotto l’aspetto amministrativo e politico rispetto all’ipotesi di istituzione di un ministero delle Risorse idriche. Rappresenterebbe comunque una riforma strutturale e non episodica ed emergenziale, come quella attuale che vede la presenza della cabina di regia, del commissario nazionale depurazione e del commissario nazionale per la siccità. Considerazioni analoghe valgono anche per le Regioni, dove spesso la politica delle acque è suddivisa fra diversi assessorati, con competenze sovrapposte e conflittuali”.
Le azioni concrete per fronteggiare i cambiamenti climatici
La ricetta del Rapporto è articolata: incremento delle capacità di invaso delle acque meteoriche, sia con le necessarie opere di manutenzione straordinaria e di completamento che consentirebbero il recupero dell’intera capacità disponibile di accumulo, sia con nuove infrastrutture la cui numerosità, localizzazione e dimensioni deve comunque derivare da un’attenta analisi territoriale che ne certifichi l’efficacia e la fattibilità tecnica e socioeconomica; la riduzione delle perdite nelle reti idriche civili e irrigue e l’interconnessione fra i sistemi idrici per aumentarne la resilienza, sempre in base a un’analisi costi-benefici che attesti la valenza dell’intervento; l’aumento della capacità di offerta a fini civili dei sistemi esistenti, mediante l’incremento della capacità di trattamento dei potabilizzatori con l’alimentazione di nuove fonti o con il potenziamento della dissalazione di acque di mare o salmastre (anche in questo caso, comunque, la valutazione deve essere particolarmente attenta per verificarne la compatibilità con gli altri usi e il costo); lo sviluppo della pratica del riuso delle acque reflue depurate, che riveste una grande valenza ambientale, ma che deve risolvere le problematiche già descritte per consentirne un reale sviluppo da troppo tempo più enunciato che realmente perseguito.
Per il PNIISSI servono 1,5 miliardi l’anno per dieci anni
La ricerca rilancia la necessità di una “pianificazione organica di tutto il settore, territorialmente basata”. È salutato positivamente l’avvio da parte del MIT del “processo di formazione del PNIISSI”, il Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico, considerato “il presupposto per colmare questa carenza”. Per altro proprio ieri il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha firmato, a quasi due anni dall’avvio delle procedure e a nove mesi dalla prima approvazione del PNIISSI, il piano stralcio che assegna i primi 957 milioni a 75 interventi. Ora si attende il secondo round. “A valle della seconda finestra di aggiornamento, prevista entro l’anno 2025 – commenta Astrid – avremo un piano ancora più completo e organico”. Ma il PNIISSI deve diventare “un programma di finanziamento a fondo perduto strutturale e non episodico: la stima di 1,5 miliardi di euro l’anno per i prossimi 10 anni è con ogni probabilità realistica, ma accanto alla disponibilità finanziaria è necessario definire la governance tecnico-amministrativa del programma, sulla scorta anche di positive esperienze del passato quali sono stati il Piano Marshall per la ricostruzione del sistema produttivo nel Nord Italia nel secondo dopoguerra e la Cassa per il Mezzogiorno per lo sviluppo del sistema infrastrutturale, e in particolare quello idrico, nel Sud Italia negli anni 1950-1980. Un ruolo sinergico e complementare rispetto a quello delle risorse a fondo perduto lo possono svolgere fondi di rotazione come quelli esistenti negli Stati Unitio quelli di garanzia che servono come leva per finanziamenti da parte del sistema bancario”.