Proposte per fare spazio alla rigenerazione urbana ma uscendo dagli equivoci

Sul tema della rigenerazione urbana fervono ormai numerosi disegni di legge all’ attenzione del Senato. È un bene, a condizione che non si abusi della parola e si esca dalle interpretazioni polisenso e dagli equivoci. Il “caso Milano” sta a dimostrarlo.

08 Ott 2025 di Pierluigi Mantini

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Lì si è cercato di riunire volumetrie disperse in interventi di densificazione, dunque evitando il nuovo consumo di suolo, ma le procedure seguite e i forti “sconti”, in termini di oneri e di semplificazione amministrativa, agli investitori vanno oltre le leggi attuali e dovrebbero trovare una via di pace e di regolarizzazione ( come abbiamo più volte sostenuto anche su queste pagine) in luogo di inutili e dannosi conflitti con la magistratura penale.

È vero però che le parole “rigenerazione urbana” indicano diversi contenuti, in sostanza una politica complessa, che si occupa almeno delle seguenti azioni:

* messa in sicurezza, manutenzione e rigenerazione del patrimonio edilizio pubblico e privato, vista la condizione degli edifici in larga misura con una vetustà di oltre sessanta anni e ricordando che nelle zone a rischio sismico vivono oltre 24 milioni di persone e circa 2/3 dei comuni italiani sono in zone a rischio idrogeologico;

  • drastica riduzione dei consumi degli edifici, energetici e idrici, come previsto dalla direttiva europea,   approvata dall’Ecofin, che prevede l’azzeramento delle emissioni degli edifici nuovi entro il 2030 e la neutralità climatica del settore edilizio entro il 2050 così come pure del consumo del suolo entro lo stesso termine;
  • riuso del patrimonio edilizio e contenimento del consumo di nuovo suolo e valorizzazione degli spazi pubblici, la salvaguardia dei centri storici, del verde urbano, dei servizi di quartiere per ricondurre la vita quotidiana a un benessere normale e rendere più competitive le città e attrattivi i Comuni e i borghi delle aree interne;
  • razionalizzazione della mobilità urbana e del ciclo dei rifiuti per non sprecare inutilmente tempo, denaro e risorse ambientali;
  • implementazione delle infrastrutture digitali innovative con la messa in rete delle città italiane ( smart cities ) favorendo, in specie dopo la pandemia da covid-19, l’uso razionale degli spazi costruiti, l’home working, le connessioni digitali, e riducendo così spostamenti e sprechi.

Come pure sostenuto da diversi disegni di legge, le risorse disponibili “per fare” possono provenire, oltre che da un Fondo nazionale per la rigenerazione urbana, da:

  • un nuovo programma europeo di investimenti sul modello, rivisto nelle priorità, del Green New Deal e del Next Generation Eu e la messa a sistema delle risorse dei programmi comunitari sui quali l’Italia continua spesso a procedere in modo irrazionale, senza la guida di una strategia complessiva e un’adeguata organizzazione;
  • il risparmio derivante dalla messa in sicurezza degli edificati da terremoti ed eventi calamitosi derivanti dalla condizione idrogeologica, stimabile in oltre 3 miliardi all’anno (dal 1944 ad oggi oltre 240 miliardi);
  • la razionalizzazione dei contributi o incentivazioni pubbliche sull’energia già in essere, previsti dalla Missione 2 del PNRR e dai programmi pubblici europei e nazionali ;
  • il riordino degli investimenti privati e pubblici per le manutenzioni ordinarie e straordinarie, e le ristrutturazioni, sin qui condotte sulla scorta dell’emergenza, dopo l’inevitabile blocco della straripante politica dei super bonus nonché la messa a frutto delle dismissioni del patrimonio pubblico per raggiungere gli scopi del Piano, facendone il volano delle trasformazioni urbane sostenibili; la creazione di strumenti finanziari ad hoc, dei “bonus rigenerazione” che premino i risultati e mettano a reddito il risparmio energetico, idrico, sulla manutenzione e bonus volumetrici da riconoscere a fronte di un impatto ambientale vicino allo zero e di innovazioni tecnologiche utili all’efficienza delle città.

L’esito sarebbe quello di porre le condizioni per un risparmio complessivo a lungo termine delle risorse energetiche, naturali (acqua, terra) ed economiche degli abitanti delle città, creando così le premesse di sostenibilità del welfare abitativo, valorizzando il patrimonio edilizio e risparmiando sui consumi energetici; il rilancio dell’occupazione, aumentando la capacità di spesa dei cittadini, rianimando le casse dei comuni e aumentando l’efficienza delle città, favorendo lo sviluppo anche di altri settori; il miglioramento dell’habitat urbano, migliorando la sicurezza dei cittadini, riducendo le malattie connesse all’inquinamento e allo stress e favorendo la socialità e perciò riducendo i fenomeni di delinquenza; la salvaguardia del patrimonio edilizio degli italiani e del patrimonio monumentale delle città, favorendo il turismo colto e l’educazione dei cittadini.

Occorre in sostanza proseguire e rafforzare la strada tracciata negli anni recenti, attuare in pieno i Programmi innovativi per la qualità dell’abitare e le Comunità di energie rinnovabili, previsti dal PNRR, stabilire i principi fondamentali in materia di governo del territorio, previsti dal titolo V della Costituzione, da considerare livelli essenziali delle prestazioni (l.e.p.) al riparo dalle negoziazioni dell’  “autonomia differenziata”, poiché non siamo più nell’epoca dell’ “urbanistica di espansione”, “delle città da costruire” ma delle città da rigenerare e dei territori da mettere in sicurezza.

L’analisi dei mutamenti della scena e delle funzioni urbane è nota e consolidata.

 Ciò pone il problema del “conferimento di nuove funzioni” – quindi, della “riqualificazione e rigenerazione ” – di interi pezzi di città e non solo delle aree su cui insistono i contenitori dismessi; e per continuare la simmetria con le definizioni in apertura, l’intero organismo urbano ha bisogno di essere aggiornato alle nuove esigenze di una città che non cresce quantitativamente ( se non in limitate situazioni) , che ha mutato il proprio modo di produrre di lavorare e di impiegare il tempo libero, soprattutto dopo la pandemia da covid-19, che vede nuovi attori socio – economici e nuovi motori di trasformazione – proprio come il lavoratore che si sottopone a un corso di aggiornamento per una «nuova e migliore qualificazione professionale». Sono nati  in questa nuova scena le figure dei developers e delle SGR legate ai fondi immobiliari, per gli interventi dei privati, ed i P.in.qu.a , i piani innovativi per la qualità dell’abitare, nell’ambito del P.N.R.R.

Ma la rigenerazione è anche  miglioramento della competitività tra città e territori, come ottimizzazione delle risorse e come aumento della produttività, per rendersi capaci di attrarre capitali e attività. 

L’up-grading, allora, cioè il “salire di livello” avviene nello scenario della competizione globale tra le città; l’aumento di competitività va intesa come accresciuta capacità di attrarre turismo, di inserirsi nel circuito internazionale dei convegni, delle mostre, degli eventi sportivi o dello spettacolo, di proporsi come insediamento della nuova impresa ristrutturata, integrata, a rete, virtuale e snella, e delle sue esigenze di rappresentatività e di comunicabilità.

Le città hanno bisogno allora di marketing, di promozione dell’immagine, di un continuo rinnovo per reggere al ritmo delle trasformazioni.

In definitiva, non possono essere trascurati gli altri valori, significati e contenuti della rigenerazione urbana ed in particolare: a) il risparmio energetico, proprio della transizione ecologica, scolpita nei principali atti dal Green New Deal al Next Generation EU, al Re-power fino alla recente Direttiva sulle “case verdi” oltre che nella Missione 2 del P.N.R.R.; b) la messa in sicurezza degli edifici ( ma anche delle infrastrutture pubbliche), dai rischi sismici, dai fenomeni di dissesto idrogeologico e dai mutamenti climatici (alluvioni violenti, esondazioni..) che propongono anche il delicato tema delle delocalizzazioni dalle faglie attive e capaci e dalle zone classificate nei P.A.I. delle Autorità di Bacino ad elevato rischio o semplicemente dalle aree confinanti con fiumi e corsi di acqua, anche tombati; c) il tema delle “città intelligenti” che consentono, anche attraverso le acquisizioni dell’intelligenza artificiale il risparmio di energia e l’efficienza nella gestione dei servizi.

L’espressione “rigenerazione urbana”, che è sicuramente polisensa oltre che pluridisciplinare, ci obbliga ad andare oltre le più frequentate e note nozioni di “recupero”, “riuso” e anche “riqualificazione”, con un nuovo orizzonte di azione, pubblica e/o privata, che determina un accrescimento di valori economici, culturali, sociali nel  contesto urbano o territoriale esistente.

Già da queste brevi premesse si può affermare la necessità di una forte “cultura della rigenerazione” che sostituisca la precedente visione e trasformi gli strumenti giuridici e amministrativi che attualmente governano le trasformazioni urbanistico-edilizie del territorio.

A ben vedere, questo è il punto centrale: la rigenerazione urbana non può essere una “ politica a sé” che si aggiunge alle altre esistenti, con propri organi e strumenti, ma è una politica che sostituisce e trasforma l’ attuale modo di pensare e di agire nelle materie e nelle regole dell’ urbanistica, dell’ edilizia , della sostenibilità ambientale, della messa in sicurezza del territorio, della vita delle città e dei borghi rurali.

Non può essere un abito nuovo messo sopra quello vecchio che sopravvive e lo soffoca: la prima rigenerazione da fare è quella del pensiero , delle leggi, delle prassi amministrative vigenti.

Si può forse meglio spiegare questo concetto, senza pretesa alcuna, con qualche punto.

  1. La limitazione del consumo di nuovo suolo necessita di un principio nazionale che può trarre spunto dalla legge n.24 del 2017 della Regione Emilia-Romagna e dalla legge n.58/2023 della Regione Abruzzo, solo per citarne alcune di diverso indirizzo politico: perimetrazione del territorio urbanizzato, non oltre il limite del 3 o 4 per cento di nuova edificazione al di fuori di tale perimetro, previa “ desigillazione” di un terreno pari alla superficie di quello edficato ex novo.Vi sono numerosi aspetti da precisare a riguardo, cosa che non è possibile fare in questa sede, ma un principio di questa natura non può essere eluso in una legge sulla rigenerazione urbana, anche perché, in materia di proprietà edilizia, non possono esserci cittadini di serie A e B.
  2. Il riuso edilizio deve essere favorito e semplificato attraverso una “nuova fiducia” nella s.c.i.a. per tutti gli interventi che non determinino aumenti di volumetrie o di superfici, che sono moltissimi: è un principio di sussidiarietà orizzontale che valorizza le competenze tecniche diffuse nella società e consente ai comuni di limitarsi ai controlli in un termine preciso e contenuto. Ma occorre anche avere il coraggio di affermare il principio che quando, ad esempio, si demolisce e ricostruisce un edificio, con efficientamento sismico ed energetico, senza aumentare volumi e superfici, in una zona a vincolo paesaggistico, non occorre l’ autorizzazione paesaggistica poiché è impossibile concettualmente e praticamente che sia alterato l’ ambiente, il quale anzi si giova dell’ intervento di rigenerazione. E ciò vale anche per V.i.a., Vin.c.a. e altre analoghe autorizzazioni che frenano la rigenerazione.
  3. In materia di semplificazione, si deve dare più forza al principio, pur scolpito nelle leggi ma ben poco attuato, che comuni e amministrazioni pubbliche non possono richiedere ai cittadini e alle imprese documenti già in loro possesso poiché è lungo questi illegittimi e lunghissimi percorsi burocratici che le pratiche della rigenerazione affogano.
  4. Gli interventi di rigenerazione dovrebbero avere un effetto “sanante” anche delle parziali difformità eventualmente esistenti, ferma la previsione di una sanzione amministrativa entro un limite fisso: è un punto molto importante, perchè essa è frenata, e talvolta negata, dalla preventiva richiesta di sanatorie o irrogazione di sanzioni che guardano al passato (con intento meramente punitivo) e non a favorire il ripristino di legalità e di efficienza. Si è tentato un passo in questa direzione con la legge n.59 del 2024, sul tema della “ doppia conformità”, ma occorre andare oltre.
  5. Salvo il principio della “rigenerazione conforme”, ossia senza aumenti di volumetrie e superfici, che riguarda la maggior parte dei Comuni italiani ove, tra inverno demografico e fenomeni di spopolamento e abbandono, il patrimonio edilizio è esuberante rispetto alle necessità,  sussistono ovviamente situazioni in cui la spinta alla nuova edificazione è presente ed economicamente remunerativa. In via teorica, si dovrebbe definire la nuova edificazione come un’ eccezione, seppur consistente, alla regola della rigenerazione. In tali condizioni, e in assenza di elevati rischi sismici o di dissesto idrogeologico, la via principale è costituita dalla densificazione dell’ esistente e, in secondo luogo, dal permesso di costruire convenzionato.

Questo strumento, oggi disciplinato dall’art. 28 bis del Testo unico dell’ edilizia, andrebbe migliorato e reso ordinario per consentire che la gran parte degli interventi di nuova edificazione, in aree che urbanisticamente definiremmo di “sviluppo edilizio sostenibile”, possano essere accompagnati da un impegno del privato a realizzare anche piccole opere di urbanizzazione o interventi di efficientamento energetico o ambientale, da scomputare sugli oneri dovuti, da cui dipende anche la misura delle volumetrie realizzabili. In sostanza, il permesso edilizio convenzionato dovrebbe assumere le sembianze di una sorta di “ patente a punti” della misura dell’ edificabilità volta a premiare la qualità e la sostenibilità dell’ intervento. 

  1. Naturalmente ciò comporta una certa revisione dei principi e del ruolo della pianificazione urbanistica che sarà minima e resiliente per gli interventi di rigenerazione urbana conformi alle volumetrie o superfici esistenti e invece dovrà individuare, con tecniche più consolidate, le  “zone di sviluppo sostenibile” cui attribuire un range  variabile di edificabilità ( ad es. da 0,8 a 1,5 mc/mq, o altro) in relazione agli oneri  assunti dal privato e alla qualità del progetto. In tal modo quella che abbiamo a lungo definito “rendita urbana” resta funzionalizzata agli obiettivi di rigenerazione e qualificazione edilizia e territoriale. Resta ben ferma la funzione della pianificazione urbanistica nei grandi interventi di trasformazione urbana (aree industriali dismesse, scali ferroviari, grandi eventi, delocalizzazioni post calamità ecc.), anche attraverso Master plan o Programmi speciali, da realizzare attraverso concorsi, e, ove opportuno, l’utilizzo di commissari straordinari, con temperati poteri di deroga.
  2. Le trasformazioni proposte possono e devono essere accompagnate da misure sussidiarie e speciali per la rigenerazione urbana, di cui abbiamo detto sopra: prosecuzione dei Pin.q.u.a., accompagnati dalla previsione normativa di un  cap price per gli studentati; “bonus rigenerazione”, anche attraverso l’internalizzazione dei premi volumetrici attraverso il permesso edilizio convenzionato, come proposto; edilizia residenziale pubblica, anche su scala metropolitana, in prossimità di stazioni di trasporto; programma e fondo nazionale per il finanziamento di interventi di rigenerazione urbana da assegnare tramite bandi e criteri di merito.
  3. L’ insieme delle misure proposte non avrebbe molto senso se esse fossero disciplinate tramite fonti eterogenee e azioni occasionali, con sovrapposizioni di norme, competenze e complicate procedure. Pertanto è certamente fondamentale, come da tempo proponiamo, che parlamento e governo trovino una convergenza per dare alla luce un rinnovato “Testo unico dell’edilizia e dell’urbanistica”, nelle cui disposizioni generali siano espressi i principi della rigenerazione e della semplificazione urbanistica. Le due cose vanno insieme, occorre far cadere l’antistorico  trattino che separa queste materie poiché, nell’epoca della rigenerazione urbana, si guarda più al progetto che al piano e la semplificazione è un obbligo.

Abbiamo espresso per punti sintetici questioni complesse che meritano certo i dovuti chiarimenti impossibili in questa sede.

Non abbiamo però espresso mere teorie o opinioni ma rappresentato questioni e soluzioni ben presenti nelle prassi amministrative, praticate con successo nelle ricostruzioni post calamità, in leggi regionali, in modelli di pianificazione.

Di leggi in Italia ne abbiamo anche troppe ora è tempo di rigenerare con coraggio quelle esistenti.

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