LE NOVITà DAL CONVEGNO ANCE SULLE OPERE PUBBLICHE
Dai ritardi del Pnrr alle aperture sul correttivo, dall’austerità Psb al PPP: le dieci lezioni di Vico
Per il correttivo alta tensione sulla concorrenza ma alla fine si individua una strada che può portare a una maggiore apertura di mercato: niente riduzione delle soglie per le procedure negoziate ma si lavora su informazione preventiva con avvisi al mercato, pubblicazione della lista degli invitati, obbligo di invitare chi si candida a partecipare, informazione successiva anche per verificare l’attuazione del principio di rotazione. Dalle ricerche di Ance e Bankitalia emerge che solo il 7% degli appalti è affidato con gara competitiva, mentre sul fronte del Pnrr i “progetti in essere” sono al 48% di spesa effettiva sul totale e i nuovi progetti sono fermi all’8%.
IN SINTESI
Non stiamo parlando di Giambattista Vico e dei suoi corsi e ricorsi storici, che pure ci starebbero, ma di Vico Equense, località della Costiera dove si è tenuto il convegno annuale dell’Ance sulle opere pubbliche, con il titolo centratissimo e carico di ansia “Oltre il 2026”. Si sarebbe potuto chiamare anche “buio totale” perché la prospettiva oltre il 2026 è questa, soprattutto dopo la lettura del Piano strutturale di bilancio, che prevede una riduzione della spesa pubblica in termini reali senza dare garanzie che si vada a intaccare la spesa corrente; se non fosse che a prendere il sopravvento è stata piuttosto l’ansia per quello che deve ancora accadere da qui al 2026. Si aspettavano lumi sul correttivo appalti, prossimo alla diramazione, e sullo stato reale del Pnrr e va detto che qualche apertura, sia pure con il contagocce, è arrivata. Ma andiamo per ordine.

Concorrenza, le soglie non si toccano ma arriva l’apertura di Griglio
Per il secondo anno consecutivo (l’anno scorso fu a Vicenza) il centro del dibattito è stato il decreto correttivo del codice appalti e per il secondo anno consecutivo la protagonista è stata Elena Griglio, capa dell’ufficio legislativo del ministero delle Infrastrutture, donna tosta e giurista capace, molto franca, leale con la sua missione e capace di tenere il punto rispetto alle pressioni, ma anche di saper indicare aree per una possibile soluzione o mediazione.
Nel 2023 disse “il correttivo non si farà prima di un anno”, stupendo la platea che si aspettava provvedimenti a breve, ma dicendo tutta la verità contro ammiccamenti e allusioni della politica. Quest’anno ha tracciato con determinazione e franchezza encomiabile quel che sì, si farà, da quel che no, non si farà, certo non potendo raccontare tutto quello che bolle in pentola, ma indirizzando la discussione almeno sugli aspetti fondamentali della partita. E all’obiezione di voler fare “un correttivo minimalista” ha risposto quasi furiosa che “le farei vedere la mole di lavoro massacrante che stiamo facendo e che, le assicuro, non è affatto minimalista”. Onore al lavoro serio.
Ma andiamo al punto, anzi ai punti. Il più spigoloso è quello della concorrenza: “Le soglie non si toccano”, hanno detto il sottosegretario al Mit Tullio Ferrante e la stessa Griglio, con riferimento soprattutto alla soglia europea di 5,5 milioni di euro sotto la quale è legittimo appaltare con una procedura negoziata senza avviso. Il 75% del numero di appalti dell’ultimo anno sono vissuti e cresciuti in questo buio totale, uno scandalo che si porta via qualunque parvenza di concorrenza e mercato (il dato è di fonte Cresme, ma è confermato e anzi ulteriormente aggravato dallo studio Bankitalia-Ance di cui si dirà più avanti).
La posizione di Griglio sulle soglie era stata già espressa con chiarezza all’incontro del ministro Salvini con gli stakeholder di martedì scorso. Ma dopo mezz’ora di dibattito ad altissima tensione sulla concorrenza, pressata da tutti i lati, Griglio ha gettato sul palco di Vico l’apertura importantissima su cui presumibilmente si sposterà ora tutto il dibattito: “Anche senza toccare le soglie ci sono strumenti che possono alzare il livello della concorrenza, agendo sull’informazione preventiva, pubblicando la lista degli invitati e invitando chi si candida a partecipare. Vediamo su quali di questi fattori si può agire”. Tre aspetti che possono contribuire a rendere meno odiosa la proceduta negoziata che nel 90% dei casi oggi è senza preavviso e con inviti limitati che la stazione appaltante indirizza a chi vuole, senza criteri né obblighi.
Se alla procedura negoziata – almeno sopra certe soglie – venisse associato un obbligo di comunicazione preventiva con un lasso di tempo ragionevole, la possibilità concreta per le imprese di chiedere di essere invitati, l’obbligo per la stazione appaltante di invitare tutti o una quota consistente delle imprese che si candidano, una informazione consuntiva che consentisse di verificare con dati ufficiali il rispetto del principio di rotazione, allora forse della procedura negoziata resterebbero solo le cose buone (minore rigidità formale e tempi più brevi) senza inquinare totalmente il mercato dei lavori pubblici.
La strada indicata è questa e su questa si sta già lavorando.
La mediazione virtuosa di Mazzetti e Busìa
La conferma arriva da quelli che sul palco di Vico Equense sono sembrati i due grandi mediatori sul tema della concorrenza: Erica Mazzetti. parlamentare di Forza Italia, presentatrice della prima risoluzione sul correttivo, deputata che spesso dà la linea, anche dentro la maggioranza, su questi temi; e Giuseppe Busìa, presidente dell’Anac, che non ha mai fatto un passo indietro rispetto alla sua missione di garantire trasparenza, anche quando c’è stato da litigare di brutto con il governo (per esempio sul Ponte sullo Stretto), ma che da qualche tempo enfatizza “la collaborazione con il ministero delle Infrastrutture” che evidentemente porta migliori risultati in termini di output normativi.
Dice Erica Mazzetti: “Il codice è da migliorare e non da stravolgere” e annuncia il tentativo, che farà già questa settimana, di fondere le quattro risoluzioni parlamentari presentate e discusse (ma c’è in arrivo anche la quinta, del Pd): “Presto faremo la sintesi per la risoluzione sui correttivi del codice appalti da consegnare a governo”. Se la Lega, con le parole di Zinzi si sfila, le altre forze politiche sembrano starci. Mazzetti vede il bicchiere mezzo pieno. “Abbiamo dato delle risposte concreto a un mondo, quello delle costruzioni, che le stava aspettando da tempo e andremo avanti su questa direzione”. “I lati positivi del nuovo codice – ha puntualizzato – superano quei pochi negativi emersi in questo anno e mezzo dall’entrata in vigore; non solo, li stiamo superando con i giusti correttivi, fermo restando che i principi, come l’apertura al mercato. È il caso delle soglie di trattativa negoziale che non cambieranno nelle cifre, ma magari potrebbero cambiare nella modalità, con rotazione effettiva e reale pubblicità, con tutti i mezzi fra i quali i giornali e la volontaria candidatura dell’impresa alla stazione appaltante”
Prima ancora di Mazzetti era stato Busìa a destare una certa sorpresa sostenendo che “oltre le soglie ci sono altri strumenti per garantire una maggiore concorrenza”. Sorpresa perché la posizione del presidente Anac era stata sempre dura e pura sulle soglie della negoziata, ma la sua frase ha rivelato alle orecchie più fini il lavoro sotterraneo che evidentemente sta già facendo con Griglio per valorizzare quegli strumenti alternativi che possono garantire comunque maggiore partecipazione delle imprese alle procedure di selezione. Mazzetti prima e Griglio dopo confermeranno questo proficuo lavoro fuori dai riflettori.
Busìa ha messo in campo anche un altro concetto fondamentale. “Attenzione – ha detto rivolto al governo – perché oggi abbiamo un’abbondanza di lavori che lasciano molto tranquille le imprese, ma quando fra due o tre anni questo scenario sarà archiviato, l’assenza di una adeguata concorrenza potrebbe scatenare una competizione esasperata fra le imprese per prendere i lavori”. Non sia mai che torniamo a 300 imprese in una gara e a ribassi del 30-40%.
La posizione Ance: sempre cara mi fu la battaglia sulla concorrenza (e sulla revisione prezzi)
Ance non arretra di un centimetro nella battaglia durissima per la concorrenza (c’è anche il tema dei settori speciali completamente sottratti a procedure di trasparenza e concorrenza) e bisogna dare atto al vicepresidente Schiavo e alla presidente Brancaccio di aver spostato una linea coraggiosa perché dalla vigilia e dalle prime battute del convegno il rischio di alzare la bandiera e non portare a casa nessun risultato concreto era molto alto. La battaglia continua ora alla ricerca del massimo risultato possibile anche dopo la fine del convegno, tanto è che Brancaccio ribadisce – nelle conclusioni – oltre ai “passi avanti” anche la profonda “insoddisfazione” per i risultati ottenuti e per la prospettiva che resta molto nebulosa non solo oltre il 2026, ma anche fino al 2026. Però il risultato di aver aperto alcuni sentieri da percorrere per migliorare davvero l’impianto, quello c’è.
Girando fra i tavoli dove ci sono tecnici e imprenditori, dopo il convegno, si distinguono, più di prima, luci e ombre. Chi ha colto l’apertura di Griglio sui lavori sottosoglia, l’apprezza e la considera un punto di partenza, a condizione che questo spiraglio si allarghi e diventi una reale leva di trasparenza, senza ripiegamenti o giochetti al ribasso. Una soglia intermedia che garantisca per le opere più grandi dai 2,5-3 milioni fino a 5,4 milioni di euro la garanzia di partecipazione delle imprese alle selezioni sarebbe considerato un buon punto di arrivo. Ma tutti aspettano di vedere le buone intenzioni declinate sulla carta del testo che sarà condiviso solo dopo una prima approvazione del Cdm, ha spiegato il vicedirettore vicario del Dagl di Palazzo Chigi, Angelo Vitale.
Apprezzato anche il lavoro sulla revisione prezzi su cui l’Ance – come ha ribadito la stessa Griglio ringraziando le strutture dell’associazione – ha lavorato molto bene al tavolo ministeriale, portando a casa di fatto un impianto che, almeno sulla carta, sembra molto solido. Resta da tradurlo in un allegato al codice e in qualche correzione dell’articolo 60. Uno spiraglio si vede anche sulla soglia del 5% che fa scattare la revisione prezzi: l’Ance vorrebbe che quel 5% fosse pure sottoposto a revisione, la norma di legge sembra andare in quella direzione, ma non la relazione introduttiva del codice (che ipotizza la revisione solo per la parte sopra il 5%) né l’interpretazione che ne stanno dando le stazioni appaltanti. Il ministero sembra voler difendere il principio che la revisione si fa solo sopra ma il punto di caduta potrebbe essere in una riduzione della soglia da 5% a 3%. Si stanno facendo al tavolo tecnico simulazioni per capire in termini quantitativi che cosa significa questo.
Le altre correzioni al codice: i dieci punti di Salvini
Sugli altri aspetti da correggere del codice degli appalti, la questione più pressante – ha confermato Griglio – è l’equo compenso “in cui le posizioni sono spaccate a metà e noi dovremo trovare una soluzione di bilanciamento che consenta di far convivere i due principi, da una parte c’è una legge dello Stato che va applicata, dall’altra una selezione imposta dall’Unione europea che va applicata anche ai progetti”.
Per il resto Griglio si è limitata a dire che “le correzioni riguarderanno i dieci punti indicati dal ministro Salvini”. Allora è bene ricordarli, sull’indicazione che arriva dalla stessa Griglio: oltre all’equo compenso e alla revisione prezzi, i punti su cui certamente si interverrà sono il contratto collettivo nazionale di lavoro (per aiutare le stazioni appltanti con apposite linee guida a individuare correttamente il contratto prevalente), la digitalizzazione, la qualificazione, il capitolo dell’esecuzione (in prospettiva si pensa anche a un “manuale dell’esecuzione che però non è questione di oggi”), PMI, i consorzi, i comitati consultivi tecnici (con una riduzione dei costi) e il project financing/Ppp che sarà riscritto d’intesa con la commissione Ue.
Il nodo del decreto aiuti
Un punto su cui la preoccupazione dell’Ance è massima è il decreto aiuti. Qui Brancaccio molla alcuni fendenti ricordando come ancora debbano arrivare le quote del 2022 e sull’assenza di risorse per il 2025 ripete che “i cantieri rischiano di chiudere”. La vicenda del 2022 è nota, ora si punta a un emendamento che trasferisca la responsabilità sull’assegnazione delle risorse dagli uffici ministeriali (che stanno bloccando le autorizzazioni) alla stazione appaltante che dovrà richiedere la provvista per l’adeguamento. Ma la preoccupazione è alta per il 2024, che ha poca cassa a fronte delle soluzioni di competenza che sono state trovate nell’assestamento di bilancio, e massima per il 2025 dove al momento non ci sono risorse. “Giorgetti si è limitato ad alzare il sopracciglio quando ho fatto presente la gravità del problema all’incontro con le parti sociali sulla legge di bilancio”, ha rivelato Brancaccio. Sarà la solita battaglia di fine anno, anche lo scorso anno si partì da livelli di finanziamento molto bassi.
Pnrr: progetti in essere al 42% di spesa effettiva, nuovi progetti fermi all’8%
L’ufficio studi dell’Ance ha realizzato una ricerca, che è stata presentata dal vicepresidente Piero Petrucco, nella sessione di sabato mattina dedicata al Pnrr; fa il punto effettivo e realistico dello stato dei lavori del Pnrr. Per ottenere questo risultato, andando oltre i dati ufficiali delle Relazioni del governo ancoranti ai dati Regis sempre in ritardo, Ance si è avvalsa dei dati delle casse edili, sovrapponendo, opera per opera, appalto per appalto, ai dati ufficiali di governo, quelli della spesa effettiva per la manodopera. In questo modo Ance fa un passo avanti rispetto ai bandi di gara e alle aggiudicazioni, scovando come molte delle opere aggiudicate siano ancora ferme e, viceversa, alcuni cantieri dati per fermi dai dati ufficiali siano già in moto. Il lavoro è stato svolto con la collaborazione di Bankitalia.
Il risultato, aldilà degli aspetti metodologici, è davvero importante ed evidenzia come i “progetti in essere” (cioè le opere inserite nel Pnrr per avere i finanziamenti ma che erano già in corso e in molti casi cantierizzate, come le opere dell’Alta velocità Brescia-Padova, Terzo valico e Napoli-Bari) stanno procedendo con un discreto ritmo, essendo arrivate al 42% della spesa prevista. Hanno tenuto il passo nonostante le difficoltà di aumento dei costi, ma la strada davanti è ancora lunga, visto che sono stati spesi 9,2 miliardi circa e ne mancano da spendere 12,7.
Situazione invece molto più problematica per i “nuovi progetti” che partivano da zero o, quanto meno, erano allo stato progettuale, ma non erano stati ancora finanziati (“in essere” e “nuovi” sono criteri legati proprio all’aspetto finanziario e di cantiere). Questi progetti sono fermi all’8% di spesa., appena 4 miliardi e ne mancano 46. Le torte che riportiamo qui sotto sono largamente esplicative.

Mocetti (Bankitalia): riduzione della concorrenza e ritardi del Sud sul Pnrr
L’altro studio importante del convegno lo ha presentato Sauro Mocetti, capo della divisione Economia e Diritto della Banca d’Italia (ancora nella sessione conclusiva di sabato sul Pnrr). Anche questo è uno studio realizzato in collaborazione con l’Ance e anche questo utilizza largamente i dati delle casse edili per riportare al vaglio della realtà effettiva dati di monitoraggio istituzionale spesso molto parziali (nella ricerca c’è anche una parte dedicata alla fase molto critica attraversata da Anac rispetto al monitoraggio delle aggiudicazioni prima che cominciasse a produrre effetti positivi la digitalizzazione). La ricerca è divisa in due parti: la prima è dedicata alla concorrenza nel mercato degli appalti ordinari, la seconda ancora all’attuazione del Pnrr. Il dato più significativo della prima parte della ricerca è riassunto nel grafico pubblicato qui sotto: in azzurro le gare competitive, in verde le procedure negoziate, in rosso gli affidamenti diretti. Come si diceva sopra, anche questa ricerca conferma che la quota delle “gare competitive” è ridotta nella prima parte del 2024 ai minimi storici, appena il 7%, contro il 24,2% di procedure negoziate e il 68,9% di affidamenti diretti. Quindi anche peggio del dato che era stato utilizzato nel dibattito del giorno prima sul codice appalti.

Le conclusioni più importanti della seconda parte della ricerca riguardano la fotografia dei cantieri avviati e non avviati delle opere del Pnrr, il dettaglio del dato sintetico tracciato da Petrucco. I lavori non avviati ammontano al 53%, quelli avviati al 47% (di cui il 15% completati, il 9% in tempo e il 23% in ritardo). Gli scostamenti fra area e area (come si evince dal grafico pubblicato qui sotto) sono limitati, con il Sud in leggero, ulteriore ritardo.

Dove però le differenze territoriali emergono molto evidenti è quando si lascia il resoconto generale e ci si concentra sulle sole opere di importo superiore a 5 milioni di euro. In questo quadro, rappresentato dal grafico pubblicato qui in basso, la media nazionale evidenzia anzitutto un maggiore ritardo con il solo 10% di opere avviate e il 2% completate (la somma delle due voci fa la metà del dato generale per tutte le opere), mentre il dato territoriale evidenzia una quota di opere non ancora avviate nettamente superiore al Sud (61%) rispetto alla media nazionale (48%) e al Nord-Est che con il 37% è l’area che fa meglio.

Ciferri: no all’ossessione della spesa, criticità effettive sui pagamenti
Al dibattito è intervenuto anche Davide Ciferri, capo della task force per il Pnrr del ministero delle Infrastrutture, che ha rigettato una lettura dei ritardi del Pnrr centrati sulla “ossessione” della spesa effettiva, “tanto più se questa avviene su dati aggiornati con grande ritardo come quelli di Regis”. “Il grande cambiamento culturale e metodologico introdotto dal Pnrr – ha detto – è nell’aver definito obiettivi basati non sulla spesa effettiva ma sulle performance prodotte da riforme e investimenti. L’unico parametro che in questo momento conta per dire se il Pnrr sia in tempo o in ritardo è il raggiungimento di target e milestones assegnati all’Italia. E, come sapete, su questo punto siamo i migliori in Europa”. Un aspetto su cui invece Ciferri ha riconosciuto gravi difficoltà, a partire da procedure ridondanti, è quello dei ritardi sul circuito finanziario che non riesce a portare a pagamenti verso i fornitori in tempi più rapidi (è anche un obiettivo del Pnrr).
Il PSB e i timori di ritorno dell’austerità
Nel dibattito sul Pnrr di sabato mattina su “oltre il 2026” è entrato, giocoforza, il Piano strutturale di bilancio, appena pubblicato dal sito del Mef dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri di venerdì. La discussione si è concentrata sulla forte frenata della spesa pubblica, con tassi di incremento annuale nominale della spesa pubblica compresi fra 1 e 1,5 per cento annui che equivalgono a una riduzione della spesa in termini reali. Con forza è echeggiata la parola “austerità” o “nuova austerità” con i rappresentanti delle opposizioni all’attacco. Per Antonio Misiani (Pd), “il Psb ci condanna alla stagnazione” ed è “totalmente privo di idee sulla crescita che si vuole e sugli investimenti necessari per averla”. Inoltre, bisognerebbe partire da una “operazione verità sul Pnrr per svolgere un’analisi seria e decidere le misure necessarie per superare le criticità”. Il Pd è pronto a dare una mano – lo stesso concetto espresso il giorno prima dalla capogruppo alla Camera, Chiara Braga, dicendo di non voler puntare allo “stravolgimento2 del codice appalti ma a un suo miglioramento – ma il governo non può far finta che non esistano problemi. “Sulla rigenerazione edilizia si fa finta che si possa non fare e sul contributo dei capitali privati c’è pure povertà di idee”. Anche Agostino Santillo (M5S) attacca il governo per il silenzio sui grandi temi strategici che dovrebbero garantire una spinta alla crescita. “Si fa finta di niente quando l’Istat rivede il Pil in aumento di 90 miliardi nel triennio 2021-2023 e lo attribuisce in grandissima parte al Superbonus. A garantire la crescita e anche una diminuzione del rapporto debito/Pil è stata soprattutto la cessione dei crediti di imposta”.
Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, dice invece di vedere “un certo ottimismo nei numeri che sono stati presentati a partire dall’aggiudicazione di appalti per 100 miliardi l’anno nel 2022 e 2023”. Non nega che il tema del dopo-2026 si debba affrontare e che lo si debba fare anche nell’esame del Psb, ma nega decisamente che si voglia tornare a una nuova austerità.
Tutti al lavoro sul Ppp, l’impegno di Scalera (Invimit) sul dialogo competitivo
L’aspetto che ha incassato la maggiore unanimità è probabilmente la necessità di lavorare a una riforma del Ppp con l’obiettivo di favorire la partecipazione dei capitali e dei progetti privati alle iniziative relative a infrastrutture e rigenerazione urbana. Stefano Scalera, amministratore delegato di Invimit, è convinto che per favorire un terreno di dialogo fra pubblico e privato sia necessario anzitutto attivare tutti gli strumenti che anche il nuovo codice degli appalti mette a disposizione e che non sono mai partiti “perché la Pa ha un atteggiamento conservativo”. L’esempio che fa Scalera è quello del “dialogo competitivo”, annunciando che “Invimit si propone come obiettivo di mettere in moto questo strumento”.