DIARIO DEI NUOVI APPALTI
Il crollo delle nuove gare di lavori nel 2025 è solo per le ferrovie, i comuni tengono. Balzo in avanti del PPP
Luci e ombre nei primi dieci mesi del mercato dei nuovi appalti. Poco significativo il dato complessivo di 68,8 miliardi contro i 46,9 del 2024. Il crollo delle ferrovie (-93%) e dell’Anas (-23%) sono pesanti: il primo però non preoccupa per ora (con RFI impegnata nel PNRR) mentre il secondo allarma, anche per il passaggio al MEF che certo non accelererà l’operatività. Molti i dati positivi: la crescita degli enti centrali (un +605% in cui dominano Invitalia e Consip ma che è condizionato dalla coda del PNRR) e soprattutto quella dei comuni e delle relative società di gestione delle reti e dei servizi pubblici locali che, sommati, raddoppiano da 11,7 a 23,3 miliardi. C’è poi il dato esplosivo del PPP che passa da 5,1 miliardi a 19 (al netto del bando bloccato per la A22).
Il 2026 non si presenta drammatico per il mercato degli appalti, come negli incubi ricorrenti di molti, ma neanche c’è da essere ottimisti o gridare allo scampato pericolo per qualche segno più. E’ fatta di tante luci e tante ombre, tutta da leggere, la fotografia che scatta Cresme Europa Servizi con i dati di bandi e avvisi dei primi dieci mesi dell’anno, in vista del Rapporto congiunturale Cresme che sarà presentato il 3 dicembre a Brescia. I chiaroscuri rendono assai poco significativo il dato complessivo di 68,8 miliardi messi in gara contro i 46,9 del 2024. Bisogna guardarci dentro.
Il tonfo dei bandi e delle gare del settore ferroviario è di proporzioni gigantesche (dai 13,1 miliardi del 2024 agli 835 milioni di quest’anno con una caduta di -93%) ma è poco più di un dato statistico, visto l’impegno di RFI tutto concentrato sul completamento del PNRR. La flessione del numero dei bandi da 256 a 101 è meno drammatico e dice che c’è ancora vita – prevalentemente legata agli appalti di manutenzione – nel gigante ferroviario.
Semmai, nell’area dei segni negativi, fa più impressione l’Anas che non ha il Pnrr e sta per affrontare un altro di quei traslochi, dalle FS al MEF, che certo non porterà accelerazioni sul piano operativo: la società stradale dimezza quasi (-46,3%) la performance dai 3.257 milioni del gennaio-ottobre 2024 ai 1.749 milioni dello stesso periodo 2025. Il forte recupero operativo del 2023-2024 sembra lontanissimo. D’altra parte è l’intero comparto stradale ad andare male: le società miste Anas pesano poco ma perdono molto (-74,9%) mentre i concessionari autostradali passano da 1,8 miliardi tondi a 1.063 milioni, con un -40,9%.
I segnali positivi vengono anzitutto dagli enti centrali di governo e dagli enti territoriali. Sugli enti centrali di governo, che totalizzano ben 24,5 miliardi, pesa il PNRR ancora in modo significativo e soprattutto pesano i 10,2 miliardi di lavori previsti dal bando del ministero delle Infrastrutture per il PF/concessione della A22 del Brennero, poi sospeso per l’altolà europeo. Anche senza questo bando, però, siamo di fronte a un boom, visto che nel 2024 questa categoria di soggetti appaltanti si fermava a 3,5 miliardi. Non è certo un mistero, d’altra parte, il ruolo che Invitalia e Consip hanno assunto in questo mercato, la prima per effetto del PNRR, la seconda per la forte spinta alla centralizzazione e alla qualificazione delle stazioni appaltanti. Bisognerà capire se, soprattutto la prima delle due, manterrà questi livelli anche dopo il PNRR. Un calo sembra del tutto fisiologico.
Il vero segnale positivo per il settore dei lavori pubblici arriva, però, dagli enti territoriali, a partire dai comuni che in questi ultimi due anni si sono rivelati la colonna vertebrale del sistema dei lavori pubblici in Italia, a dispetto di quanto si era detto, spesso a sproposito, nella fase di mezzo del PNRR, quando sembrava che i comuni fossero i responsabili di ogni ritardo. In questo momento la macchina degli appalti dei comuni ha i motori a pieni giri, come conferma il dato di altri 12 miliardi di lavori messi a gara nei primi dieci mesi del 2025, quasi il doppio di quanto accaduto nel 2024, quando la cifra si fermò a 6.343 milioni di euro.
In gran parte all’area comunale va attribuito anche il risultato dei gestori di reti, infrastrutture e servizi pubblici locali che pure raddoppiano da 5.406 a 11.322 milioni. Segnali, questi, davvero incoraggianti sulla vitalità delle economie locali. A maggior ragione se poi si guarda anche al risultato, addirittura più brillante, delle Regioni che pesano meno in valori assoluti ma triplicano gli importi da 2.266 milioni a 6.806. Sempre con l’occhio al 2026 e oltre, bisognerà vedere se il ritorno della priorità data ai conti pubblici produrrà una frenata alla spesa per investimenti.
C’è un altro dato che va letto come fortemente positivo in questa fase, anche se è un dato di non facile interpretazione e dagli esiti per il futuro molto incerti. Va preso con le pinze, quindi. Si tratta del dato sul partenariato pubblico-privato (PPP) che per Cresme Europa Servizi passa dai 5.121 milioni dei primi dieci mesi 2024 ai 26.296 milioni dello stesso periodo 2025, con un incremento che, almeno sulla carta, è del +413%. Anche qui, però, bisogna sottrarre il bando MIT per la A22 che per altro la UE considera illegittimo proprio perché avrebbe voluto affidare la concessione autostradale con il sistema del PPP previsto dal codice degli appalti (diritto di prelazione, ecc.). Togliendo quei 10,2 miliardi, ne resterebbero comunque più di 16, più del triplo della cifra del 2024.
A spingere il PPP – sia nella versione con lo sbocco della concessione di lavori (+40%) sia in quella che punta alle concessioni di servizi o alle società miste (+69%) – c’è sicuramente, in primo luogo, l’assestamento dell’articolo 174 e seguenti del codice degli appalti che, sia pure con una procedura molto più articolata, ha salvato il diritto di prelazione. Gli operatori del settore guardano al PPP (e al diritto di prelazione) come a uno dei possibili sbocchi di mercato dopo la fine del PNRR. Proprio il diritto di prelazione è però sotto attacco dell’Unione europea con un doppio procedimento: quello davanti alla Corte di Giustizia, sollevato dal Consiglio di Stato; e quello avviato lo scorso ottobre dalla commissione UE con la pre-procedura di infrazione relativa proprio all’articolo 174 del codice appalti. Questo getta un’ombra sulla forte crescita dello strumento per quanto riguarda gli anni a venire.
Da notare che non c’è solo il PPP a crescere molto fra quelli che il Cresme chiama “mercati complessi” in opposizione ai “mercati tradizionali” di appalti di soli lavori pubblici. I mercati complessi passano dai 10.977 milioni del 2024 ai 37.339 del 2025 (27.139 senza A22) e una spinta forte arriva dall’altro segmento del facility management (dove si avverte la forte presenza di Consip) che passa 5,8 a 11 miliardi.
Questa forte espansione degli instabili mercati complessi ha come rovescio della medaglia che i mercati tradizionali, più stabili nel tempo, accusano invece una forte riduzione di un quinto del suo valore del 2024: si passa cioè dai 35.947 milioni dello scorso anno ai 28.684 milioni di quest’anno. E questo non è affatto un buon segnale complessivo, anche se gran parte di questa felssione è dovuta ancora al settore ferroviario.
Per tutti questi ragionamenti il dato complessivo di mercato, quei 66 miliardi in crescita rispetto ai 46,9 del 2024, signfica poco o nulla. A maggio ragione se si considera che, sull’ottovolante di questi anni e sotto la spinta del PNRR, nel 2022 eravamo a 85,6 miliardi e nel 2023 a 89,6 miliardi.