IL RAPPORTO LEGAMBIENTE
Rinnovabili, Italia IN RITARDO di otto anni. Solo 4,5MW annui installati
Secondo lo studio sulle Regioni, si salverebbe solo il Lazio arrivando all’obiettivo 2030. Bene la Campania sul repowering. Ma per il resto i numeri sono impietosi perché sulla futura realizzazione di impianti pesano decreti sbagliati, come quelli su agricoltura e aree idonee, iter burocratici lenti per le inadempienze delle Regioni, e freni del Ministero della Cultura. Penna: neanche la revisione del Testo Unico aiuterà a colmare questi gap.
Gli esami non finiscono mai, si dice. Quelli dell’Italia sulle rinnovabili per ora danno sempre esito negativo: Paese rimandato a settembre. A dirlo è il nuovo rapporto di Legambiente sulle aree idonee regionali che potranno ospitare i nuovi impianti eolici e fotovoltaici. “Scacco matto”, è il titolo quantomai azzeccato: il responso è netto perché l’Italia rischia di raggiungere gli 80.001 MW con 8 anni di ritardo, ossia nel 2038. Colpa di un po’ tutte le Regioni, a cominciare da Valle d’Aosta, Molise, Calabria, Sardegna e Umbria come quelle peggiori con ritardi da 20 a 45 anni. Il Lazio, invece, è l’unica che, ad oggi, centrerebbe l’obiettivo al 2030.
Più nel dettaglio, la classifica delle Regioni vede la Valle d’Aosta impiegare 45 anni per raggiungere l’obiettivo 2030 pari a 328 MW (ad oggi ha raggiunto solo il 7%), il Molise viaggerà sui 29 anni di ritardo (ad oggi ha raggiunto solo il 10% dei 1.003 MW richiesti al 2030), la Calabria impiegherà 23 anni di ritardo (ad oggi ha raggiunto solo il 12% dei 3.173 MW al 2030), la Sardegna 21 anni di ritardo (ad oggi ha raggiunto appena il 13% rispetto ai 6.264 MW al 2030), l’Umbria 20 anni di ritardo (ad oggi ha raggiunto il 13% dell’obiettivo di 1.756 MW al 2030). Tra le altre regioni, la Sicilia, ottava in classifica, raggiungerà i 10.485 MW al 2030 con oltre 13 anni di ritardo, ad oggi ne ha realizzati appena il 17%. Unica regione che, stando alla media di quanto realizzato negli ultimi 4 anni, centrerebbe l’obiettivo al 2030, pari a 4.757MW, è il Lazio, che nel 2024 ha raggiunto il 39,9% del suo obiettivo 2030. Quelle che impiegheranno quasi due anni di ritardo sono Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.
Numeri impietosi frutto anche di una media di installato annuo ancora troppo basso, pari a 4.429 megawatt solo dal 2021 a oggi (per un totale di 17.717 MW) contro una quota necessaria di almeno 10mila megawatt/anno per rispettare il target Pniec di 80.001 MW. Mancano, insomma, 62.284 MW. Un orizzonte lontanissimo ad oggi perché, dice il rapporto, sulla futura realizzazione di impianti pesano decreti sbagliati, come quelli su agricoltura e aree idonee, iter burocratici lenti per le inadempienze delle Regioni, e freni del Ministero della Cultura.
Legambiente è arrivata a queste conclusioni drastiche andando a censire 92 storie di blocco delle rinnovabili. Secondo l’associazione guidata da Stefano Ciafani, “la crisi climatica ed energetica e il rincaro delle bollette si affrontano puntando sulle rinnovabili, non su gas e nucleare. Si sblocchino gli iter autorizzativi, si potenzino gli uffici che valutano e autorizzano i progetti, si approvino leggi sulle aree idonee per accelerare la realizzazione di impianti, ma serve anche una rivoluzione culturale che consideri questa transizione un’occasione di investimento e sviluppo occupazionale per i territori”. Dove solo dal 2015 ad oggi si sono registrati 2.098 eventi estremi legati al meteo, con 753 allagamenti e 522 danni da raffiche di vento e trombe d’aria che hanno interessato 1137 comuni.
Cosa serve? Servono interventi strutturali che Legambiente riassume in 10 proposte a partire da tre caposaldi: lo snellimento degli iter autorizzativi per velocizzare la realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili, a partire dalle attività di repowering degli impianti eolici già esistenti; il rafforzamento del personale tecnico negli uffici regionali e comunali preposti alla valutazione e autorizzazione dei progetti e il completamento dell’organico della Commissione Pnrr/Pniec del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica; la revisione del Decreto Aree Idonee, della Legge 199/2021 – dando indicazioni univoche e meno ideologiche alle Regioni – e del Decreto Agricoltura, fornendo una maggiore distinzione tra fotovoltaico e agrivoltaico e prevedendo ad esempio la possibilità di realizzare il fotovoltaico a terra alle aree agricole all’interno nei siti di interesse nazionale e regionale da bonificare. Senza dimenticare, aggiunge l’associazione, che nel Paese è necessario avviare una “rivoluzione culturale” invitando a guardare questi impianti come occasione di investimento e sviluppo occupazionale per i territori.
Proprio sugli impianti, si legge nel rapporto, è lo stallo sui progetti a preoccupare. Dal 2015 al 15 gennaio 2025 sono 2.109 i progetti avviati a valutazione. Di questi, secondo le elaborazioni di Legambiente sui dati disponibili sul portale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, 115 i progetti in attesa della determina da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 85 quelli che hanno ricevuto il parere della Commissione Tecnica Via Pnrr-Pniec ma che rimangono in attesa del parere del Ministero della Cultura (MIC), 1.367, pari all’79% del totale, quelli in fase di istruttoria tecnica da parte del Comitato PNRR-PNIEC (con 44 progetti risalenti al 2021, 367 al 2022, 505 al 2023 e 451 al 2024). Tra i progetti che avrebbero già dovuto concludere l’iter autorizzativo ma che sono ancora in attesa di una decisione, scrive Legambiente, il più datato è un piano di reblading in Campania che prevede la sostituzione delle pale dei 60 aerogeneratori del parco eolico situato nei comuni di Lacedonia (AV) e Monteverde (AV). Nell’agosto 2020 aveva ottenuto un parere favorevole preliminare sulla compatibilità ambientale da parte del Mic; ma che ad oggi, a quasi cinque anni di distanza, è ancora bloccato nella fase di istruttoria tecnica presso la Ctvia. Solo nel 2024 sono 31 gli impianti bloccati da Comuni e Regioni.
Sugli iter, ieri alla presentazione del rapporto è intervenuto il presidente della Commissione Via Pnrr-Pniec Massimiliano Atelli che ha ricordato come vi sia un tema di esplosione delle domande di autorizzazione ancora da smaltire, su cui misurarsi è difficile. “Stiamo pian piano passando dalla fase dei piccoli impianti a quelli non più domestici ma di taglia più grande”, ha detto. Il vero nodo è quello della qualità dei progetti e su questo crescono ancora i numeri dei pareri negativi emessi: “a marzo 2025 sono già al 27% rispetto alla percentuale del 20% di tutto il 2024 quando avevamo triplicato i numeri medi degli anni precedenti”. Contribuisce al problema, ha aggiunto Atelli, il disaccoppiamento tra metrica legale e giudiziaria. Per cui oggi abbiamo una “impennata dei contenziosi sui procedimenti non conclusi, sulla fase procedimentale. Tanti impianti partono Pniec e confluiscono in Pnrr, anche qui servono indicazioni dall’alto precise sui confini di questa muta, perché è un passaggio procedurale non indifferente. Quando scatta?”.
Ancora, sulle aree idonee Atelli ha citato il caso friulano “che va in direzione molto diversa da altre, come Sardegna, perché rispetta la domanda di autorizzazioni Fer specie sul fotovoltaico e manda un segnale sul rifiuto della logica di una economia estrattiva. Serve integrazione nel territorio, una formula win win”. Infine, ancora sui territori, il case study più positivo è quello campano, ha spiegato Atelli, perché banalmente opera con una commissione ad hoc per i progetti Fer. Cosa che non avviene in tante altre Regioni. A proposito di Campania, la dirigente dell’Ufficio Speciale sulla valutazione di impatto ambientale Simona Brancaccio ha detto che la Regione è stata al primo posto nel 2024 per autorizzazioni agli impianti eolici e che è molto avanti nel lavoro sul repowering. Sono 6 gli impianti interessati tra Avellino e Benevento, due ancora in istruttoria, ma che faranno risparmiare ben il 60% del suolo, aumentando del 122% i GWh da quota 204 a 504. Sulla legge aree idonee, invece, ancora è in lavorazione il disegno regionale (così come per l’Emilia-Romagna) e che molto dipenderà dalla sentenza del Tar Lazio dopo l’udienza del 5 febbraio sui ricorsi. “Occorre salvaguardare le istanze già presentate, ridurre la discrezionalità, aiutare gli operatori”, ha spiegato Brancaccio accennando ai criteri con cui verrà scritta la legge campana. Infine, qualche suggerimento al governo: una guida statale e poi “diamo alle Regioni la competenza sulla Via per impianti oltre 30MW perché attualmente la fascia 30-70 MW è figlia di nessuno”.
Guardando alle altre Regioni, sulle aree idonee, nel focus del rapporto si legge che sono solo 9 le Regioni che hanno avviato pubblicamente o approvato l’iter per la definizione delle Aree Idonee. Analizzando gli iter normativi, sono 4 le regioni – Sardegna, Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Abruzzo – bocciate da Legambiente; 3 – Piemonte, Sicilia e Calabria – quelle giudicate non classificabili in quanto la proposta sulle aree idonee non è ancora finalizzata o incompleta; una regione rimandata – la Puglia – e una sola è stata promossa – la Lombardia – seppur il suo iter non si sia ancora concluso. Le altre 11 regioni (Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Liguria, Molise, Trentino e Alto-Adige, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto) ad oggi non hanno ancora avviato, almeno pubblicamente, l’iter di definizione. Una situazione frammentata, quella a livello regionale sulle rinnovabili, confermata anche dal monitoraggio di Italy for Climate presentato sempre ieri a Rimini. Secondo il quale, se diverse Regioni rappresentano delle best practice su alcuni temi specifici, nessuna può dirsi ancora pienamente allineata in tutti i settori con gli obiettivi di decarbonizzazione. E per i target 2030 tutte devono accelerare da adesso.
Per Fabrizio Penna, capo dipartimento Mase sul Pnrr, “così è chiaro che non si può andare avanti. Attualmente stiamo negoziando l’ultima revisione del Pnrr, di cui quest’anno dovremo compiere 67 obiettivi. Quanto al Testo Unico sugli impianti, verrà rivisto ma non potrà colmare i gap evidenziati dal rapporto di Legambiente”.
“L’Italia è in colpevole ritardo sugli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili da raggiungere al 2030 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – I principali ostacoli non tecnologici sono gli iter autorizzativi lenti, per l’ostracismo del Ministero della Cultura e l’inazione delle Regioni, i decreti ministeriali sbagliati e ideologici, come quelli su aree idonee e agricoltura, e le politiche miopi del Governo Meloni, che non fa altro che rendere la Penisola ancora più dipendente dagli speculatori del gas, puntando anche sul ritorno del nucleare, opzione energetica sconfitta dal libero mercato, a causa dei suoi costi esorbitanti, mentre altri ritardi potrebbero aggiungersi con le future leggi regionali sulle aree idonee. Per rendere indipendente l’Italia e per aiutare famiglie e imprese, facendo diminuire la bolletta, occorre accelerare la diffusione delle rinnovabili, lo sviluppo delle reti e la realizzazione degli accumuli anche in vista del passaggio dal Prezzo Unico Nazionale dell’elettricità a quelli zonali, che porteranno maggiori vantaggi proprio alle Regioni con una maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili”.
“Il ritardo dell’Italia rispetto agli 80.001 MW da raggiungere entro sei anni – commenta Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – è preoccupante così come il muro che diverse regioni stanno innalzando sul tema aree idonee come nel caso in primis di Sardegna e Toscana che renderanno rispettivamente il 99% e il 70% del territorio regionale non idoneo alla realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili. Due regioni che stanno purtroppo facendo scuola, stando alle dichiarazioni di rappresentanti di altre amministrazioni, nonostante il Governo abbia fatto ricorso alla Corte Costituzionale proprio per bloccare la legge sarda sulle aree idonee. Il nostro Osservatorio Aree Idonee e Regioni vuole fornire un’analisi dettagliata su quanto sta accadendo tra iter normativi regionali e ritardi, vigilando e stimolando le amministrazioni a un maggior coraggio, soprattutto considerando che le rinnovabili e l’efficienza sono le uniche risposte concrete ai problemi del Paese e che l’obiettivo 2030 rappresenta solo un primo passo verso gli obiettivi di decarbonizzazione da raggiungere entro il 2035 per la produzione elettrica ed entro il 2050 per tutto il resto del sistema energetico”. E’ proprio vero, gli esami non finiscono mai. Almeno fino al net-zero.