REF RICERCHE

Colonnine, Europa DISEGUALE. Bene solo Germania, Francia e Olanda

Sono loro gli Stati che possiedono oltre la metà del parco circolante elettrico nel Vecchio Continente e, inoltre, superata una determinata soglia di diffusione, il numero di punti di ricarica pubblici installati non cresce di pari passo con le auto. A settembre scorso, nel nostro Paese, se ne contavano 60.339 (+28% sul 2023) ma per via di una domanda di servizio ancora bassa i costi di investimento non risultano ancora ammortizzati.

12 Gen 2025 di Mauro Giansante

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La transizione verso una mobilità elettrica e quindi decarbonizzata è in corso ma il traguardo è tutt’altro che dietro l’angolo. Tanto in Italia quanto in tutto il resto d’Europa. L’ultimo position paper di Ref Ricerche lo spiega bene: “il numero di utenti che passeranno a veicoli elettrici sarà limitato fin quando non sarà disponibile un’infrastruttura di ricarica pubblica omogenea, capillare e idonea a soddisfare le necessità dell’utente finale”. Questo sul fronte della domanda. Dal lato dell’offerta, allo stesso tempo, c’è un limite che riguarda “gli operatori per poter effettuare investimenti in infrastrutture necessitano di maggiori certezze circa la diffusione dei veicoli elettrici e il recupero dei costi”.

La situazione attuale vede l’Ue ancora distante dagli obiettivi fissati a livello comunitario (regolamento Afir, rete Ten-T, Green Deal, direttiva Red III): “i Paesi europei con il maggior numero di veicoli elettrici sono Germania e Francia, che insieme possiedono il 51% di tutti gli EV in Europa. Seguono Svezia, Italia, Paesi Bassi e Spagna con più di 200.000 veicoli elettrici. Dal lato delle infrastrutture i paesi trainanti sono Paesi Bassi, Germania e Francia”.

 

Le curve rappresentate nei grafici qui sopra evidenziano un elemento messo ben in evidenza dall’analisi di Ref: superata una determinata soglia di diffusione, il numero di punti di ricarica pubblici installati non cresce di pari passo con le auto. Nel 2024, Acea – l’associazione dei manifatturieri dell’automotive europeo – ha stimato che rispetto ai 3,5 milioni di punti di ricarica da installare al 2030 per decarbonizzare del 55% i trasporti leggeri ne occorreranno 5,3mln in più. Fino ai 18,8 milioni nel 2035. A fine 2023 eravamo a 632.423 mila.

L’Italia procede sempre meglio ma ancora a un passo troppo lento. I dati di gennaio 2025 di Motus-E, citati dal paper di Ref, dicono che a settembre scorso abbiamo registrato un +28% negli ultimi dodici mesi arrivando a toccare quota 60.339 punti di ricarica. Di questi, 1.057 si trovano in autostrada. Secondo il laboratorio di ricerca, sono numeri “incoraggianti ma non sufficienti: solo il 42% delle aree di servizio autostradali è dotato di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici. Il tasso di crescita dei BEV immatricolati non rispecchia lo stesso ritmo delle infrastrutture di ricarica: a dicembre 2024 i veicoli con motore esclusivamente elettrico in circolazione si attestavano a 277.36514, ma nell’ultimo mese le immatricolazioni risultano essere inferiori rispetto allo stesso periodo del 2023, con un calo del 13,95%”.

A frenare il progresso nelle installazioni di infrastrutture di ricarica elettrica sono i costi di investimento e la loro incidenza sul prezzo offerto. Dice Ref: “La stragrande maggioranza delle colonnine sono state installate nel corso dell’ultimo triennio e, anche data la limitata domanda per il servizio, sono infrastrutture i cui costi di investimento non sono stati ammortizzati dal punto di vista finanziario”. Bisogna, insomma, agire sul fattore “utilizzo annuo”.

Rispetto alle prerogative europee, rispetto alla Red III bisogna implementare pienamente quanto richiesto, cioè stimolare nuovi incentivi per chi offre i servizi di ricarica. Dal lato della domanda, invece, occorre operare “attraverso la defiscalizzazione delle flotte aziendali elettriche quale strumento per sviluppare un parco elettrico congruo con gli obiettivi di decarbonizzazione”. Una soluzione, quest’ultima, già efficace nei tre Paesi messi meglio sulle infrastrutture di ricarica (Paesi Bassi, Francia e Germania). Ancora, sul fronte dei prezzi serve maggior trasparenza e anche interoperabilità tra fornitori di ricarica, nonché l’introduzione di un codice di condotta per garantire pratiche eque. Noi cittadini, invece, secondo la ricerca dovremmo essere accompagnati alla transizione con campagne educative più impattanti. A raffigurare bene lo stato delle cose in Italia, sul fronte degli investitori, sono i bandi indetti dal Mase con pochi partecipanti per via di normative poco chiare, processi burocratici lenti, incentivi poco attrattivi e tempistiche lunghe per le autorizzazioni. I canali su cui intervenire, allora, sono tutti economici, fiscali, commerciali. Qualcosa è stato proposto da Arera. Lavori in corso, potremmo dire, ma nel frattempo la transizione latita.

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