IL SEMINARIO ANCE con il governo SUL CORRETTIVO
Correttivo: chiusura sulla concorrenza, piccoli spiragli sulla revisione prezzi, grande caos sul contratto
Il 18 dicembre è previsto il parere delle commissioni parlamentari, il 23 il Consiglio dei ministri con l’approvazione definitiva: parte il rush finale per il correttivo al codice appalti ma sulle questioni più rilevanti ancora non ci sono soluzioni chiare. Partita chiusa invece per equo compenso, concorrenza (soglie per le procedure negoziate) e Ppp. Chiarimenti (e no) da Mit e Palazzo Chigi al seminario Ance.

Federica Brancaccio, presidente Ance
Soluzioni da considerare ormai definitive, senza più margini sostanziali di cambiamento, sono quelle individuate per equo compenso, ampliamento della concorrenza per il Ppp (a monte del diritto di prelazione), soglie degli affidamenti diretti e delle procedure negoziate senza bando sotto soglia Ue. Qualche spiraglio ancora aperto, ma con un approccio governativo molto conservativo, per la revisione prezzi, dove pesano i vincoli finanziari e, quindi, il parere del Mef: appare improbabile un ritorno indietro sulla franchigia del 5%, mentre qualche possibilità in più sembra esserci per alzare dall’80% al 90% la quota di recupero dei costi. Partita più aperta – ma anche molto confusa – sull’articolo 11 e sull’allegato I.01 relativi alla scelta del contratto di lavoro da applicare nell’appalto e alle modalità con cui possono essere equiparati altri contratti che presentino “analoghe tutele” per i lavoratori.
C’era molta attesa per il seminario organizzato all’Ance ieri, martedì 10 dicembre, sullo stato dei lavori di messa a punto del testo definitivo del correttivo al codice appalti. Si trattava di far emergere, almeno parzialmente, gli orientamenti del governo sulle molte questioni messe al centro del dibattito pubblico dalle audizioni parlamentari dei principali stakeholder, dalle posizioni dell’Autorità nazionale anticorruzione, dal parere del Consiglio di Stato. E di capire con quale spirito l’esecutivo accoglierà il parere delle commissioni parlamentari, che dovrebbe essere espresso la prossima settimana. Se, cioè, sia disponibile ad accogliere le proposte di modifica che Camera e Senato esprimeranno e quali, in vista dell’approvazione definitiva del testo che dovrebbe arrivare dal Consiglio dei ministri probabilmente il 23 dicembre.
Il quadro appena descritto è venuto fuori da un dibattito che ha visto protagoniste sul merito delle questioni, oltre alla presidente dell’Ance Federica Brancaccio e al vicepresidente Luigi Schiavo, la capa del Dagl di Palazzo Chigi, Francesca Quadri, e la capa dell’ufficio legislativo del Mit, Elena Griglio. Alcuni contributi tecnici fondamentali sono arrivati dal presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, Massimo Sessa. È intervenuto anche il segretario generale di Palazzo Chigi, Carlo Deodato, che però si è limitato a ricordare come alla materia della riforma degli appalti siano collegati alcuni obiettivi di Pnrr di fine anno relativi alla riduzione dei tempi per le aggiudicazioni e per l’esecuzione dei lavori.
Fuori sacco rispetto al tema stretto del codice appalti, ma comunque connesso al tema del recupero dei costi, è il rifinanziamento del decreto aiuti per cui – ha detto Griglio – si sta cercando in legge di bilancio la possibilità di una proroga per il 2025 con i relativi finanziamenti. Forse l’unica buona notizia della serata.
Le due questioni più complicate del correttivo – che coincidono con quelle prioritarie per Ance – sono la revisione prezzi e i contratti equiparati. Questioni che sottendono aspetti decisivi per il sistema degli appalti e per il settore economico che li realizza.
La revisione prezzi, infatti, lungi dall’essere un regalo alle imprese, voleva essere – nel testo originario del codice 36 – la riforma più importante e ambiziosa della nuova disciplina, con la creazione di un meccanismo automatico e neutro di sostanziale sterilizzazione degli aumenti e delle riduzione dei costi di realizzazione delle opere. Una soluzione che avrebbe sgombrato il campo da mille ostacoli e tensioni la fase esecutiva, rendendo più semplice, fluido e rapido il rapporto fra committente e appaltatore.
Il correttivo non porta a compimento quel percorso, nonostante andasse in questa direzione un tavolo interministeriale che per sei mesi ha studiato le soluzioni ottimali con simulazioni e comparazioni con i sistemi esteri, orientandosi sul modello francese. Non solo. Fa anche un notevole passo indietro chiarendo che la soglia del 5% va intesa come franchigia e che la revisione prezzi parte dal tempo “Ti con zero” fissato al momento dell’aggiudicazione, perdendo quel che c’è fra l’offerta avanzata dall’impresa all’aggiudicazione stessa.
Quadri ha fatto chiaramente riferimento alla “esigenza basilare di rispettare il quadro economico-finanziario dell’opera” facendo capire che gli aspetti finanziari e il parere del Mef saranno decisivi ai fini della messa a punto del testo finale. Anche Griglio ha fatto riferimento al quadro economico-finanziario indicando le riserve come l’unica fonte cui attingere per “finanziare” la revisione prezzi.
Per Griglio bisogna inoltre distinguere fra meccanismi di compensazione dell’andamento dei prezzi che fanno fronte a situazioni ordinarie e meccanismi che fanno fronte a situazioni di straordinarietà. Un modo indiretto per dire che la revisione allo studio fa fronte a situazioni straordinarie e che la norma sul 5%, come scritta, non si tocca. Unica apertura: “Vedremo l’iter delle commissioni parlamentari”.
Sessa ha invece voluto ricordare come il lavoro del tavolo ministeriale, cui ha partecipato da protagonista il Consiglio superiore dei lavori pubblici ma anche l’Ance, sia stato di grande valore, anche per il metodo innovativo seguito. Nella decisione finale non si dovrebbe prescindere dalle simulazioni sul funzionamento del meccanismo ipotizzato: solo così sarà possibile capire se il meccanismo sia sufficiente a coprire i maggiori costi e se i suoi costi aggiuntivi potranno essere coperti o meno dalle finanze pubbliche.
Sul contratto da applicare nell’appalto sembra andare in scena il grande equivoco e, spesso, un dialogo fra sordi. Sindacati e associazioni imprenditoriali, fra cui Ance in prima linea, non fanno altro che mettere in guardia dal rischio di mettere in discussione il sistema di bilateralità – che può contare su strumenti affidabili di tutela del lavoro e sul sistema delle casse edili – dando spazio e legittimando contratti che non riconoscono questo sistema.
È il tema dell’assalto al contratto unico dell’edilizia, cui il governo risponde con argomentazioni che, almeno nel settore delle costruzioni, non sembrano avere grande attinenza, come la necessità di difendere, con contratti alternativi, le piccole e medie imprese e le produzioni specialistiche. Tutele largamente garantite dalle articolazioni contrattuali attuali (artigiani, piccole imprese) e che potrebbero essere garantite con la facoltà data alle lavorazioni specialistiche di adottare contratti di altri settori. Senza necessità di smontare, per ottenere questi obiettivi, il contratto dell’edilizia e il sistema delle classi edili.
La soluzione prospettata su questo punto è di rinviare al decreto attuativo le modalità e i criteri con cui saranno garantite le equipollenze delle tutele. Un’ipotesi che non rassicura nessuno.