DIARIO POLITICO

Procure sotto accusa e opposizione divisa: l’assist dei Pm milanesi al centrodestra sulla riforma della giustizia (e sul referendum confermativo?)

La quasi rissa andata in scena alla Camera, giovedì, subito dopo l’approvazione della riforma della Giustizia potrebbe rappresentare il prologo della battaglia destinata a concludersi con  il referendum confermativo il prossimo anno. Potrebbe, ma non sarà così. Mancano infatti le micce che dai tempi di Mani Pulite avevano incendiato il rapporto tra politica e magistratura.

21 Set 2025 di Pol Diac

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Trent’anni fa gran parte dell’opinione pubblica si era schierata ‘senza se e senza ma’ con la Procura di Milano guidata da Francesco Saverio Borrelli e dal suo  “pool” di agguerriti Pm (Di Pietro, Colombo, Davigo) che fece crollare la Prima Repubblica. L’irruzione in politica di Silvio Berlusconi trasformò quel confronto in una guerra ideologica durata vent’anni. Eppure nonostante i suoi governi record per longevità, ogni tentativo di riforma costituzionale della Giustizia  è naufragato. Sì, ci sono state leggi soprannominate dai suoi avversari “aggiusta processi”, ma la madre di tutte le battaglie – la separazione delle carriere, la disarticolazione del Csm – non è mai andata in porto.

Anche i referendum sul tema sono sempre falliti: l’ultimo, promosso dalla Lega sulla legge Severino e sulla separazione delle funzioni, è stato un totale flop. Stavolta lo scenario però è diverso. Intanto non servirà un quorum: basterà un sì in più per far entrare in costituzione la riforma. Ma soprattutto il vento dell’opinione pubblica è cambiato: non più uno scontro frontale tra berlusconiani e tutti gli altri ma un centrodestra compatto contro un’opposizione divisa, con Carlo Calenda che ha appoggiato ufficialmente il testo (Azione ha votato a favore) e i renziani di Iv che si sono astenuti. Il Pd ha votato contro ma non è un mistero che l’area riformista non ha una posizione a priori contraria alla separazione delle carriere anche se resta molto critica sulla scelta di come attuarla decisa dalla maggioranza.

Era già avvenuto in occasione dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio portato avanti dal Governo e che aveva ricevuto il placet di diversi amministratori dem. Sono posizioni che si intrecciano inevitabilmente con quanto avviene concretamente. L’inchiesta sull’urbanistica della Procura di Milano, che ha portato all’arresto di diversi professionisti e al coinvolgimento di esponenti dell’amministrazione e della giunta di Beppe Sala, è appena crollata. Gran parte delle principali accuse (corruzione) formulate dai Pm sono state smontate dal Tribunale  del riesame che ha annullato i provvedimenti di arresto confermati dal Gip. Nelle motivazioni, il Tribunale parla di “quadro fattuale confuso” e di semplificazioni “svilenti”. Parole pesanti che confermano la debolezza dell’impianto accusatorio di un’inchiesta che ha tenuto banco per mesi facendo aleggiare anche la fine della Giunta Sala.

Non è certo la prima volta che accade. In molti casi si sono dovuti attendere anni. E questo favorisce un clima tutt’altro che benevolo nei confronti dei magistrati inquirenti. Il rischio che pesi sull’esito del  quesito referendario è perciò tutt’altro che infondato. Al momento, la data più probabile per il referendum è la prossima primavera. Entro la fine dell’anno arriverà l’ultimo sì del Senato e tre mesi dopo si potranno allestire i seggi. A meno che Giorgia Meloni non decida di chiudere in anticipo la legislatura.  Ipotesi al momento remota. Anche se dipenderà molto da come andranno i prossimi test elettorali nelle Regioni e dalla capacità di evitare l’effetto Renzi: la trasformazione del quesito sulla giustizia in un referendum su di lei, come fece l’ex Premier nel 2016  con la riforma costituzionale per l’abolizione del bicameralismo mobilitando tutto l’elettorato schierato contro di lui e costringendolo a uscire di scena subito dopo.

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