CODICE APPALTI

Il Consiglio di Stato difende se stesso e bacchetta il governo sul correttivo: iter e documenti inadeguati

Nelle premesse al parere vengono svolti pesanti rilievi sull’iter seguito e sulla scelta di non adottare la “stessa procedura” utilizzata per la stesura del codice 36, quando fu affidato allo stesso Consiglio di stato il compito di redigere il testo. Per quanto viene riconosciuto che non ci fosse un obbligo in tale senso, sulla scelta si rilevano criticità di ordine logico-giuridico. Rilievi vengono svolti anche per l’assenza del parere della Conferenza unificata, che deve precedere la pronuncia del Consiglio di Stato, e per il mancato trasferimento dei documenti relativi alle interlocuzioni con la commissione Ue.

02 Dic 2024 di Gabriella Sparano

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Finalmente è arrivato il parere della commissione speciale del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” (n. 1463 del 02/12/2024). Ma, prima ancora delle osservazioni formulate relativamente alle modifiche proposte dallo schema di correttivo, in cui per altro prevale il “nulla da osservare”, sono rilevanti le premesse del parere, che esprimono un giudizio critico e severo sull’iter seguito per l’approvazione del correttivo e sulla completezza ed adeguatezza dei documenti e delle valutazioni che accompagnano lo schema di correttivo posto all’esame del Consiglio di Stato.

Quasi una bacchettata al Governo, quella del Consiglio di Stato, che presagisce addirittura possibili contenziosi futuri derivanti da un esercizio non proprio ortodosso della delega.

Il Consiglio di Stato, infatti, ricorda che lo schema di decreto legislativo rinviene la sua base legale nell’articolo 1, comma 4, della legge 21 giugno 2022, n. 78, il quale – contestualmente al conferimento della delega ad adottare, nel rispetto dei principi e criteri direttivi individuati, “uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici” – ha abilitato il Governo ad apportarvi, entro il biennio successivo dalla entrata in vigore della normativa delegata, “con la stessa procedura e nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi, “le correzioni e le integrazioni che la pratica [avesse reso] necessarie ed opportune”.

E, invece, mentre per l’approvazione del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, il Governo ha voluto avvalersi della facoltà (riconosciutagli, in termini generali, dall’articolo 14 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, ed espressamente conferita, con integrazioni prescrittive, dalla legge delega) di affidare al Consiglio di Stato, in sede consultiva, l’elaborazione dello schema normativo, non ha poi fatto altrettanto per la predisposizione dello schema di decreto correttivo.

Una scelta questa che, secondo il Consiglio di Stato, presenta qualche profilo di criticità logico-giuridica.

Pur riconoscendo, infatti, che l’espressione “stessa procedura” sia alquanto ambigua proprio perché l’avvalersi dell’apporto consultivo e redazionale del Consiglio di Stato è una facoltà e non un obbligo, la commissione speciale è ferma comunque nel ritenere che, per ragioni di coerenza logica e pratica, prima che testuale, “la scansione formale dell’intervento correttivo ed integrativo avrebbe verisimilmente dovuto mimaredi fatto, la stessa seguita (rendendo coerente, in via definitiva, la relativa opzione) nella predisposizione del ‘Codice’, anche con riguardo al ruolo del Consiglio di Stato”.

E ciò anche in ragione della qualità essenzialmente tecnica della redazione rimessa al Consiglio di Stato (in ogni caso, poi, ri-devoluta al successivo vaglio politico) a fronte di quella eminentemente e direttamente politica esercitata dal Governo.

Da qui, appunto, la segnalazione del rischio, potenzialmente rilevante, di un eventuale sindacato di legittimità formale, relativamente al rispetto della legge di delegazione, e alla circostanza che la redazione del codice, e la sua integrazione e correzione, siano state, in concreto, operate, in parte, seguendo procedure sostanzialmente diverse.

Critico, poi, è anche il giudizio sulla analisi di impatto, giudicata poco approfondita e puntuale, e sulla mancata messa a disposizione della commissione speciale delle interlocuzioni con la commissione europea, nonché sulla mancata acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che costituisce un adempimento procedimentale necessario e, per giunta, logicamente e positivamente preventivo rispetto al parere dello stesso Consiglio di Stato, che deve essere a sua volta reso su un testo normativo definito e non in fieri. Da qui l’avvertenza che, comunque, prima della definitiva approvazione dello schema di decreto correttivo, è indispensabile la acquisizione del parere della conferenza unificata.

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