CRESCE IL DIBATTITO, IN SETTIMANA GLI EMENDAMENTI ALLA LEGGE
Privati, norme regionali, governance, incentivi: le correzioni chieste alla rigenerazione urbana
Quasi tutti d’accordo sulla necessità di una legge ad hoc e forte apprezzamento per l’accelerazione dell’esame del testo unificato al Senato dopo anni di rinvii e di meline. Ma si moltiplicano i rilievi, le obiezioni, le proposte di aggiustamenti leggeri e pesanti. Secondo tempo delle audizioni limitati a pochi soggetti, ma serve una discussione ampia per arrivare a un provvedimento condiviso che sappia essere il motore di un nuovo modello di sviluppo del territorio.
IN SINTESI
Misure incentivanti da rivedere, perché in contrasto col principio della pianificazione urbanistica e, in alcune parti, lesive dell’autonomia legislativa regionale in una materia, quella del governo del territorio, che rientra nel perimetro della potestà legislativa concorrente. Ma anche l’architettura istituzionale, con la suddivisione delle competenze tra ministero delle Infrastrutture, Regioni e Comuni, è da riallineare al dettato costituzionale. Sono tante le criticità riscontrate nelle memorie e nei contributi depositati in commissione Ambiente al Senato per l’esame del testo unificato sulla rigenerazione urbana. Criticità non di dettaglio perché fanno vacillare l’intero impianto della proposta di legge.
Rilevata anche la necessità di attivare, con maggiore incisività, le risorse private in modo da amplificare gli effetti degli investimenti pubblici. Problematico, perché ancora privo di una definizione normativa, il principio del pareggio di bilancio dei servizi ecosistemici, che potrebbe – secondo l’Ance – causare un’impasse degli interventi di rigenerazione. Pressoché unanime la richiesta di mettere più risorse sul Fondo nazionale (pari a 3.350 milioni di euro per il periodo 2024-2037). Occorrerebbe, inoltre, semplificare gli adempimenti a cascata tra i diversi livelli istituzionali e definire meglio le procedure per avere tempistiche certe. Ma le criticità rilevate vanno anche oltre.
Attivazione delle risorse private
Occorre – secondo l’Ance – far sì che le risorse pubbliche siano in grado di attivare quelle private per amplificare gli effetti dello sforzo pubblico. A dare spazio all’iniziativa dei privati dovrebbe concorrere anche la programmazione comunale di rigenerazione che il testo unificato riconosce come la “sede” in cui il comune individua gli obiettivi generali di rigenerazione, sviluppo sociale, ambientale ed economico. Così come inserita nel testo, – sempre secondo l’Ance – la programmazione comunale sarebbe causa di una «forte incertezza applicativa a causa della sua natura non evidente, a metà fra un atto programmatorio e un atto di pianificazione urbanistica di livello attuativo». Inoltre, l’Ance auspica che nella programmazione comunale rientrino gli indirizzi per la rigenerazione anche degli immobili privati adiacenti alle operazioni pubbliche. «A questi indirizzi – secondo i Costruttori – dovrà necessariamente seguire l’individuazione, anche su proposta dei privati con delibera del Comune, degli ambiti urbani dove eseguire gli interventi di rigenerazione e applicare gli incentivi urbanistici e fiscali». Inoltre, sempre secondo l’Ance, sarebbe auspicabile che anche gli interventi privati di rigenerazione urbana vengano dichiarati di interesse pubblico, beneficiando così delle incentivazioni urbanistiche, economiche e fiscali e delle semplificazioni procedurali.
Incentivi fiscali
Ben accolti gli incentivi fiscali da parte dell’Ance. Molto apprezzata, in particolare, la riduzione delle imposte d’atto per i trasferimenti di immobili da rigenerare. Critica l’Anci per il fatto che gli incentivi sono posti essenzialmente a carico dei Comuni «e non vi siano elementi qualificanti per le parti in cui devono essere ristorati». «Tali incentivi – scrive l’Anci – non possono essere imposti, ma vanno lasciati all’autonomia delle amministrazioni locali». La questione è molto delicata: si tratta di capire come incoraggiare in modo efficace l’iniziativa privata anche attraverso incentivi economici e fiscali (agevolazioni, riduzioni di oneri, canoni e tributi), dato che tale azione fa insorgere oneri connessi alle minori entrate in favore dei Comuni.
Il nodo del principio della pianificazione urbanistica
La rigenerazione urbana dovrebbe essere «disciplinata dalla legge statale per i soli principi fondamentali», mentre le funzioni amministrative devono essere «integralmente devolute alle Regioni e ai Comuni». Così non è nel testo unificato secondo Alberto Roccella, già professore associato di Diritto urbanistico all’Università degli Studi di Milano. Questo perché il ministero delle Infrastrutture assume un ruolo «molto incisivo», oltre ad essere «titolare di una pluralità di funzioni amministrative». Un’altra criticità secondo il professore risiede nell’aver previsto che le regioni possano introdurre precise misure incentivanti, quali: un incremento volumetrico fino al 30% in caso di demo-ricostruzioni o di ristrutturazioni, deroghe al Dm 1444 del 1968 e modifiche alle destinazioni d’uso anche in deroga agli strumenti urbanistici. Queste misure attenuerebbero il principio di pianificazione urbanistica secondo cui le «le decisioni relative all’utilizzazione edificatoria dei suoli sono assunte caso per caso, in base a specifiche valutazioni delle compatibilità e delle complementarità nell’utilizzazione di porzioni di territorio di dimensioni adeguate per tali valutazioni. Il principio di pianificazione – prosegue Roccella -, pur valorizzato dalla recente giurisprudenza costituzionale in tema di governo del territorio, viene sostituito con disposizioni di legge di carattere generale, applicabili a tutti i casi da esse previste, senza valutazioni specifiche».
La Corte costituzionale – ricorda, inoltre, il professore – ha affermato che i limiti fissati dal Dm 1444 hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale, costituendo principi fondamentali della materia, in particolare come limiti massimi di densità edilizia a tutela del «primario interesse generale all’ordinato sviluppo urbano». «I principi fondamentali della legislazione statale nelle materie di potestà legislativa concorrente possono essere variati», spiega il professore. Tuttavia, va notato – prosegue – che le deroghe al Dm 1444, previste dal testo unificato «non hanno alcun limite, come invece sarebbe ragionevole attendersi. Il nuovo principio fondamentale (derivato dal testo unificato, nda) sarebbe dunque quello della illimitata derogabilità dei limiti posti dagli artt. 7, 8 e 9 del Dm 2 aprile 1968, n. 1444, con grave vulnerazione del primario interesse generale all’ordinato sviluppo urbano».
Illegittimo sarebbe anche l’articolo che introduce la disciplina degli interventi diretti privati nella parte in cui prevede disposizioni di dettaglio, perché lesivo dell’articolo 117 della costituzione, rientrando il governo del territorio nelle materie di legislazione concorrente e, dunque, potendo la legislazione statale determinare solo i principi fondamentali. La disciplina sugli interventi diretti, «per la parte in cui reca disposizioni di dettaglio, deve quindi considerarsi illegittima per carenza di potestà legislativa statale e per lesione dell’autonomia legislativa regionale», afferma Roccella. Inoltre, l’articolo sugli interventi diretti dei privati – secondo il professore – compromette anch’esso il principio di pianificazione nella parte in cui prevede che alcuni interventi privati di rigenerazione (demo-ricostruzione con diversa sagoma o sedime, cambi d’uso tra diverse categorie funzionali, ricostruzione di edifici crollanti nei limiti della preesistente e legittima consistenza, etc.) siano sempre consentiti, anche in deroga alle vigenti previsioni degli strumenti urbanistici.
I centri storici, salvaguardare le norme regionali
La disciplina sui centri storici non favorisce il recupero e la rigenerazione di quegli ambiti che invece più necessiterebbero di interventi di rigenerazione, secondo l’Anci che reputa incongruo anche il termine di 12 mesi imposto ai comuni per perimetrare i centri storici secondo la definizione che ne dà il testo unificato. In relazione alla nuova definizione di centri storici, secondo l’Ance, bisogna salvaguardare le normative regionali che hanno già introdotto delle definizioni finalizzate ad individuare con maggiore puntualità il perimetro della cosiddetta città storica.
Pareggio di bilancio ecosistemico difficile da applicare
Critiche dall’Ance anche al “pareggio di bilancio non economico dei servizi ecosistemici”, che non andrebbe inserito nel testo unificato in quanto non sarebbe chiaro come applicare nel concreto questo principio e nemmeno come realizzare il calcolo del bilancio e questo potrebbe causare «un’impasse nella realizzazione degli interventi di rigenerazione». Si tratta di un innovativo principio secondo cui i servizi ecosistemici persi a seguito della costruzione di un’opera che ha consumato suolo devono essere recuperati attraverso il ripristino di funzioni ecologiche in un’altra porzione di suolo o sulla stessa. Va detto che i servizi ecosistemici sono quelli che il capitale naturale offre all’uomo, come la regolazione dei gas atmosferici, la protezione della biodiversità, la presenza di cibo, i valori estetici o la semplice possibilità di trascorrere del tempo nel verde. Quello che sembra solo un principio, entra in campo concretamente nelle regole della rigenerazione. In particolare, le regioni dovranno prevedere come incentivo la possibilità di delocalizzare le volumetrie, purché sia fatto salvo il pareggio di bilancio dei servizi ecosistemici. Allo stesso modo, il testo unificato prevede che possano accedere alle risorse del fondo nazionale anche gli interventi di nuova costruzione rientranti nella programmazione comunale, purché sia garantito il pareggio di bilancio dei servizi ecosistemici. Anche per Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Asvis) il pareggio del bilancio non economico dei servizi ecosistemici è un principio apprezzabile, «ipotizzato e sperimentato in letteratura scientifica, ma non definito con valenze di legge», quindi difficile da applicare.
La sovrapposizione dei livelli di governo genera complicazioni
Secondo l’Anci il testo unificato ridurrebbe gli spazi di autonomia dei Comuni con una governance complicata che causerebbe inefficienze e ritardi. Il percorso attuativo, che prevede diversi adempimenti “a cascata” in capo agli organi statali, regionali e comunali, sarebbe causa di procedure troppo articolate. L’Anci lamenta una forte complessità procedurale, dovuta alla previsione di piani di rigenerazione a vari livelli di governo (nazionale, regionale e comunale). Secondo l’Anci, inoltre, sarebbe in contrasto con le esigenze di semplificazione la procedura da portare a termine prima di avviare gli interventi previsti dai piani comunali di rigenerazione. Procedura che prevede più step, tra cui: l’approvazione della programmazione di rigenerazione; la perimetrazione dei centri urbani, dei nuclei abitati e delle aree produttive e agricole; l’individuazione degli ambiti urbani oggetto di interventi a valere sulle risorse statali.
Da chiarire il rapporto con le normative regionali
Il testo unificato fa salve le disposizioni regionali in materia di rigenerazione urbana e recupero edilizio che risulteranno in vigore alla data della sua entrata in vigore. Però sembrerebbe che la salvaguardia operi solo per quelle norme regionali “coerenti” con i principi della futura legge, rileva l’Ance, secondo cui «sarebbe opportuno chiarire meglio questo rapporto esplicitando la necessità di salvaguardare tutte le normative regionali vigenti in tema di rigenerazione urbana fino a quando la Regione non approvi la nuova legge o non adegui quelle esistenti». Dunque, sarebbe opportuno una sorta di periodo transitorio per non avere periodi di stallo.
Forte limitazione dall’adeguamento sismico obbligatorio per accedere alle risorse del Fondo
Critica – secondo l’Ance – anche la necessità di prevedere l’adeguamento sismico degli edifici interessati da interventi di rigenerazione che beneficiano delle risorse del Fondo nazionale. Il testo unificato prevede, infatti, che gli interventi attuativi della programmazione comunale di rigenerazione, per beneficiare delle risorse del Fondo nazionale, devono prevedere, tra l’altro, l’adeguamento sismico che è il livello più impegnativo della “messa in sicurezza” degli edifici secondo le Ntc. L’adeguamento richiede livelli di sicurezza paragonabili a quelli richiesti per le nuove costruzioni, non raggiungibili in molte situazioni, secondo l’Ance.
Limitazione agli edifici con almeno dieci anni
Sbagliato – secondo l’Ance – dettare le priorità della rigenerazione tenendo conto della vetustà degli edifici. Il testo unificato, nel delineare gli obiettivi della rigenerazione, dà la priorità agli edifici in stato di degrado o di abbandono, che abbiano almeno dieci anni. È chiaro che, indipendentemente dalla data di realizzazione, le priorità dovrebbero essere dettate esclusivamente dalle condizioni di degrado urbanistico, edilizio, ambientale o socioeconomico.
Modifica delle destinazioni d’uso, necessità di coordinamento con il salva-casa
Da coordinare con le disposizioni introdotte dal Salva-casa la misura del testo unificato che prevede che siano sempre consentiti i cambi di destinazione d’uso nella stessa categoria funzionale, anche in deroga allo strumento urbanistico. L’articolo 23-ter, come modificato dal salva-casa fa salva, invece, la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni.
 
				