ITALIAN DATACENTER ASSOCIATION
Data center, Italia LENTA: fino a quattro anni e mezzo per attivarli
L’allarme arriva da Alberto Riva, Partner Dc Construction Lead di Emea Microsoft: solo l’iter di autorizzazione dura 29 mesi fino al primo ingresso in cantiere. Ad oggi, inoltre, solo la Lombardia è coinvolta nei progetti. Pesano anche i ritardi di aggiornamento delle strutture della Pubblica amministrazione

IN SINTESI
Provate a pensare al tempo trascorso e soprattutto alle cose accadute da maggio 2020 a oggi. C’era ancora la pandemia, stavamo per uscire dal primo lockdown, le nuove guerre russo-ucraina e israelo-palestinese non erano nel nostro immaginario. Lo stesso lasso di tempo, quattro anni e mezzo, è quello che occorre oggi in Italia per vedere nascere crescere e correre un data center.
4 anni e mezzo per attivare un data center
L’allarme è arrivato senza mezze parole da Alberto Riva, Partner Dc Construction Lead di Emea Microsoft al symposium organizzato dall’Ida, Italian Datacenter Association. I primi 29 mesi sono quelli che servono per tutto l’iter autorizzativo fino al primo ingresso in cantiere; seguono poi 15-18 mesi per la realizzazione effettiva e altri sei per l’attivazione. Tempistiche enormi per veder sorgere infrastrutture che al Nord Europa riempiono intere città fino ad aver già raggiunto il punto di saturazione portando le aziende ad investire nell’area mediterranea. Proprio a inizio di ottobre, Microsoft ha annunciato un investimento da 4,3 miliardi di euro nei prossimi due anni, il più grande in Italia fino ad oggi, per espandere la sua infrastruttura di data center hyperscale cloud e di Intelligenza Artificiale, nonché un piano di formazione per far crescere le competenze digitali di oltre 1 milione di Italiani entro la fine del 2025.
Le inadeguatezze della Pa
Le criticità messe in luce dai tanti relatori interpellati sul palco di Spazio Vittoria. L’Italia è settima per infrastrutture digitali in Europa, pur restando la terza economia del Vecchio Continente. Il potenziale si collega al tema di hub del mediterraneo che il nostro Paese può giocare in relazione all’Africa ma anche all’Oriente. Attualmente, sono 140 i datacenter “aziendali” con circa 300 Mw di potenza installata. Altri 300, quasi, riguardano le strutture della Pubblica aministrazione, dove le inadeguatezze restano enormi. A confermarlo, Andrea Billet – Capo del Servizio Certificazione e Vigilanza dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale -: “Dei 140 datacenter, 125 sono quelli certificati da noi, insieme a 1600 servizi cloud. Ma molti data center della Pa sono inadeguati”. Mancano poi le tecnologie, come le reti mobili di nuova generazione. L’esempio fatto è quello del 5G, attualmente ancora sottosviluppato nel nostro Paese. “L’Italia si sta muovendo [sul fronte autorizzativo e burocratico]” ha osservato ottimisticamente David Blázquez – Public Policy Senior Manager Infrastructure Amazon Aws – ma la strada è ancora molto lunga ha poi sottolineato.
Solo la Lombardia è protagonista
Quanto ai progetti in corso, invece, Laura D’Aprile – Capo Dipartimento Sviluppo Sostenibile del Mase – ha fornito qualche numero: sono 6 le procedure Via, altre 15 quelle in fase di verifica di assoggettabilità. Otto di queste sono concluse e tre sono state archiviate. Tutte, tranne una, riguardano il territorio della Regione Lombardia, solo uno a Roma. Proprio in Lombardia, un territorio fortemente interessato dai data center è il Comune di Settimo Milanese. Dove è attivo il gruppo francese Data4, con 14 strutture da 170 Mw su 20 ettari di terreno includendo anche la zona limitrofa di Cornaredo. “Le regole ce le siamo fatte da soli”, confessa al Symposium Sara Santagostino, Vicesindaca di Settimo Milanese. Spiegando poi che i benefici della zona sono evidenti: la vicinanza della stazione elettrica Terna-Baggio, la morfologia pianeggiante dell’area, non soggetta a eventi geologici traumatici. E l’energia residua può esser riutilizzata per teleriscaldare la zona del milanese dando atto di una prova concreta di economia circolare.
Quali scenari in Italia
Guardando all’Italia, Sherif Rizkalla – Presidente di Ida – ha ricordato come l’associazione italiana rappresenti oggi il 90% delle aziende di tutta la filiera per un fatturato che supera i 5 miliardi di euro. Gli associati sono 150, 5 sono gli accordi con omologhe associazioni estere e altrettanti sono i comitati tecnici attivi. I dipendenti del settore sono oltre 28mila, di cui un terzo diretti e la restante parte coinvolti nell’indotto. Il settore in Italia è cresciuto del 30% ogni anno dal 2021 ma, come detto, per ora è solo il Nord e la Lombardia in particolare ad essere protagonista. Confermati, poi, i 15 miliardi di investimenti nei prossimi anni (2024-2028) dopo alcune precedenti stime dello stesso Ida che parlavano di 7-8 e poi 10 miliardi. Le sfide, allora, per mettere a terra queste risorse sono molteplici e riguardano il percorso di digitalizzazione da intraprendere a livello nazionale, la decarbonizzazione, la gestione della risorsa energia e in generale il percorso di sostenibilità. Come farlo? Per Rizkalla serve un quadro normativo chiaro, rifornirsi a sufficienza di energia e formare quanto più personale possibile.
Nella nuova legge di bilancio, ha aggiunto Federico Eichberg, Capo di Gabinetto del Mimit, sono incluse le nuove tecnologie abilitanti. “Entro due settimane arriva il ddl sulle norme riguardo la velocizzazione della capacità di rete per il trasporto energetico e i codici Ateco ad hoc per i data center”. Quest’anno, ha aggiunto, sono arrivati 9 miliardi di investimenti esteri nel settore. Nella strategia 2024-2026 presentata in estate dall’Agenzia per l’Italia digitale, ricordata ieri dal dg Mario Nobile, vengono messe per iscritto tutte le mancanze attuali del sistema Italia e la necessità di accelerare gli investimenti. Non senza rischi, tra cui la possibile inerzia delle amministrazioni, l’accentuarsi del digital divide, fino al rischio dell’omogeneizzazione.
A proposito di investimenti, lunedì il ministro Urso ha detto – parlando all’assemblea di Assolombarda – che “una multinazionale mi ha detto che vuole investire da sola in Italia 30 miliardi di euro sui data center”. Per ora, sul nome dell’azienda, non si sa nulla. A livello normativo, invece, Giulia Pastorella (Azione) ha ricordato ieri al Symposium di Ida che con il suo ddl sui data center, “che ho presentato con delega al Governo pur stando all’opposizione” si punta a intervenire proprio sulle mancanze italiane in materia. Anche perché, “questo settore è sano, non chiede incentivi” ma solo di investire senza ostacoli e per il bene del sistema nazionale oltre che del proprio operato. In Europa, invece, il percorso per regolare al meglio il settore dell’intelligenza artificiale passa dall’Ai Pact e l’Ai Act. Con la speranza che nuove regole non corrispondano a nuovi ostacoli.