I BILANCI SEMESTRALI DI SNAM E TERNA
Italia avanti sulla SICUREZZA energetica grazie agli stoccaggi (+10% su media Ue), i 4 nuovi carichi gnl da Ravenna, il cavo Campania-Sicilia. Ma adesso serve la spinta sulle energie rinnovabili
IN SINTESI
Bicchiere mezzo pieno e quindi anche mezzo vuoto. L’Italia fatica ad uscire dal limbo delle interpretazioni sulla transizione energetica, divisa tra sicurezza di breve periodo e fonti rinnovabili per il medio-lungo: da un lato possiamo stare tranquilli, dall’altro decisamente meno. Vediamo perché.
Sul primo tassello, quello della sicurezza energetica, parlano chiaro i nuovi dati semestrali appena pubblicati da Snam e Terna. Il gruppo guidato da Agostino Scornajenchi ha registrato risultati finanziari in crescita (Ebitda adj in crescita del 5,3% e utile netto adj in crescita dell’8,5% a 750 milioni di euro) ma soprattutto ha messo nero su bianco che il nostro Paese è avanti sulle riserve e le forniture di gas. Infatti, al 30 giugno gli stoccaggi ammontavano intorno a 8,9 miliardi di metri cubi con un tasso di riempimento, incluse le riserve strategiche, al 71%, oltre la media europea del 60%. E’ stato poi già allocato oltre il 90% della capacità di stoccaggio offerta per l’anno termico 2025/2026. E “grazie alle continue azioni di diversificazione delle fonti di approvvigionamento e agli investimenti per la sicurezza degli approvvigionamenti nei diversi Paesi, non si registrano situazioni di discontinuità o criticità di rilievo nel perimetro degli asset internazionali di Snam”. Quanto al gas naturale liquefatto, la messa in esercizio della Bw Singapore di Ravenna (in foto) ha garantito già l’invio di quattro carichi. Più in generale, da inizio anno sono stati rigassificati oltre 3 miliardi di metri cubi di gnl, in aumento del 28% sullo scorso anno.
Gnl e stoccaggi in un contesto critico
Tutto ciò, in un contesto geopolitico a dir poco critico legato alle guerre in corso ma anche alla nuova amministrazione nordamericana a guida Donald Trump, su cui è già in corso il dibattito sui rischi di una eccessiva dipendenza italiana ed europea dalle fonriture d’oltreoceano come contropartita nel dossier commerciale dei dazi e del progressivo-definitivo abbandono del gas russo. Il gas ha “un ruolo centrale nel sistema energetico italiano” e “più che che concentrarci sull’energy transition sarebbe opportuno parlare di energy addition, con maggiore scelta che serve per avere competitività e sostenibilità”, ha detto ieri Scornajenchi in conference call. “La domanda di gas in Italia è aumentata del 6% nel primo semestre del 2025, segnando la prima ripresa in quattro anni – ha spiegato l’ad – L’utilizzo del gas termoelettrico è aumentato del 12%, a dimostrazione del suo ruolo cruciale nel bilanciamento del sistema energetico in un contesto di crescita delle energie rinnovabili. Il gas fornisce la flessibilità necessaria e vitale per mantenere il sistema energetico in equilibrio in un contesto volatile. E questo è uno scenario europeo”. Infine, “nell’offerta di gas vediamo un cambiamento notevole – ha concluso – le importazioni tramite gasdotti hanno rappresentato il 64% delle importazioni (-8% rispetto al primo semestre del 2024), principalmente a causa dei minori flussi da Tarvisio, mentre il gnl rappresenta oltre il 30% delle importazioni di gas in Italia (+32% rispetto al primo semestre del 2024), migliorando la sicurezza e la diversificazione nello scenario incerto odierno”.
Avanza il Tyrrenian Link
Anche dal quadro tracciato da Terna lunedì emerge chiaro il percorso sulle reti e le infrastrutture energetiche. Da inizio anno il gruppo guidato da Giuseppina Di Foggia ha impegnato 1,3 miliardi per “ridurre la dipendenza dall’estero, aumentare la sicurezza energetica nazionale e abilitare la decarbonizzazione”. Uno dei progetti con più recente avanzamento è, per esempio, il Tyrrenian Link (progetto da 3,7 miliardi) con il completamento della posa del primo cavo sottomarino del tratto est Campania-Sicilia: 490 km di cavo elettrico, da Fiumetorto, nel comune di Termini Imerese (Sicilia), a Torre Tuscia Magazzeno, nel comune di Battipaglia (Campania). Così come è stato annunciato l’accordo, sempre a maggio, con la Grecia per una nuova interconnessione elettrica tramite 240 km (su 300 totali) di cavo sottomarino installato a profondità fino a 1.000 metri che andranno a integrare l’attuale collegamento da 500 MW, per garantire una capacità di trasmissione fino a 1.000 MW.
Accelerare la transizione, bene
L’altra metà del bicchiere energetico italiano, però, è meno esaltante. Parlando con il Financial Times, l’ad di Eni Claudio Descalzi qualche giorno fa ha immaginato che solo “dal 2040″ gli utili maggiori del Cane a sei zampe arriveranno dalle attività green. Un orizzonte probabilmente troppo distante sebbene realistico rispetto al quadro attuale. Ma non perché oggi siamo già avanti con la transizione verso le fonti più pulite. Anzi. In una recente analisi dei piani di transizione delle Oil&Gas italiane, il think tank Ecco ha avvertito che le compagnie “godono di garanzie finanziarie e sistemi regolatori consolidati che rischiano di concentrare risorse su strategie e opzioni tecnologiche (tra cui le principali sono il continuo ricorso al gas, la tecnologia ccs, i biocombustibili, l’idrogeno e gli offsets) che alla prova dei fatti risultano rischiose, immature, non significative per la decarbonizzazione e pertanto non credibili”. A discapito del percorso di transizione, appunto. Non facilitato, forse, neanche dalle nuove intese raggiunte con l’Algeria tramite gli accordi Eni-Sonatrach.
Nel dettaglio, il centro studi energetico cita gli scenari Irena sul gnl per cui “con più di 100 miliardi di metri cubi annui di capacità in costruzione entro il 2026, si prevede infatti che i mercati globali del gas liquefatto saranno in eccesso di offerta entro la fine del 2030”. Insomma, bastano i progetti già approvati. Ma, per dirla con l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), è una questione di scenari più o meno accelerati sulla transizione. In ogni caso, pure in uno scenario di transizione moderata due terzi dei progetti attualmente in costruzione rischiano di non riuscire a recuperare l’investimento iniziale. Analogamente, sulla ccs (cattura e stoccaggio di carbonio) ma anche sui biocarburanti, persino l’idrogeno e il sistema dei crediti di carbonio non sono vie troppo sicure per il futuro prossimo ambientale-energetico. Nel primo caso, perché la riduzione delle emissioni è troppo contenuta rispetto al necessario. Nel secondo, perché quei combustibili verdi dovrebbero essere limitati a settori hard-to-abate come l’aviazione e navi, più che diffondersi nel trasporto su gomma. Anche l’idrogeno solleva perplessità, nelle sue diverse forme, per ragioni di elevata incertezza infrastrutturale ma soprattutto economica di un mercato ancora inesistente. Infine, secondo Ecco, sui crediti “le compensazioni dovrebbero riguardare solo le emissioni residue una volta raggiunto il 90% di riduzione e non dovrebbero essere utilizzate per raggiungere obiettivi intermedi o a lungo termine”.
Insomma, la via verso le fonti pulite va chiarita. E l’Italia rimane in ritardo sui progetti fotovoltaici ed eolici per una mancata semplificazione e accelerazione dei progetti (si ricordi il caos in corso dei decreti aree idonee e testo unico), nonché degli aiuti economici come ha ricordato qualche giorno fa la Commissione europea rinnovando la procedura d’infrazione per il mancato recepimento della direttiva Red III. E a proposito di Unione Europea, il nuovo budget proposto da Bruxelles per il 2028-2034 da 1.984 miliardi intende destinare il 35% del totale meno le spese per difesa e sicurezza. Un target superiore all’attuale 30% ma inferiore a quello richiesto dai Pnrr nazionali pari al 37%. Inoltre, ha fatto notare Ecco in un’analisi, “non sono state incluse proposte di nuove risorse proprie per le quali vi sarebbe ampio supporto dei cittadini, legate alla tassazione di settori inquinanti” come aviazione, soprattutto quella di lusso, e gli utili delle società attive nella produzione di combustibili fossili”.
Secondo il documento Onu presentato la scorsa settimana, dal titolo “Misurare il momento opportuno. Dare una spinta alla nuova era energetica delle energie rinnovabili, dell’efficienza e dell’elettrificazione”, ci vorrà tempo affinché “gli impianti esistenti arrivino a fine vita (o siano disattivati prima come molti paesi stanno facendo con quelli a carbone), ma l’efficacia delle politiche e delle tecnologie della transizione va misurata sul nuovo installato, cioè sugli investimenti di oggi”. Inoltre, va considerato che “in media, i tempi di realizzazione dei progetti (pianificazione, sviluppo e costruzione) per il solare fotovoltaico e l’eolico a terra su scala industriale richiedono da uno a tre anni, mentre le centrali a carbone e a gas possono richiedere fino a cinque anni o più, e 10-15 anni per le centrali nucleari”. Su cui, per esempio, punta molto l’esecutivo italiano già oggi pur sapendo di non averlo a disposizione prima della metà del prossimo decennio.