INTERVENTO
E il modello per Roma? Servono percorsi oltre il MITO imperiale
Rimasta una città immobile, paralizzata dalla sua storia e cultura e incapace anche purtroppo di gestire la scossa causata dalla guerra, il ddl per Roma Capitale cerca di superare i dettami del PRG del 2008. Ma manca l’innovazione per avere una città moderna e dallo sconosciuto Piano Strategico si potrebbe prendere perlomeno lo slogan “innovativa, sostenibile, inclusiva”.
C’è, ma è nascosto, va tirato fuori. Ma andiamo con ordine. L’annuncio dell’approvazione del Disegno di legge per Roma Capitale e le ultime vicende urbanistico-giudiziarie milanesi stano riportando all’attenzione due ultradecennali temi critici per la Capitale legati da un lato ai poteri e alle funzioni esercitabili e dall’altro alla gestione urbanistica delle nostre città ancora basata sulla oramai mitica legge 1150 del 1942 che il povero Fiorentino Sullo nei sempre lontani anni Sessanta cercò di sostituire con una più moderna e meno accondiscendente con i proprietari terrieri, fallendo miseramente e addirittura facendo rischiare al Paese un colpo di stato. Sul primo aspetto rimangono tante perplessità sulla reale capacità dell’eventuale legge di incidere sul futuro della città se non che il Sindaco, gli assessori e l’Assemblea Capitolina avranno più poteri (e forse più risorse). Ci vorranno infatti più capacità e competenze fermo restando che continua a mancare la definizione di un Progetto per la città e la capitale che non può e deve essere solo quello urbanistico e immobiliare e sul quale anche il Parlamento dopo oltre centosessanta anni dovrebbe dire la sua. Persiste infatti il fondato timore che Roma continuerà ad essere una delle cento città del Paese, si certo famosa e attraente per la sua bellezza e la sua storia, ma al massimo un “primus inter pares”.
Sul secondo tema come ricorda Giorgio Santilli “L’inevitabile crisi del modello Milano deve rapidamente portare a un modello Italia di sviluppo se si vogliono evitare gli effetti drammatici della paralisi economica e amministrativa. L’ambiguità viene da lontano. Parte dalla normativa urbanistica di riferimento, abbandonata da uno Stato immobile, assente e colpevole e sviluppata invece per trenta anni dalle Regioni con mille modelli fai-da-te.” Sarebbe giunto quindi giunto il tempo di ripensarla questa maledetta legge urbanistica che oramai fa acqua da tutte le parti tenuto conto, peraltro, che la situazione ambientale in senso lato è completamente cambiata. Senza fare la storia di questi ultimi ottant’anni, oggi ci troviamo a dirla come Saskia Sassen già affermò nel 1991, nella città globale dove il governo dell’assetto urbano è indirizzato e gestito dalla finanza e dalla relativa rendita e non dal bene comune e dalla politica ovvero da un Progetto. Concetti che recentemente sono ritornati alla cronaca tra gli altri con l’intervento di Walter Tocci che ha paventato il rischio di morire per overdose di rendita per l’“eccesso di valorizzazione immobiliare” che “produce devastanti effetti sociali e culturali, che sono sotto gli occhi di tutti.”, a cui si affianca Massimiliano Fuskas che ha denunciato come “la città non è più dei cittadini, non è di nessuno” riferendosi agli sconosciuti fondi finanziari. A Milano la reazione è forte non solo per l’aspetto giudiziario, ma perché ha messo in evidenza le criticità della città globale, del così detto “modello Milano”.
In questo contesto così infuocato anche Roma fa la sua parte condividendo il Disegno di Legge sul ruolo di Capitale e cercando di superare i dettami del PRG del 2008 non tanto nel merito quanto nelle modalità con le quali realizzare nuovi insediamenti o rigenerare l’esistente, varando le nuove Norme Tecniche di Attuazione, lavorando sulla città dei 15 minuti e sulla città del 2050. Per la città (urbanistica) del futuro è il Comune che per primo per fortuna ha messo al lavoro Stefano Boeri con un gruppo di giovani architetti nel Laboratorio 2050 che recentemente ha presentato i sintetici risultati. Una città arcipelago di 253 unità territoriali basata su una strategia territoriale in tre fasi sottesa dal Metroparco e composta da tre ambiti: la città dell’acqua, la città dell’archeologia e la città del GRA. Una strategia che passa all’attuazione attraverso singoli ambiti di trasformazione nell’area urbana. Il tema più politico è quello del possibile slogan che si va delineando anche sulla falsariga di quanto affermato dall’assessore Maurizio Veloccia e da Rem Koolhaas nonché dallo stesso Sindaco Roberto Gualtieri in occasione della presentazione: quello del “pensar facendo”, considerato che “il tempo del pensare è stato quello degli ultimi quindici anni”, in un colloquio pubblico-privato che rischia di riportare alla città globale della Sassen. E qui ci saranno presto anche le proposte del concorso internazionale “Una visione per Roma” indetto dalla Fondazione Roma REgeneration (di cui sono soci preponderanti alcuni tra i maggiori fondi e gruppi immobiliari romani, nazionali e internazionali) per contribuire a “delineare una visione strategica, sostenibile e innovativa per il futuro di Roma”. Da ricordare tra l’altro in questo quadro che il tema della mobilità rimane a Roma cruciale tanto quanto quello urbanistico e in particolare che esiste una rete ferroviaria urbana (finora un tesoro nascosto) che 2 offre l’opportunità di scegliere il minore dei mali ovvero che oltre di portare la mobilità pubblica dove prima si è costruito, porti il costruibile dove c’è una linea su ferro. In questo quadro e mettendo in relazione la prossima possibile legge su Roma Capitale e le vicende urbanistiche e semmai trasportistiche, il pensiero va a quale sarà o potrebbe essere il modello Roma partendo dalla conditio sine qua non che la visione (il modello) non può essere solo urbanistica e tanto meno immobiliare se l’obiettivo è il benessere dei cittadini insieme al ruolo di Capitale.
Per Milano Paolo Manfredi auspica di “dare vita ad un grande progetto che non sia solo hardware, cemento da colare, ma abbia una componente software seria e attrattiva…(e) portare a Milano o creare qui qualcosa di grosso, intelligente, orientato al futuro, che attiri giovani e ricercatori, no”. A Roma il modello ci potrebbe anche essere pur se per ora è nascosto insieme a qualche bene archeologico o in qualche opera rinascimentale o barocca. A meno che non si pensi che non stia nel Piano Strategico Metropolitano di cui nessuno si ricorda mai, neanche Boeri, e forse mai nessuno -o quasi – ne sia venuto a conoscenza. Occorrerebbe quindi e finalmente fare in modo che il “giacimento” infinito in quantità e qualità ed eterno che Roma ha, nel tempo venga utilizzato come leva per consentire alla città di diventare moderna, anche se, come afferma Tocci “L’inerte ricezione del passato ha ostacolato l’autentica modernità che conosce tanto in profondità la tradizione da reinventarla”.
Al di là del tentativo demagogico, fuori dalla storia e in buona parte distruttivo di Mussolini, Roma è rimasta una città immobile, paralizzata dalla sua storia e cultura e incapace anche purtroppo di gestire la scossa causata dalla guerra come ricordava Domenico De Masi. Stante allora il rapporto che ancora persiste tra i romani e la loro città e l’assoluta incapacità dimostrata finora dal“regime dell’urbe”(D’Albergo e Moini) di avere una nuova visione (oltre i tentativi di Nathan, Petroselli e Rutelli) che non sia quella della suggestione di Raimo di vederla “sparire, bruciata come da Nerone”, occorre trovare percorsi virtuosi che abbandonino il mito e, riappropriandosi della storia tutta, disegnino obbiettivi che diventino opportunità.
È ora che la cultura moderna si riprenda Roma per rilanciarla, per dare futuro ai giacimenti vari che ne arricchiscono lo spazio e lo spirito, tracciando linee di sviluppo possibili e impossibili che si basino anche, ma non solo, sulle ricchezze che ci sono coniugando semmai arte e tecnologia, arte ed esperienza produttiva, arte e luoghi qui e nell’intorno mediterraneo e europeo. Manca l’innovazione per avere una Roma moderna e dallo sconosciuto Piano Strategico si potrebbe prendere perlomeno lo slogan “innovativa, sostenibile, inclusiva”. Neanche il Disegno di Legge ne accenna. Di proposte ce ne sono tante e profonde: città della pace laica e religiosa per un nuovo modello economico (Giorgio Vittadini), Città Mondo, centro del Forum euromediterraneo, dell’Accademia internazionale (Walter Tocci), sede dell’Istituzione pubblico-privata per la produzione culturale collegata alla storia e alla valorizzazione dei monumenti (Alfredo Macchiati), la messa a sistema di tutte le potenzialità della città, “smart city dell’arte mondiale” (Francesco Delzio) hub di opportunità imprenditoriali per l’industria, l’artigianato e il commercio di qualità, così come per i materiali e le tecnologie. E tante e profonde ne possono venire. Il programma di Roberto Gualtieri prevede un “progetto” che vede Roma “capitale culturale e diplomatica del Mediterraneo”, sede di Agenzie internazionali, Capitale mediterranea della cooperazione allo sviluppo e hub euro-africana, capitale dell’agricoltura, ma finora i segnali in generale sono ancora deboli. Ma anche su tutte queste idee e proposte il Disegno di Legge non si esprime.
Rimane comunque il dubbio di fondo che continui a serpeggiare la voglia di ritornare ad avere una Roma “imperiale”, centro del mondo, mentre invece bisogna ridimensionarci consapevoli di chi siamo oltre di chi siamo stati. Per partire cinque chiavi di accesso per scegliere il modello: la consapevolezza del reale ruolo possibile e a seguire la costruzione partecipata del “progetto” dove dovrebbero convenire le élite e la gente. Per arrivarci la terza chiave quella del coraggio di costruire un nuovo patto sociale locale, così come il rischio di semplificare le procedure e le norme (insieme a quelle nazionali). Per ultima la chiave dell’ascolto per conoscere e per coinvolgere. L’inizio potrebbe essere quello di valorizzare il senso della città di tutto il popolo romano ricordando quello che tra gli altri disse Italo Insolera: “Ignorano Roma i romani e ignorano quindi se stessi come gruppo sociale… Bisogna uscire dall’ignoranza se vogliamo che Roma sia invece nel futuro frutto di civiltà”. Capire e decidere che città volere, ridandola ai cittadini e dove l’urbanistica risponda ad un obiettivo.