L’audizione
Brancaccio: “Un grande piano e una nuova governance nella prevenzione del dissesto idrogeologico. Superare la logica emergenziale”
Chiudere la stagione della logica emergenziale e lavorare a un piano nazionale per la prevenzione del dissesto idrogeologico. In un’audizione in Parlamento, Brancaccio ha rilanciato la necessità di mettere in campo una nuova strategia articolata in quattro capisaldi: una nuova governance, un piano pluriennale di interventi con risorse certe, un’accelerazione degli interventi e un sistema informativo unico, riepilogativo delle diverse linee di finanziamento

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“Mentre, dal 1944 a oggi, la spesa per gli eventi sismici è rimasta costante negli anni, quella per fenomeni di dissesto idrogeologico è rimasta costante, circa 1 miliardo l’anno, dal 1944 al 2009, ma è triplicata a più di 3 miliardi annui nel periodo 2009/2023”. Non è la prima volta che Federica Brancaccio, presidente di Ance, cita questi dati, contenuti in un rapporto del Cresme e della stessa associazione dei costruttori edili. Ma, ieri, durante un’audizione in commissione d’inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico alla Camera, è partita proprio da questi numeri per rilanciare la necessità e l’urgenza di un deciso cambio di passo: serve un piano strategico di prevenzione. Perché, è questo è il punto, “siamo bravissimi a intervenire nell’emergenza, ma questo Paese si dovrebbe dotare di un piano strategico per avere uno sguardo verso il futuro, con interventi di prevenzione sempre più mirati”, ha detto Brancaccio. È proprio la logica dell’emergenza che va superata, quella logica che “sembra attendere l’emergenza per introdurre strumenti di gestione straordinari, che consentano di superare le difficoltà delle procedure ordinarie. Il progressivo incremento nell’impiego di commissari per la realizzazione di opere pubbliche, spesso accompagnato da deroghe estese alla normativa vigente in materia di contratti, costituisce l’esatta rappresentazione di questa strategia”, ha denunciato Brancaccio.

Non è un tema nuovo: per l’Ance questo è un cavallo di battaglia almeno dal 2000. E, ha ricordato, a conferma di questo impegno, l’associazione è attualmente al lavoro sull’organizzazione di nuovo evento “Città nel Futuro”, che si terrà dal 7 al 9 ottobre presso il MAXXI di Roma, che intende rilanciare il dibattito nazionale sulle politiche urbane e proporre un’agenda condivisa per costruire città più giuste, accessibili, sostenibili e competitive, prevede, tra i temi cruciali per il futuro delle città, l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Ma soprattutto questa non è una questione semplicemente ‘green’, ideologica, basata sulla contrapposizione antropizzazione/non antropizzazione: la prevenzione e l’adattamento climatico sono una strategia indispensabile per la sostenibilità economica e finanziaria di questo Paese. Il non fare ha dei costi. Infatti,”l’Ufficio parlamentare di bilancio ha recentemente presentato uno studio che mostra come, se si mantengono le attuali politiche climatiche, si potrebbe arrivare a un impatto di circa 5 punti percentuali sul Pil entro il 2050; se invece ci fossero politiche efficienti, coordinate, almeno a livello europeo, quest’impatto potrebbe essere contenuto allo 0,9% del Pil”.
Brancaccio ha indicato almeno quattro assi strategici : “Rafforzare la governance, riconducendo il coordinamento delle politiche di prevenzione del dissesto idrogeologico a un unico soggetto a livello centrale, in grado di gestire in modo integrato le attività di Ministeri, Regioni, Autorità di bacino, Comuni e altri enti coinvolti. Un primo passo in tal senso è stato compiuto con il Decreto PNRR 3 (art. 29-bis DL 13/2023), che attribuisce al Dipartimento “Casa Italia” della Presidenza del Consiglio funzioni rafforzate di coordinamento, sotto la responsabilità del Ministro per la protezione civile e le politiche del mare”. Occorre “definire un piano pluriennale di interventi, che consenta una visione strategica e strutturata nel tempo per la prevenzione e la mitigazione del rischio idrogeologico. Tale piano dovrebbe essere dotato di risorse certe che, in parte, potranno arrivare anche dalla riprogrammazione dei fondi strutturali 2021-2027 e dal nuovo bilancio 2028-2034”. Occorre “accelerare l’attuazione degli interventi. È indispensabile ridurre il divario tra le risorse stanziate e l’apertura effettiva dei cantieri, monitorando attentamente l’iter attuativo. Serve, inoltre, una valutazione tempestiva dell’efficacia delle misure di semplificazione e accelerazione già introdotte, anche nell’ambito del PNRR”. E, last but not least, occorre “prevedere un sistema informativo unico, riepilogativo delle diverse linee di finanziamento attraverso il quale gli enti coinvolti possano avere informazioni precise sulle scadenze e sulle modalità di accesso ai finanziamenti”.
L’urgenza di mettere in campo un nuovo piano diventa ancora più pressante a fronte del fatto che l’anno prossimo si chiudono i giochi con il Pnrr. Già in precedenza, la presidente dell’Ance aveva ritenuto “piuttosto limitate rispetto alle preoccupazioni che abbiamo per il futuro” le risorse del Piano destinate alla prevenzione del rischio idrogeologico. Complessivamente, parliamo di circa 2,4 miliardi di euro, suddivisi tra il Dipartimento della Protezione Civile, per progetti di riduzione del rischio alluvioni e frane, e la Struttura Commissariale per la Ricostruzione nelle aree colpite dalle alluvioni del 2023. A questi si aggiungono 500 milioni destinati al Ministero dell’Ambiente per la realizzazione di un sistema avanzato di monitoraggio dei rischi naturali. Risorse in parte rimodulate con la revisione straordinaria del PNRR di fine 2023, per garantire coerenza con i criteri europei e migliorare l’effettiva capacità di spesa. Ad oggi, secondo i dati aggiornati a marzo 2025, risultano attivati 2.481 progetti, per un valore complessivo di 2,1 miliardi di euro, con pagamenti effettuati per 471 milioni, interamente afferenti alla quota in capo alla Protezione Civile. I dati Ance mostrano inoltre che circa il 62% dei cantieri risultano aperti o conclusi, un livello di avanzamento leggermente superiore alla media nazionale. In ogni caso, “il Pnrr scade nel 2026, una scadenza molto vicina: al di là di accelerare l’attuazione degli interventi, bisogna lavorare a un grande piano
Brancaccio è anche tornata su un’altra questione calda: quella dell’introduzione dell’obbligo per le imprese di sottoscrivere le cosiddette polizze ‘cat Nat’. “Non siamo contrari a un’assicurazione sulle calamità naturali, ma attenzione, perché – ha avvertito- ci possono essere degli effetti distorsivi, per cui chi si è assicurato poi non si preoccupa più, insomma una sorta di deresponsabilizzazione”. Brancaccio ha ipotizzato che si possa “intervenire con un uso premiale di condizioni di monitoraggio del proprio patrimonio edilizio” e ha sostenuto che vada introdotta “l’obbligatorietà della diagnosi sismica degli edifici, che però non può essere a carico del cittadino, ma con una possibile detrazione fiscale della spesa”.
In una prospettiva che guarda al futuro, che è appunto quella sollecitata da Brancaccio, c’è il ricorso alla leva delle detrazioni fiscali che deve avere “un orizzonte di lungo periodo, sia per gli interventi di efficientamento energetico sia per quelli di adeguamento sismico”. “Il superbonus è una misura che ha avuto luci e ombre, che oggi conosciamo; questo Paese ha il dovere di fare una politica di lungo periodo per accompagnare i cittadini verso un intervento di efficientamento energetico e di messa in sicurezza degli edifici”, ha insistito ancora Brancaccio.. A questo scopo, sarebbe necessario utilizzare “tutte le leve fiscali, ma anche istituzioni come Cassa depositi e prestiti, per aiutare il Paese a questa transizione, accompagnando i cittadini con detrazioni fiscali, mutui agevolati, anche contributi diretti laddove vi siano condizioni particolari”.