IL DDL CONCORRENZA
L’Autorità dei trasporti: LEGARE concessioni a investimenti
Secondo l’Autorità, la rigidità della previsione sulla durata di 15 anni “è da valutare attentamente, soprattutto in riferimento alle concessioni greenfield, per le quali l’imposizione di un limite temporale potrebbe comportare la formazione di un valore di subentro eccessivamente elevato e pertanto suscettibile di generare una barriera all’ingresso di nuovi operatori”. D’accordo anche la Conferenza delle Regioni. L’Anac chiede l’estensione dell’applicabilità alle Regioni
IN SINTESI
Dopo i rilievi dell’Ance, anche l’Art e la Conferenza delle Regioni sostengono che sulle concessioni vanno considerati gli investimenti programmati. L’occasione è stata il nuovo giro di audizioni in commissione Ambiente alla Camera sul ddl Concorrenza dopo quelle della scorsa settimana. Venerdì, invece, alle 12 è fissata la scadenza per presentare gli emendamenti.
L’Art: durata di 15 anni rigida, salvaguardare concessioni greenfield
“Suscettibile di approfondimento la previsione all’articolo 10 per la quale la durata delle concessioni non può superare i 15 anni, derogabile solo nel caso in cui il concedente intenda affidare in concessione la realizzazione di lavori di durata superiore ai 15 anni. La rigidità di tale previsione è da valutare attentamente, soprattutto in riferimento alle concessioni greenfield, per le quali l’imposizione di un limite temporale potrebbe comportare la formazione di un valore di subentro eccessivamente elevato e pertanto suscettibile di generare una barriera all’ingresso di nuovi operatori”. Con queste parole pronunciate in audizione, Giovanna Orlando – capo di gabinetto dell’Autorità per la regolazione dei trasporti (Art) – ha posto l’accento sul tema della relazione tra durata delle concessioni e fattore investimenti. “Il termine dovrebbe essere proporzionato agli investimenti programmati e derogato nel caso in cui il valore delle opere realizzate e non ammortizzate possa compromettere la contendibilità del successivo affidamento”, ha spiegato, pur giudicando “positivamente” la riforma relativa alle nuove concessioni.
Ciò che va fatto, secondo l’Autorità, è “esplicitare il carattere vincolante del parere Art ai fini di una maggiore chiarezza dei ruolo” e “introdurre adeguati strumenti di enforcement, che potrebbero essere individuati nel riconoscimento della legittimazione dell’Art ad agire per promuovere l’ottemperanza rispetto alle proprie attribuzioni in ambito autostradale”. Su questo, l’Autorità “propone di mutuare quanto già previsto per l’Agcm e per l’Anac”, cioè di emettere – in caso di conoscenza dell’adozione di un atto potenzialmente illegittimo – un parere e adire il giudice amministrativo se la Pa non vi si conforma entro un certo termine. Questo, secondo quanto relazionato da Orlando, consentirebbe “alla Pa di agire in autotutela”. Infine: “Per quanto riguarda le concessioni in essere, dal combinato disposto dell’art 14 e dell’art 16 comma 6, l’attuale procedimento di aggiornamento e revisione delle convenzioni autostradali verrebbe applicato alle concessioni in essere fino alla data di scadenza dell’ultima in vigore, ovvero al momento fino al 2065. Da ciò consegue la necessità di intervenire su questo iter procedimentale, per il quale sono state ravvisate criticità sul recepimento della regolazione dell’Autorità, dal punto di vista del grado di adeguamento al parere di sua competenza e della sovrapposizione di soggetti con competenze analoghe con il possibile prolungamento dei tempi”. Orlando, quindi, ha ricordato come la regolamentazione dell’Art abbia fino a oggi trovato solo parziale applicazione.
Busia (Anac), monito su contrazione degli ambiti di intervento del ddl. Applicabilità anche alle Regioni
Plauso generale ma non particolare anche dall’Anac, audito in commissione con il presidente Giuseppe Busia. “Molto bene che si sia rispettato il termine annuale, indubbiamente questo comporta una contrazione dei contenuti, con ambiti di intervento molto più ridotti che in anni scorsi. Probabilmente alcuni contenuti anche relativamente ai contratti potrebbero essere elementi aggiuntivi che il Parlamento potrebbe inserire, evitando che con la legge sulla concorrenza si incentivi qualche cosa e con l’altra mano – si sta lavorando a un correttivo del codice dei contratti – si mantengano elementi su cui si sono fatti passi indietro sulla concorrenza”. Per l’Autorità nazionale anticorruzione, “sulle concessioni autostradali esprimiamo un generale apprezzamento sull’intervento, ma attenzione agli ambiti di applicazione. In termini di concessioni si parla solo del Mit, occorrerebbe estendere l’ambito di applicabilità anche alle Regioni e agli altri concessionari pubblici per consentire un’armonizzazione del settore”.
Un altro richiamo è stato poi quello al codice dei contratti: “Giustamente si dice che è possibile ricorrere all’in house, ma attenzione, perché questo significa sottrarre al mercato”. Ha ricordato Busia che “esisteva una lista e una verifica che la nostra Autorità faceva sugli in house. Sarebbe utile riprendere questo schema che si faceva con il vecchio codice, ove non fosse possibile almeno inseriamo criteri di pubblicità, motivazione rafforzata e nel caso in cui ci siano elementi di maggiore allontanamento dai criteri generali un potere che noi come Autorità abbiamo in altri ambiti di avere la legittimazione per portare in giudizio l’atto, cioè di impugnare l’atto di fronte al Tar”. Tra la nuova gara e lo scorrimento, in caso di mancata sottoscrizione, Busia ha spiegato che “sarebbe preferibile indicare subito lo scorrimento, altrimenti si ricadrebbe in proroghe. Occorre rivedere il divieto di revisione dei prezzi, mentre sulla durata delle concessioni è stato giustamente indicato il termine di 15 anni. Sarebbe utile eliminare la deroga nel caso in cui i lavori durino di più: si possono dividere in lotti e quindi si può prevederlo”. Infine: “Sui dehors invieremo ulteriori elementi nel segno di maggiore trasparenza. Non capiamo che le proroghe siano una necessità, l’emergenza è passata e bisogna tornare alla normalità”.
La difesa delle Regioni
Intervento difensivo anche quello della Conferenza delle Regioni, per cui quelle interessate dalla norma “sono concessioni autostradali di interesse nazionale, cioè si vuole salvaguardare l’autonomia regionale nelle concessioni di tratte di interesse regionale o subregionale”. A parlare è stato Fulvio Bonavitacola, vice presidente della Regione Campania e coordinatore della commissione Infrastrutture, Mobilità e Governo del territorio della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome: bisogna che “sia consentito il ricorso allo strumento della finanza di progetto”. Sul termine quindicennale delle concessioni, invece, la linea è quella già sentita da altre campane: “E’ da ritenersi congruo in riferimento a concessioni di esclusiva gestione. Comprenderete che una durata quindicennale rispetto alla realizzazione di una nuova tratta, cioè di un’opera ex novo, sarà sicuramente insufficiente. Nel caso di realizzazione di opere nuove riteniamo debba consentirsi una durata più ampia”.
Per le Regioni, poi, va “inserita una previsione che mira a introdurre un parere delle Regioni per consentire alle stesse di esprimersi sul piano nazionale degli investimenti autostradali. Ci sembra il minimo sindacale”. Per Bonavitacola, “questo Paese va per compartimenti stagni, le ferrovie per conto loro, le autostrade per conto loro, gli aeroporti per conto loro. Questo è sbagliato in generale, ma in materia di infrastrutture e di trasporti è addirittura allucinante, perché le reti sono l’interconnessione per antonomasia. I diversi soggetti devono poter dialogare tra di loro”, ha concluso.
Le richieste di Asso, Fipe e Confapi
In audizione, sono stati poi sentiti tra gli altri i rappresentanti di Asso Fipe e Confapi. Per Diego Pizzicaroli – presidente di Asso – “in merito all’eventuale messa a gara degli accreditamenti” farlo “vuol dire non solo mettere a rischio l’aspetto imprenditoriale sostenuto o nell’acquistare una struttura immobiliare e attrezzarla o costruirla, affittarla e renderla idonea ai servizi, ma vuol dire anche privare il territorio soprattutto periferico di strutture esistenti di piccole e medie dimensioni”.
Per la Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, sul giudizio severo “sulla scarsa concorrenzialità del nostro sistema distributivo” pesa l’indicatore a due fattori composto da “restrizioni all’apertura (che pesano il 60%) e le restrizioni all’operatività delle imprese, come orari e sconti (che pesano il 40%). L’attribuzione di un peso così diverso ai due parametri penalizza il nostro Paese, che è l’unico ad aver liberalizzato gli orari. Finché la distorsione non sarà corretta resteranno gli inviti della Ue che noi consideriamo esagerati”. Secondo Roberto Cerminara, intervenuto per la Fipe, “ormai il 25% del costo delle bollette che pagano le nostre imprese è costituito dagli oneri di sistema e vorremmo proporvi di utilizzare questo ddl per cercare di trovare una soluzione che, senza scaricare il costo sulla fiscalità generale, che sarebbe controproducente, invece utilizzi modalità alternative, come un diverso utilizzo dei proventi delle aste Co2”.
Infine, per la Confapi – Confederazione italiana della piccola e media industria privata – “normative al passo con i tempi e tra loro coordinate possono assicurare lo sviluppo di start-up e pmi innovative, che possono contribuire a contrastare la fuga di cervelli dal nostro Paese. L’articolo 24 introduce tuttavia un obbligo di capitale sociale minimo fissato a 20mila euro già a decorrere dal secondo anno di iscrizione dell’azienda nella sezione speciale dedicata del registro delle imprese e l’assunzione di almeno un dipendente. A nostro avviso è un irrigidimento eccessivo della disciplina. Suggeriamo di estendere l’obbligo al quadriennio per agevolare la crescita, anche perché stride con quanto accade in altri Paesi Ue”. Per la responsabile legislativa della Confederazione, Stefania Multari, è “condivisibile l’introduzione di un regime diverso che amplia il novero degli incubatori certificati, ma questo tipo di incubatori rischierebbero di non avere le stesse agevolazioni rispetto ai già esistenti, per cui bisognerebbe rendere più uniforme la normativa”. Servono incentivi “volti a favorire un ecosistema innovativo in cui le imprese possano fare ricerca e innovazione acquisendo la collaborazione delle start-up”.