Gli occhi di Emilia e l’industria edilizia convertita alla rigenerazione umana

Non chiamatela più edilizia. Chiamatela industria della trasformazione urbana e, se ne sarà capace, della rigenerazione umana. Una industria – quindi una capacità di fare e di dare risposte concrete, puntuali ed efficienti alle domande – che rifondi l’economia della trasformazione urbana mettendo al centro, come obiettivi fondamentali, l’ambiente e la persona. Il rispetto dell’ambiente e la vita delle persone.

Si dirà che non sono una novità, l’edilizia verde e l’edilizia sociale, la città verde e la città sociale, ne sentiamo parlare da tempo, al punto di rischiare di approdare a slogan logori e consunti. Ma per fare questo passaggio decisivo verso la rigenerazione umana, per mettersi alla testa di un cambiamento, questa industria, questa economia, questa cultura hanno bisogno di guardare alla città con occhi nuovi. Devono poter entrare dove non sono mai entrate, devono guardare ciò che non hanno visto finora, devono soffermarsi a pensare di cose che sono state intraviste solo di sfuggita. Come già successo con la rivoluzione digitale, che è entrata dentro le case e non ha più consentito di vedere le case solo da fuori. Come già successo all’architettura che non è più solo una bella facciata, ma ha imparato a catturare la vita delle persone dietro quella facciata.

03 Dic 2024 di Giorgio Santilli

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Si dirà che un’impresa deve sempre far quadrare i conti, che un’operazione economica ha successo se produce ricchezza. I conti devono tornare, in effetti, non solo per l’impresa ma anche per la collettività. Finita la sbornia del Pnrr, non sappiamo ancora come, ci troveremo di fronte all’esigenza di dare rapidamente risposte a una popolazione sempre più vecchia, più povera e più sfiduciata con sempre meno risorse pubbliche. È un’area di pericolo per l’Italia.

Bisogna far leva ora sulle risorse vive di questo Paese, i giovani e le donne anzitutto. Oggi abbiamo la possibilità di costruire infrastrutture e servizi capaci di rispondere ai bisogni delle persone, di formare ed educare, di generare nuovo valore aggiunto, sociale ed economico. Si dirà che già succede e non è difficile elencare i bisogni che già trovano risposte, sia pure molto parziali: mobilità, casa, scuole, asili nido, assistenza sanitaria, accessibilità, assistenza sociale, cultura, partecipazione, servizi antiviolenza, superamento del disagio sociale e di quello giovanile. Questo succede già, è vero, ma è sempre più chiaro che non basta, che il ruolo fondamentale lo stanno acquisendo il terzo settore e quei privati capaci di progettare e produrre servizi abitativi, culturali, sociali. Anche le pubbliche amministrazioni, sia pure fra mille difficoltà e mille pastoie burocratiche, cominciano a svegliarsi. E l’impresa? Da che parte sta?

Il dovere di un giornale come il nostro è raccontare, non solo come si risolvono i problemi, quali soluzioni l’economia, i territori, il Parlamento possono percorrere,  ma anche come si formano i problemi e cosa c’è davvero dentro. Quali sono le risposte autentiche e profonde da dare. Se facciamo solo l’elenco dei bisogni e dei servizi offerti per risolverli, senza guardarci dentro, non ci saremo avvicinati alle persone e alla loro vita concreta. Avremo forse fatto business o politica, ma non alleanze solide, e la città resterà lì, ferma, con i suoi dolori e le sue tremende inefficienze. Invece abbiamo bisogno di uno sguardo continuo, di un’attenzione costante, di un punto di osservazione che ci ricordi cosa va e cosa non va nella vita di queste persone. Abbiamo bisogno di un dialogo, di un confronto costante fra punti di vista diversi. Continuo, incessante: la via a una vita migliore passa da qui.

Si dirà che rischiamo di fare sentimentalismo più che cultura o economia. È un’accusa che abbiamo fronteggiato già in altri momenti, con altre battaglie.

Le battaglie cominciate con Edilizia e Territorio negli anni 90 per portare in Italia strumenti di partecipazione collettiva alla progettazione e alla realizzazione delle infrastrutture e degli edifici, dal débat public ai concorsi di progettazione, hanno aperto nuovi spazi di legittimità dove prima imperversavano solo i no-Tav, hanno tracciato una rivoluzione del pensiero. Ma quella cultura della partecipazione non basta più.

Le battaglie di inizio secolo sul Sole 24 Ore per portare dentro l’edilizia il valore aggiunto di una buona architettura fatta da una nuova generazione di architetti – quando in questo mondo nessuno conosceva Mario Cucinella o Guendalina Salimei – sono state un esempio di giornalismo militante che ha indicato una strada nuova. Ma quegli architetti sono grandi, hanno avuto successo e l’Italia ha fatto passi avanti, senza ancora fare il salto.

Ora raccontiamo il tratto finale di questo cammino accidentato, fatto di successi e di insuccessi in un Paese sempre refrattario al cambiamento profondo di prospettiva. Con il racconto che pubblichiamo oggi di Emilia Martinelli, regista e scrittrice teatrale, un impegno nel sociale e nella cultura fin da ragazza, i nostri occhi saranno gli occhi di Emilia.

Ci aiuteranno a vedere cose che non avevamo visto finora o a scrivere cose che non avevamo scritto. Racconteranno storie di persone – e non solo del loro disagio – dove fino a ieri avevamo visto solo storie di progetti, edifici, territori. La storia della signora Maria di Messina che oggi Emilia racconta porta la vita dove finora avevamo raccontato di politica, di progetti, del lavoro e dell’impegno straordinario del commissario Scurrìa per mettere fine alle baraccopoli che occupano il suolo di quella città da 120 anni. Saranno due registri diversi, il progetto e la persona, ma avranno un obiettivo unico. Una narrazione stereofonica che consenta di capire, anche con le emozioni, perché no, i drammi delle persone e fin dove arrivano le azioni messe in atto.

Non sarà facile, non è facile perché abbiamo vissuto per decenni completamente scollegati, i nostri occhi e i suoi occhi. Ma ora – dopo il Covid, in mezzo alle catastrofi climatiche, – è arrivato il momento di mettere insieme gli sguardi e capire che ci può salvare solo il coraggio di guardare dentro le persone.

Gli occhi di Emilia non saranno gli unici per noi nei prossimi mesi: tanti operatori oggi lavorano in prima linea su questi territori e noi siamo pronti ad ascoltarli. Dario Costi, collaboratore di punta di questo giornale con il suo blog, aveva già avvertito del cambio di PARADIGMA, con i privati a giocare un ruolo decisivo nello svolgimento delle politiche pubbliche (si veda qui il suo post).  L’intervista a Elena de Filippo, presidente della cooperativa sociale Dedalus, pubblicata giovedì… è un altro esempio del giornalismo che vogliamo fare (senza dimenticare le cose buone che facciamo da tempo). L’attenzione che abbiamo riservato e riserveremo a Estramoenia, straordinaria esperienza napoletana di alleanze fra mondi diversi e apparentemente lontani – imprenditori illuminati, operatori del sociale, operatori della cultura – è la nostra linea editoriale. Così come lo è la rassegna dei progetti di “Città in scena”, il Festival sulla rigenerazione urbana organizzato da Mecenate 90 e Ance che da oggi vivrà il suo appuntamento nazionale annuale all’Auditorium di Roma.

La cultura dell’attenzione, tutti i giorni, per aiutare chi deve dare risposte, sui territori e nel Parlamento di Roma, a darle.

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